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Jeanne Wakatsuki Houston: alla ricerca dell'io in "Farewell to Manzanar"

Lo stereotipo asiatico

Gli immigrati giapponesi speravano di integrarsi nella società americana una volta finita la guerra, ma la realtà fu ben diversa: infatti, una volta usciti dal campo di concentramento i pregiudizi non li abbandonarono nella società americana. Vediamo come Jeanne, unico membro della famiglia Wakatsuki, frequentando le scuole, sia costretta a subire continue umiliazioni da parte dei suoi compagni, ma anche dai genitori, prima per essere giapponese e quando diventa una ragazza per lo stereotipo secondo il quale la donna asiatica è una donna esotica e sensuale. Questa immagine è stata originata dalle prostitute cinesi che erano “importate” negli USA a partire dal 1800 ed è stata costantemente perpetuata fino ai nostri giorni attraverso i media. In questa maniera le donne asiatiche non sono considerate uguali al partner, ma come oggetti sessuali che sono controllati e usati dagli uomini; in questo senso la donna asiatica è stata feticizzata come oggetto di desiderio, imperiosa come le “Dragon Ladies” o servile come “Lotus Blossom Babies”, le “China dolls”, le “Geisha girls”, o sottomesse come le war brides o le prostitute. Addirittura i giapponesi avevano promosso un nuovo stereotipo che definiva le donne come “yellow cabs”, un termine che combina l’uso della parola “yellow” per riferirsi agli asiatici e l’immagine del “taxicab” giallo che può essere “rincorso qualche volta” e preso a proprio piacimento. In maniera specifica si riferisce alle donne ricche che viaggiano oltreoceano e che cercano l’uomo straniero. In realtà, quando il termine è stato coniato nel 1980, era usato dai media giapponesi come un modo di censurare i comportamenti delle donne.
In un capitolo del suo libro intitolato A Double Impulse, la stessa Wakatsuki parla della sua esperienza diretta. Racconta di quando iniziò a frequentare il Long Beach Polytechnic High School e della difficoltà che trovò per integrarsi poiché nessuno l’accettava in quanto giapponese. In seguito riuscì a fare amicizia con una ragazza di nome Radine ed entrò a far parte del gruppo delle majorette ma solamente i Boy Scout e i padri dei ragazzi l’apprezzavano. Jeanne è ancora piccola per capire il motivo, ma quando scrive la sua autobiografia è una donna adulta in grado di capire perché solamente gli uomini la facevano sentire uguale agli altri; infatti, scrive:“At that age I was too young to consciously use my sexuality or to understand how an Oriental female can fascinate Caucasian men, and of course far too young to see that even this is usually just another form of invisibility. It simply happened that the attention I first gained as a majorette went hand in hand with a warm reception from Boy Scouts and their fathers, and from that point on I knew intuitively that one resource I had to overcome the wardistorted limitations of my race would be my femininity”.(163-164)
Nell’affermazione appena citata emerge anche il tema dell’invisibilità, presentato dall’autrice in molte sfaccettature all’interno del libro, motivo per il quale dedicherò un paragrafo a questa tematica e alla maniera in cui l’invisibilità sia inscindibile dalla ricerca della propria identità. Ciò che mi interessa ora è notare come lo stereotipo della donna sensuale non riguarda poche persone o un determinato lasso di tempo, ma fa parte dei pregiudizi radicati nella società e in quel periodo in America entrò a far parte del senso comune. Lo stereotipo serve a creare o a sostenere le disuguaglianze di valore, di potere e di ricchezza socialmente costruite in diversi gruppi a causa della razza, dell’età, del sesso, della classe, della religione, quindi l’individuo stereotipato non è giudicato per la persona che realmente è, ma solo su aspetti parziali.
Scriverò un altro esempio a riguardo tratto dal capitolo The Girl of My Dreams. Jeanne attira molti ragazzi vicino a sé, gente che la trova molto sensuale ma che ha vergogna a farsi vedere dagli altri con lei perché è giapponese: “The question of whether or not I should be asked was never even raised. The boys I had crushes on would not ask me out. They would flirt with me in the hallways or meet me after school, but they would ask Radine to the dances, or someone like Radine, someone they could safely be seen with. Meanwhile she graduated from baton twirler to song girl, a much more prestigious position in those days. It was unthinkable for a Nisei to be a song girl. Even choosing me as majorette created problems.” Lo stereotipo è sostenuto in questa affermazione da un pregiudizio razziale che emerge in modo sempre più forte quando Wakatsuki paragona ciò che può fare una ragazza americana e ciò che non può fare una ragazza giapponese, facendola sentire una bambola con cui giocare di nascosto, evidenziando la vergogna dei ragazzi che non possono farsi vedere in pubblico con lei e la sua vergogna per essere trattata come una diversa. Fu nella scuola a San Josè che Jeanne riuscì ad affermare la sua personalità, fu accettata dagli studenti e dalla gente di quel luogo, al punto da essere eletta reginetta del ballo di carnevale. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Jeanne Wakatsuki Houston: alla ricerca dell'io in "Farewell to Manzanar"

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Informazioni tesi

  Autore: Elena Rizzo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lingue e culture moderne
  Relatore: Donatella Izzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 48

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Parole chiave

seconda guerra mondiale
campi di concentramento
assimilazione culturale
jeanne wakatsuki houston
farewell to manzanar
japanese-american

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