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Il difficile compito del medico: La comunicazione della diagnosi di malattia terminale

Comunicare una diagnosi infausta: sì, ma come?

Il titolo del terzo e ultimo capitolo si apre con una domanda diretta. Nei precedenti studi analizzati, si è voluto indagare sul canale di comunicazione della diagnosi infausta (telefono, di persona, e mail), sulle reazioni che potrebbe scatenare (la ricerca di un secondo parere medico), sulle modalità di comunicazione della prognosi e sui trattamenti di cura in fase avanzata di malattia. Una cattiva notizia rimane una cattiva notizia, ma l'esperienza clinica suggerisce che ascoltare il paziente, percepire le sue emozioni, essere chiari nel fornire informazioni può rendere la transazione meno traumatica e imbarazzante, sia per il paziente sia per il medico. In un piccolo articolo Robert Buckman afferma che, la difficoltà maggiore per un oncologo è la gestione delle emozioni in situazioni di comunicazione di una diagnosi infausta o nella comunicazione delle cure avanzate. Ignorare le proprie emozioni corrisponde a ignorare le emozioni di chi ci sta di fronte. Le conseguenze possono essere catastrofiche per la relazione medico -paziente, poiché "…la percezione che i nostri pazienti hanno sulle cure dipende dalle nostre abilità di comunicazione" (Buckman 2006). Il motivo di tale difficoltà nell'ascolto delle proprie emozioni può essere dovuto semplicemente al fatto che i medici non sono abituati a farlo, e cioè che nel loro percorso di studi non hanno avuto una formazione adeguata sulle abilità di comunicazione. Per ovviare a questo problema l'autore consiglia una tecnica che chiama risposta empatica; la risposta empatica consiste di tre punti:

1. Identificare l'emozione appena si presenta (es. paura, rabbia, frustrazione, shock, ecc.);

2. Identificare la causa, l'evento che ha scatenato quella determinata emozione (es. gli ultrasuoni hanno rivelato metastasi peritoneali o la radiografia toracica mostra la malattia in fase avanzata);

3. Rispondere in base alla direzione che il paziente mostra, collegando il punto uno con il punto due.

Questo permette di comprendere lo stato emotivo del paziente in quel preciso istante. Per esempio, se il medico comunica il peggioramento della radiografia al petto, e il paziente sotto shock esclama "Oh mio Dio! Non ci posso credere!" una risposta empatica potrebbe essere: "Deve essere un grande trauma per te", o "Questo è chiaramente difficile da accettare" o ancora "Questo è veramente sconvolgente, non è vero?". In queste circostanze non è raro che il medico provi profondo disagio; per via del contenuto delle informazioni, anche il professionista (essendo anzi tutto uomo e quindi vulnerabile tanto quanto il paziente) può provare intense emozioni, inclusa ansia, malinconia, senso di colpa. Una risposta empatica che riconosce tali emozioni potrebbe allentare la tensione durante il colloquio: rispondere con accettazione al fatto che "Questo argomento è difficile da trattare" mette sullo stesso piano medico e paziente; due esseri umani che provano emozioni, una risonanza emotiva che diminuisce l'intensità della stessa, proprio perché si muove da un corpo all'altro, non rimane chiusa e inespressa. Dire "Riconosco che non è facile" o "Vorrei che andasse diversamente" può cambiare le sorti del colloquio, e probabilmente alleviare la sensazione di disagio degli interlocutori. Queste risposte sono accomunate dal fatto che tutte rendono conto delle emozioni del paziente, che a sua volta si sentirà preso in considerazione e ascoltato. Se invece si risponde immediatamente con un intervento di tipo tecnico (senza lasciare spazio all'angoscia espressa poco prima dal paziente), come ad esempio "Ok. Dobbiamo cominciare con il topotecan questo pomeriggio" o "Questo accade spesso nel cancro ai polmoni. Faremo il possibile per risolvere il problema", molto probabilmente il paziente si sentirà mortificato e forse la prossima volta eviterà di esprimere un'emozione di fronte ad una persona che si è dimostrata insensibile. Probabilmente la gestione della malattia è corretta, ma la componente emotiva del colloquio è stata totalmente ignorata. Se invece si usa una risposta empatica come prima risposta e il piano prettamente medico è discusso qualche momento dopo, c'è una grossa probabilità che il paziente si senta sollevato perché le sue emozioni sono state "ascoltate". Secondo Buckman, l'importanza della risposta empatica s'individua in tre punti:

1. Si tratta di una tecnica, che va appresa ed esercitata, non di una facoltà innata (non è richiesto da parte del medico di sentire le stesse emozioni del paziente con la medesima intensità; si richiede invece di riconoscere tali emozioni);

2. Si parte prima dalle emozioni (poi il piano clinico);

3. È una tecnica che tutti possono imparare.

La risposta empatica fa parte di un metodo molto più ampio che comprende la "cura" di altri aspetti che comportano il comunicare una diagnosi infausta senza ignorare l'aspetto umano della relazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il difficile compito del medico: La comunicazione della diagnosi di malattia terminale

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Informazioni tesi

  Autore: Cesare Gurrado
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze Psicologiche
  Relatore: Mario Fulcheri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 40

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