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Il consenso informato nell'era del riconoscimento dei diritti

Gli interventi complessi

Un ulteriore aspetto affrontato dalla Giurisprudenza riguarda l’atteggiarsi del dovere informativo del medico quando il trattamento terapeutico si compone di più interventi, come nel caso di interventi d’equipe, nei quali più specialisti spendono la propria professionalità apportando il loro contributo al fine di raggiungere un unico risultato. Ci si chiede in questi casi se sia sufficiente un unico consenso informato all’operazione unitariamente intesa, oppure se l’obbligo informativo vada adempiuto per ogni singolo microintervento.

Ragioni di tutela della consapevole autodeterminazione del paziente portano ad esigere un’informazione dettagliata per ogni singola fase del trattamento, soprattutto quando i vari interventi comportino rischi elevati; d’altro canto, soprattutto nei casi in cui si tratta di fasi accessorie di routine riguardo a determinati interventi chirurgici, pretendere una informazione specifica per ogni singola fase potrebbe comportare delle inutili perdite di tempo per aspetti di marginale rilievo. I giudici di legittimità si sono trovati ad affrontare tale problematica in realtà in poche occasioni; il primo caso è riconducibile ad una sentenza del 1997, con la quale sono state ribaltate le sentenze di primo e secondo grado che avevano rigettato la domanda dell’attore, il quale muoveva le proprie doglianze riguardo all’omessa informazione sui rischi prevedibili derivanti da un trattamento anestesiologico, effettuato mediante iniezione lombare: tale trattamento infatti ha comportato l’invalidità permanente del paziente.

La Corte di Cassazione ha riformato la sentenza d’appello e rinviato ad altro giudice di merito, affinché verificasse se il trattamento anestesiologico poteva essere effettuato con modalità diverse e meno rischiose e se il paziente era stato adeguatamente informato sui possibili esiti di tale trattamento.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha così statuito: “La necessità del consenso del paziente all’attività medica discende dal principio costituzionale della inviolabilità della persona umana e impone che negli interventi chirurgici con varie fasi, assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l’obbligo di informazione del sanitario si estende alle singole fasi e ai rispettivi rischi”.

Come emerso dalla CTU, il trattamento anestesiologico è stato eseguito seguendo le regole dell’ars medica e comunque non vi è stata contestazione al riguardo da parte del paziente, il quale ha fondato la propria pretesa esclusivamente sull’omessa informazione sui possibili effetti collaterali di tale trattamento, che avrebbero potuto far desistere lo stesso e non sottoporsi all’intervento.

I giudici di merito hanno rigettato la domanda, in quanto il consenso prestato in relazione al trattamento principale deve intendersi come un consenso globale ed onnicomprensivo rispetto a tutte quelle fasi preliminari e accessorie allo stesso, nelle quali rientra anche il trattamento anestesiologico. La Suprema Corte ha fatto chiarezza sul punto operando le dovute distinzioni: di regola il consenso informato racchiude all’interno di sé anche le operazioni preparatorie, successive o connesse all’intervento principale, ma, tuttavia, quando tali operazioni siano particolarmente complesse, comportino rischi specifici o siano suscettibili di diverse modalità esecutive, il consenso al trattamento principale si rivela inidoneo ad autorizzare anche tali specifici trattamenti.

Sembrano due dunque i presupposti che devono sussistere affinché il trattamento accessorio sia oggetto di una puntuale e separata informazione, ovvero le diverse modalità di esecuzione e la presenza di rischi specifici e distinti rispetto a quelli che potrebbero derivare dal trattamento principale. I principi espressi dalla sentenza del 1997 sono stati riaffermati con la nota sentenza del 30 luglio 2004: “sotto un altro profilo è noto che interventi particolarmente complessi, specie nel lavoro in équipe, ormai normale negli interventi chirurgici, presentino nelle varie fasi, rischi specifici e distinti. Allorché tali fasi – per esempio quella dell’anestesia – assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo, esse stesse, a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l’obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi e ai rispettivi rischi”.

Deve riconoscersi, una volta di più, del pregevole sforzo ermeneutico della Suprema Corte, poiché in tema di interventi complessi, così diffusi attualmente, all’inerzia del legislatore si ê aggiunta la totale assenza di una disciplina anche nel codice medico deontologico. L’interpretazione della Corte in materia muove dalla ratio del consenso informato: se quest’ultimo può definirsi come il diritto del paziente alla consapevole autodeterminazione, è evidente che esso abbia diritto ad essere informato su tutte le possibili alternative al trattamento prescelto e sui rischi che ciascuna di essa comporta, non essendo ritenuto moralmente accettabile e giuridicamente corretto che tali scelte vengano assunte da persone diverse da quella su cui ricadranno gli effetti (spesso irreversibili) del trattamento.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il consenso informato nell'era del riconoscimento dei diritti

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Parisi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi del Molise
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Lucio Francario
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 242

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