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Il trasferimento di residenza fiscale all'estero

Exit taxes

Con la formula exit taxes si fa riferimento a “quelle misure fiscali adottate da uno Stato volte a tassare, al momento del trasferimento della residenza fiscale, le plusvalenze sino ad allora maturate”. Attraverso tali strumenti il legislatore domestico cerca, da un lato, di porre un freno alla fuoriuscita di materia imponibile dai propri confini nazionali, e, dallʼaltro, “di non perdere la possibilità di tassare dei plusvalori che, sebbene non ancora realizzati al momento del trasferimento, tuttavia sono maturati allʼinterno dellʼordinamento tributario.”

Alla luce di quanto delineato le exit taxes possono sollevare alcune problematiche in rapporto alla compatibilità delle stesse con i principi di diritto interno e con i principi di diritto comunitario.
La disciplina italiana sulle exit taxes prevede, ai sensi dellʼart. 166 del Tuir, che “[i]l trasferimento allʼestero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dellʼazienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato”.

La disciplina, modificata nel 2005, che trova applicazione limitatamente al trasferimento di imprese commerciali, sia individuali che collettive, prevede dunque di assoggettare a tassazione le plusvalenze dei beni dʼimpresa maturate al momento del trasferimento, con lʼesclusione di quei beni che confluiscano in una stabile organizzazione in Italia. Questo in ragione del fatto che sulla stabile organizzazione, come visto in precedenza, lo Stato continua ad esercitare la propria potestà impositiva. Alcuni autori hanno giustamente osservato come la disciplina faccia emergere alcuni dubbi con riguardo alla compatibilità dellʼart. 166 Tuir rispetto al principio della capacità contributiva sancito dallʼarticolo 53 della Costituzione. Il trasferimento non è infatti espressione di alcuna forza economica e dunque non dovrebbe costituire una manifestazione di capacità contributiva del soggetto tale da giustificare la pretesa impositiva dello Stato. Lʼimposta ha tuttavia trovato giustificazione nel richiamo allʼinteresse fiscale dello Stato, che permette di individuare il “presupposto in termini approssimativi rispetto alla forza economica medesima, secondo criteri di funzionalità rispetto allʼobiettivo di acquisizione delle risorse erariali più che di aderenza alla consistenza patrimoniale del contribuente”.
Ulteriore spunto problematico della disciplina, in rapporto con i principi di diritto interno, è emerso dalle osservazioni di alcuni autori che hanno evidenziato come nel caso di trasferimento la plusvalenza non sia realizzata, ma sia, al momento del trasferimento, solamente “latente”, al punto che il contribuente potrebbe essere costretto allʼalienazione del bene per ripagare il debito tributario. In unʼipotesi analoga la Corte costituzionale si è tuttavia già espressa, sostenendo lʼammissibilità dellʼimposta anche se fosse di dimensioni tali da costringere alla vendita del bene per fare fronte al tributo.

La disciplina sulle exit taxes assume rilevanza anche in relazione al diritto comunitario. In alcune recenti decisioni la Corte di Giustizia ha ravvisato lʼincompatibilità della exit taxes francese e di quella olandese, alla luce della contrazione che tali discipline comportano rispetto allʼesercizio delle libertà fondamentali del Trattato, in primis con riguardo alla libertà di stabilimento. Alla luce di queste indicazioni e della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dellʼItalia, il legislatore nazionale è intervenuto con il d.l. del 24 gennaio 2012, n. 1, che ha aggiunto allʼart. 166 del Tuir i commi 2 quater e 2 quinquies.

Lʼintervento persegue lʼobiettivo di rendere la disciplina interna compatibile con i principi comunitari di proporzionalità e con il diritto alla libertà di stabilimento riconosciuto gli artt. 49-55 del TFUE. Il legislatore nel delineare lʼintervento richiama, anche nel dettato del testo, la causa C-371/10 nella quale la Corte di Giustizia ha affermato che una exit tax comporta sì una restrizione della libertà di stabilimento che può tuttavia essere giustificata “dallo scopo di garantire
lʼequilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, conformemente al principio della territorialità fiscale legata ad una componente temporale”. Una siffatta disciplina è da ritenersi compatibile con lʼart. 49 TFUE nel momento in cui permette al contribuente di decidere se tassare le plusvalenze latenti in occasione del trasferimento o nel momento dellʼeffettivo realizzo.

Alla luce di queste indicazioni la nuova normativa italiana sulle exit taxes sancisce, limitatamente ai trasferimenti verso Stati europei, che “i contribuenti che si spostano in altro Paese EU potranno esercitare la scelta del momento in cui versare lʼimposta sulle plusvalenze latenti: contestualmente al trasferimento ovvero al momento del realizzo”.

Le exit taxes, per loro natura, sono in generale più difficilmente conciliabili con i principi comunitari rispetto alle presunzioni. Come è stato esamaminato in precedenza infatti le presunzioni relative pongono senzʼaltro un ostacolo al libertà di stabilimento ma sono da considerarsi ammissibili nel momento in cui la ratio della disciplina sia quella di far emergere trasferimenti fittizi. Le exit taxes invece pongono in essere delle barriere che non perseguono lʼobbiettivo di contrastare la pratica delle false residenze allʼestero, se non indirettamente, quanto piuttosto quello di impedire, attraverso il disincentivo economico costituito dallʼimposta, il trasferimento allʼestero.
La disciplina del 166 Tuir ora esaminata trova applicazione limitatamente ai soggetti che esercitano imprese commerciali. Lʼordinamento italiano infatti non prevede misure volte a tassare le plusvalenze latenti relative ai beni che si trasferisce allʼestero.
Molti Paesi hanno invece introdotto delle exit taxes anche relativamente al trasferimento di persone fisiche, limitandolo alle ipotesi di trasferimento verso Paesi a fiscalità privilegiata, in cui lʼintento evasivo è più marcato. Così la Germania, con la Außensteuergesetz che sancisce che i cittadini tedeschi sono tenuti al pagamento dellʼimposte sui redditi ovunque prodotti per i dieci anni successivi al trasferimento; una disciplina analoga è prevista in Spagna, dove i cittadini spagnoli trasferiti in paradisi fiscali sono tenuti al pagamento delle imposte nei quattro anni successivi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il trasferimento di residenza fiscale all'estero

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Tagariello
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Trento
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Alessandra Magliaro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 157

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Parole chiave

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