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Analisi critica della politica idrica

Le coltivazioni fuori suolo

"Una corda troppo tesa si spezza, una corda troppo debole non suona" è uno degli insegnamenti del fondatore del buddismo Siddhartha Gotama (566 a. C. - 486 a.C.) che, nella sua universalità, trova applicazione anche in questo tema: l'agricoltura spezzerà irrimediabilmente i legami degli ecosistemi per sfamare le persone o ridurrà per forza la sua produzione realizzando le fosche ipotesi di Thomas R. Malthus (1766-1834)? O potrebbe forse il settore primario riuscire a produrre alimenti tali da sfamare una popolazione in crescita preservando nel contempo le risorse idriche e gli equilibri ecologici? Quest'ultimo scenario è sicuramente possibile risolvendo i problemi trattati in precedenza, ma sul come risolverli si possono formulare varie ipotesi, tra cui quelle presentate di seguito che si basano, più che su studi scientifici attestati, su delle esperienze locali in grado, alla luce della positività dei risultati, d'essere dei validi modelli globali.

L'incremento della produzione di cibo registrato durante l'ultima rivoluzione agricola è stato ottenuto specialmente grazie a nuovi progetti d'irrigazione, permessi spesso da grandi dighe e dallo sfruttamento delle falde acquifere fossili. Ora, molte di queste falde, in gran parte riserve sotterranee che si formarono durante le prime ere geologiche e che vengono rifornite solo in minima parte dalle precipitazioni, sono state gravemente depauperate: per esempio, le falde acquifere della regione Ogallala, che riforniscono circa il 30% dell'acqua destinata all'irrigazione negli Stati Uniti, hanno subito in alcune zone un abbassamento di livello di più di 30 metri, e in alcune aree sono state ormai sfruttate fino all'ultima goccia. Ciò spiega perché in alcune zone del Texas le aree irrigate siano scese del 30% negli ultimi 20 anni e perché la produzione agricola nel Texas settentrionale e occidentale sia diminuita in modo significativo. Mentre nel nord della Cina le falde acquifere stanno abbassandosi con un ritmo di un metro l'anno, come estendere ancora pratiche agricole siffatte?

Per il futuro la FAO calcola, in riferimento alla produzione cerealicola, che nel corso del prossimo trentennio l'irrigazione sostenterà il 70% delle aree coltivate, più del 30% odierno, prelevando comunque più o meno la medesima quantità d'acqua odierna per il miglioramento delle tecniche irrigue, come la diffusione dei sistemi a goccia e dell'irrigazioni sotterranee direttamente alle radici per evitare evaporazione, tecniche che insieme ai sistemi di drenaggio scongiurerebbero la salinizzazione dei terreni. Migliorare e diffondere tecniche irrigue efficienti è una evoluzione desiderabile se pensiamo che le antiche civiltà mesopotamiche della mezzaluna fertile si sono estinte proprio a causa della salinizzazione dei terreni da loro coltivati, ma aumentare l'estensione irrigua senza modificare l'insostenibile business che causa attività ad alto impatto idrico significa accettare l'attuale modello agricolo industriale e diffonderlo ulteriormente nel mondo a scapito delle rimanenti colture tradizionali e dei limiti ambientali già messi a dura prova; sarebbe come tirarsi la zappa sui piedi. Soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione in crescita è il principale motivo che fa temere il superamento in un futuro prossimo del picco ecologico dell'acqua a livello globale, ma le società umane non sono necessariamente come degli sciami di cavallette che distruggono ciò che trovano spostandosi in continuazione per sopravvivere e possono essere in grado di trovare un equilibrio tra agricoltura e risorse idriche disponibili per evitare che la corda si spezzi senza che si allenti troppo.

Questa critica non intende proporre soluzioni migliorando le tecniche irrigue perché il problema idrico, secondo le analisi dei paragrafi relativi al business insostenibile, nasce in principio da come si intende la sicurezza alimentare dei paesi: la sussistenza viene garantita soprattutto tramite monocolture tra loro connesse a livello internazionale che, malgrado i benefici alimentari offerti, sfruttano spesso in maniera insostenibile le risorse idriche per distorsioni capitalistiche. Una sicurezza alimentare cosi` intesa viene da diversi esperti deplorata contrapponendole il concetto della sovranità alimentare, cioè il diritto di ogni popolo di coltivare il proprio nutrimento secondo il proprio contesto culturale e le proprie ragioni di sussistenza, come espone per esempio la sociologa Silvia Pérez Vitoria. Secondo la sovranità alimentare sarebbe meglio rilocalizzare una parte consistente della produzione alimentare per generare una sufficiente sussistenza nazionale e non dipendere in maniera esagerata dalle importazioni: va precisato infatti che una sicurezza alimentare basata su un eccessiva interdipendenza commerciale può non solo generare problemi idrici ed ecologici, ma anche sociali perché i prezzi bassi dei prodotti importati, che han disincentivato le colture locali, non sono costanti e possono divenire strumento di pressione.

La recente crisi alimentare del 2008 nasce appunto dal rincaro dei pasti che ha portato all'esclusione di oltre quaranta milioni di persone da una nutrizione calorica adeguata, un valore che fa ritornare ad un miliardo la quota di gravemente denutriti attualmente nel mondo. La causa dell'inflazione che ha colpito le principali derrate viene imputata alla speculazioni sulle materie prime, come grano, mais, soia e latte, che sono quotate in borsa ed oggetto di speculazioni finanziarie. I prezzi di prodotti fondamentali come pane, pasta e sapone, sono aumentati ed hanno avuto pesanti ricadute con diverse intensità nei paesi africani, asiatici e sudamericani a causa dell'alta dipendenza all'importazione dei beni di sussistenza di queste zone dalla valuta debole.
Legare la sopravvivenza a fonti esterne è rischioso, tanto più se poi mais, canna da zucchero, soia e altre piante sono usate per creare un carburante sostitutivo del petrolio, denominato bioetanolo o biodiesel, il che aumenta la domanda di questi beni di sussistenza e perciò il prezzo.
Come nota Aminata Traoré, spesso i problemi nei paesi poveri discendono da scelte agricole imposte dall'esterno senza possibilità di dibattito ad armi pari e motivate dalla controversa dottrina neoliberista secondo cui, per esempio, per ragioni di costo opportunità, ad uno Stato di ottime potenzialità come il Kenya conviene concentrarsi sulla coltivazioni di fiori da esportare poi nei paesi ricchi, piuttosto che usare le proprie terre per la propria sussistenza, mentre invece nello Yemen, dopo l'apertura dei mercati, agli agricoltori locali non conviene più coltivare cibo, ma khat, uno stupefacente che ha reso gran parte della popolazione lotofaga. […]

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Analisi critica della politica idrica

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Ragno
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2008-09
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Fausta Pellizzari
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 146

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