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Il diritto d’autore nella società globalizzata: tra equo compenso, DRM e file sharing

Copyright Enforcement: a chi serve, a chi no

Al di là del dibattito sugli effetti del file sharing sul mercato discografico, due studiosi scozzesi si sono interrogati circa l'esattezza del termine «industria musicale». Essi ritengono che questa definizione, utilizzata erroneamente di frequente come sinonimo di industria discografica, suggerisca l'idea di un'industria omogenea quando, invece, la realtà è caratterizzata da molteplici industrie diverse con alcuni interessi in comune. Nella lotta alla pirateria ed al peer-to-peer, vanno analizzati tre elementi: in primis, le organizzazioni come la RIAA, l'IFPI e la BPI tendono a descriversi come rappresentative di una porzione molto più ampia di ciò che realmente sono; secondo, esse mascherano le loro preoccupazioni ed i loro interessi dietro quelli dell'intera industria dell'intrattenimento; infine, la nozione che vi sia una cosa come una sola industria musicale aiuta queste organizzazioni in quanto le autorizza a dare l'impressione di parlare per conto del più vasto raggio possibile di interessi quando esercitano lobbying sui governi e sulle istituzioni internazionali. Tutto ciò, si sostiene, è parte di un tentativo di convincere il pubblico ed i politici che qualcosa deve essere fatto per aiutare «l'industria musicale» a combattere i servizi di peer-to-peer e la pirateria, in particolare creando una connessione nelle menti dei consumatori tra questa e il crimine organizzato, compreso il terrorismo.
I due professori scozzesi utilizzano quattro argomenti per mettere in crisi il paradigma della crisi dell'industria musicale, dimostrando che ad essere in difficoltà con il nuovo ambiente creato dagli sviluppi comunicativi e tecnologici sia soltanto una delle industrie musicali, quella discografica. In primis, si evidenzia come nel quinquennio 1999-2004, mentre gli introiti derivanti dalla vendita di dischi sono calati di circa 5 miliardi di dollari, sono aumentati quelli provenienti dalla musica dal vivo, dal merchandising e dalla vendita di DVD e video musicali, per un totale di 48 miliardi di dollari di fatturato per il complesso di industrie operanti nella musica; questo dimostra come la rilevanza del comparto discografico sia diminuita rispetto a quella di altri settori. In secondo luogo, in un paese piccolo come la Scozia la recording industry non è il settore dominante: gli autori calcolano che le etichette con sede in Scozia generano meno introiti, circa 39.5 milioni di sterline che rappresentano il 37% dell'intero giro di affari, rispetto all'industria della musica dal vivo, pari a 45.8 milioni. Per dimostrare come in paesi piccoli, tra cui la Scozia, le imprese organizzatrici di concerti siano più importanti delle etichette discografiche, sottolineano il fatto che nessuna delle major abbia uffici in Scozia mentre ne hanno sia Ticketmaster che Live Nation. Terzo, la nozione di industria musicale non prende in considerazione le diversità presenti all'interno delle varie compagnie e le conseguenze che ne scaturiscono: concentrarsi sulle macchinazioni delle major fa sì che venga sovrastimata non soltanto la rilevanza del settore discografico, bensì anche una particolare struttura di business basata su operazioni multinazionali. Questo significa prestare poca attenzione alle etichette più piccole che vengono, di fatto, estromesse dal dibattito. Infine, questo termine nasconde i conflitti interni alle industrie, assumendo per dato un interesse comune tra etichetta e musicisti e tra le varie organizzazioni, attori che, in realtà, sono quotidianamente in competizione tra di loro; secondo Williamson e Cloonan, essi si uniscono soltanto quando i loro interessi coincidono per poi tornare a combattere l'uno con l'altro.
Un altro dato interessante ci è fornito dall'osservazione che tra il 2000 ed il 2007 il numero di album prodotti nel mondo sia più che raddoppiato; per Oberholze-Gee e Strumpf, la società sembra aver beneficiato di un copyright più debole, «inequivocabilmente auspicabile se non riduce gli incentivi di artisti e imprese a produrre nuovi lavori». Anche questi studiosi ritengono che i discorsi delle major e dei governi siano in errore poiché tengono conto esclusivamente degli incassi della recording industry: l'incidenza che hanno adesso incassi complementari come quelli provenienti dai concerti e dalla vendita di lettori MP3 rende necessaria l'adozione di un punto di vista che comprenda un numero di mercati più ampio, mentre la stampa e i policy makers spesso valutano il file sharing guardando soltanto ad un singolo mercato. Con riferimento agli Stati Uniti, che da soli rappresentano più di un terzo del mercato mondiale, i dati riportati nell'indagine dimostrano che, mentre la vendita di dischi è diminuita del 15% tra il 1997 ed il 2007, nello stesso periodo il prodotto complessivo dell'industria, comprendendo le rendite dei concerti e della vendita di lettori MP3, è aumentato del 66%.

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Il diritto d’autore nella società globalizzata: tra equo compenso, DRM e file sharing

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Polidoro
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni Internazionali
  Relatore: Andrea Lollini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 125

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