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I patti parasociali

Patti che "hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto"

Come rileva Semino "rientrano in questa fattispecie gli accordi generalmente noti con il nome di sindacati di voto o convenzione di voto e quindi, tutte quelle pattuizioni, con o senza la previsione di strumenti atti ad assicurarne l'esecuzione, in virtù delle quali un socio si impegna, verso altri soci o terzi, secondo modalità prestabilite".
I sindacati di voto sono i patti parasociali più rilevanti ed utilizzati nella prassi e, come già espresso nel primo capitolo del presente elaborato, l'evoluzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sui contratti parasociali è spesso proprio con l'analisi di tale particolare categoria.
L'oggetto del contendere, come approfondito nel primo capitolo del presente elaborato, è stato dapprima la loro legittimità e successivamente la validità dei sindacati di voto deliberati a maggioranza.
Oggi però il dibattito si è spostato su un'altra questione: l'ammissibilità dei cosiddetti sindacati di voto ad efficacia reale id est quei sindacati "che grazie ad una serie di meccanismi (ancillari al, ma a tutti gli effetti integrativi del, sindacato "puro e semplice") rendono praticamente impossibile al parasocio l'inadempimento al patto medesimo".

La giurisprudenza si è espressa a tale proposito in modo negativo: "il Tribunale di Milano, con la sentenza del 28 marzo 1990,pronunciata nell'ambito della contesa per il controllo della Mondadori, nella quale prefigura un'apertura da parte della giurisprudenza verso i sindacati di voto a carattere meramente obbligatorio, introduce per primo nel dibattito il concetto della cd. Efficacia reale dei patti parasociali (…). Il sindacato di voto è giudicato nullo in quanto si concreta in un "mandato irrevocabile (ex art. 1726 c.c.) a favore della società fiduciaria". In tale ipotesi, il socio si spoglia preventivamente del proprio diritto ad esercitare il voto".
Più di recente tale posizione è stata confermata: " i patti di sindacato sono accordi atipici volti a disciplinare, tra i soci contraenti ed in via meramente obbligatoria, con conseguenze meramente risarcitorie, i rapporti interni tra di essi; il vincolo che ne discende opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale, sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare o la formazione del capitale (…) poiché al socio non è impedito di scegliere in non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un certo esito della votazione assembleare o proprio atto negoziale prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto".

La dottrina è divisa tra chi, sulla stessa linea della giurisprudenza, nega l'efficacia reale dei suddetti patti e chi, invece, li ritiene ammissibili.
Gli autori a sostegno della prima tesi ritengono che tali patti portino di fatto il singolo socio ad un'illegittima rinuncia, preventiva e definitiva per la durata del patto, ad esercitare il voto in assemblea e quindi ad un abbandono di quella liberta ritenuta insopprimibile da qualsiasi contratto non sociale.

Di opinione contraria è Proverbio che si chiede "se la libertà di voto sia un bene talmente rilevante da esigere che ai rispettivi titolari l'ordinamento garantisca, addirittura, la facoltà di violare patti da loro liberamente stipulati ed aventi ad oggetto l'esercizio, per l'appunto, della libertà medesima. (…) In linea con quanto deciso da una nota decisione di merito (ci riferiamo a Trib. Genova 8 luglio 2004), la risposta a tale quesito non può che essere negativa: infatti, non si vede per quale motivo la libertà del singolo socio di autodeterminarsi debba prevalere sulla forza normativa di contratti (i.e., i sindacati di voto) che sono a tutti gli effetti meritevoli di tutela".
Della stessa opinione è Riolfo secondo cui "la previsione di clausole, per così dire di rinforzo della vincolatività del patto, è solo un modo di difendersi da possibili inadempimenti. Quindi non c'è l'intento di danneggiare nessuno".

Considerevole è la spiegazione di Nervi che giustifica i differenti orientamenti, ritenendo però il secondo più consono alla situazione: "occorre (…) capire che cosa si intenda per efficacia reale dei patti di sindacato; se, come suggerito da taluni, essa consiste nell'opponibilità dell'accordo ai terzi, non sembrano esservi dubbi sul fatto che gli accordi abbiano efficacia solo obbligatoria. Tuttavia il concetto in esame pare essere inteso in una diversa accezione, e cioè in relazione ai meccanismi concretamente previsti nel patto per assicurare la puntuale esecuzione delle deliberazioni adottate; sotto tale profilo si parla di efficacia reale a proposito di quegli accordi che, oltre ai normali effetti obbligatori, producono anche effetti cd. reali, in quanto obbligano il socio ad un trasferimento, in qualche forma, delle proprie azioni, per lo meno di quelle sindacate".

Questo brano è tratto dalla tesi:

I patti parasociali

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Azzolini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Michele De Mari
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 84

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Parole chiave

diritto commerciale
patti parasociali
diritto delle società
art. 2341 c.c.

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