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Il silenzio di Giobbe

Un alieno alla scoperta del mondo e di quella cosa fra le cose chiamata persona

Il fine che ci siamo posti, che si è posto Ricoeur, è quello di rispondere nel modo più analitico ed esauriente possibile alla domanda "Chi sono io?" e, per estensione, di rispondere al "Chi sei tu?" e "Chi è l'altro?", il terzo.
Ora, non è questa la sede in cui fare un sunto del pensiero del Nostro. Basterà dare qualche piccola suggestione, presentare, in forma metaforica e rapida, quello che è il percorso di Ricoeur prima di fermarci, e questa volta a lungo, sulla tematica che più ci interessa, vale a dire quella dell'identità personale e narrativa.
Immaginiamo di accostarci per la prima volta al pianeta Terra, di giungere dall'alto, di avere pertanto una visione aerea del paesaggio, o, se si preferisce il linguaggio cinematografico, di vedere la Terra per la prima volta su un grande schermo e di zoomare pian piano su di essa.
Immaginiamo di scoprire, a poco a poco, il mondo.
Avvicinandoci pian piano ciò che ci appare sarà un mondo caotico, fatto di cose inanimate, di cose animate, di cose ferme, di cose in movimento, di cose immutabili, di cose in crescita o in decadenza, di cose in trasformazione, più semplicemente, un mondo fatto di cose.
Fra queste identifichiamo un tipo particolare di cosa, una cosa a cui è possibile attribuire dei predicati fisici e psichici: la persona.
A una stessa cosa, a una medesima cosa, riconduciamo due tipi di predicati. (In termini filosofici si parla del riferimento identificante)
Avviciniamoci ancora di più a queste cose strane, particolari: scopriremo il loro linguaggio e, nell'apprenderlo, ci accorgeremo che esse sono in grado di designare se stesse. Scopriremo che esse, le persone, sono in grado di ascrivere a se stesse dei processi psichici.
Sono in grado di ascriverli a se stesse e, per estensione, agli altri da sé.
Ciò che vale per l'uno, vale anche per l'altro.
Con una differenza: ciò che è attribuito a se stessi è sentito, ciò che invece viene attribuito all'altro è osservato.
Anche qui incappiamo in un caso particolare in cui la medesimezza appare in tutta la sua forza: ciò che posso ascrivere a me posso ascrivere all'altro. Un medesimo senso per due particolari di base diversi (le persone).
Proprio questa possibilità di passare da sé all'altro, dall'uno al ciascuno, ci permetterà di dire qualcosa su di noi e sugli altri e, in senso ancora più forte, ci permetterà di dire qualcosa su di me e su di te.
Essa ci permetterà di dire qualcosa su di noi e sugli altri allo stesso modo in cui permetterà agli altri di estendere l'attribuzione dei propri processi psichici agli altri da sé e, più precisamente, di passare dall'io al tu per arrivare al ciascuno.
Ma è possibile ipotizzare che ciò che viene detto, il discorso, sia qualcosa che proviene sì da dalla persona, e che, nonostante ciò, non sia necessario fare un atto di ascrizione ad essa?
Ciò che non possiamo sapere, se continuiamo a fingerci degli osservatori esterni alla scoperta dell'universo umano, è se c'è intenzionalità nell'atto del parlare, se cioè, c'è qualcuno che parla o se, al pari del suono prodotto da una cascata, le parole non sono altro che suoni che escono dalla persona senza che si possa affermare che sia la persona stessa a decidere di produrli. Si potrebbe sospettare che la persona sia attraversata dai suoni, sia, per così dire, parlata.
Non parlata nel senso che noi attribuiamo al significato del verbo parlare, giacché si dovrebbe presupporre qualcuno che parla per essa, attraverso di essa; non si dovrebbe considerare la persona come, per usare un'espressione nietzschiana, un ventriloquo di Dio o di chissà quale messaggero, giacché questa visione presupporrebbe comunque un chi a cui fare capo; no, questi suoni, questo parlare, potrebbero essere paragonati al fruscio del vento, al rumore del tuono, al borbottio di una pentola di fagioli.
Possiamo dire che i fagioli, o il tuono, o il vento fanno, al pari degli animali, fanno il loro verso?
Ecco, anche l'uomo, a prima vista, potrebbe sembrare un essere rumoroso. Qualcosa che muovendosi, produce dei suoni, dotati o meno di senso. Ripartiamo da qui, per scoprire, invece, che questi rumori sono modulati, dotati di una finalità precisa.
Scopriamo che possono rivestire un carattere di referenzialità, che possono riferirsi a qualcosa, che sono significanti dotati di significato.
Scopriamo una certa corrispondenza costante fra un determinato suono e una cosa presente nel mondo; scopriamo altresì che vi sono suoni che non si riferiscono a cose –oggetti che ingombrano il mondo e che sono prodotti con una finalità diversa; essi trasformano elenchi di nomi in frasi e queste frasi in discorso.
Abbiamo così intuito l'esistenza affascinante del linguaggio, la sua complessità, la sua funzione, la sua particolarità.
Dobbiamo ora capire se questi suoni, che ora hanno acquistato senso, siano determinati dalle persone da cui provengono o se invece, quelle persone, sono portatori passivi di quei discorsi, se esse sono semplicemente luoghi di passaggio per parole in movimento.
Per ora fermiamoci all'ipotesi di un discorso senza autore.
Ma l'ipotesi non si ferma alla possibilità di un discorso senza autore. Essa indaga anche il campo pragmatico, quello dell'azione.
Una foglia che cade non compie un'azione, allo stesso modo di una persona che, poniamo, legge il giornale.
Nella caduta della foglia non c'è intenzionalità. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il silenzio di Giobbe

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Informazioni tesi

  Autore: Alida Castagna
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2001-02
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Daniella Iannotta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 174

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