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La filosofia di Luce Irigaray come pedagogia dell'espressione

Esprimere sé -Incontrare l'altro/a

Tutto il lavoro svolto in questi anni col professor Scaramuzzo è ruotato intorno a questi due poli. In ogni lezione, incontro o attività ci siamo sempre posti questa domanda (più o meno esplicitamente), e ci siamo fatti aiutare, di volta in volta, da vari autori/autrici. Devo molto al lavoro umano e intellettuale che il professore svolge; è parte integrante del cammino che ho portato avanti in questi anni. Le nostre ricerche seguono percorsi differenti, ma sempre si incontrano e si arricchisco nello scambio, poiché il fine è lo stesso.
Mi sono fatta accompagnare anch'io in questi anni da molti autori/autrici, ma nel pensiero di Luce Irigaray ho trovato come una sintesi del cammino che volevo intraprendere. Le sue parole mi hanno illuminata. E in questo anno in cui ho potuto seguirla da vicino (e non solo sui libri), ho pienamente colto (nel senso di ricchezza piena, non definitiva) il valore di tale cammino.

Tutta la filosofia di Luce Irigary indica una via per esprimere sé e incontrare l'altro/a, naturalmente può essere più o meno condivisa, ma è un'indicazione chiara e concreta, e, per me, infinitamente preziosa.
Qui volevo porre all'attenzione questi due poli, perché son quelli che ciascuna/o di noi dovrebbe mettere in primo piano ciascun momento della propria vita: come posso fare per incarnare qui e ora la mia presenza? Come posso incontrare l'altro/a lasciandolo/a esistere in quanto altro/a? Come possiamo, insieme, essere felici, ora?

Credo che spesso smettiamo di porci queste domande, e finiamo col dimenticare che divenire essere umani necessita di un lavoro, è un percorso. La Vita non ci chiede di avere qualcosa, di diventare qualcuno/a, ma di Essere. E nulla è più difficile che l'incarnare la propria presenza, e nulla all'infuori di questo potrà renderci felici. Eppure è un compito talmente difficile che preferiamo aggrapparci a dei surrogati (la carriera, il possedere dei beni, spesso purtroppo anche la famiglia), pur di elidere il nostro Compito. Ignorando (più o meno consapevolmente) che quei surrogati, come tali, non potranno mai darci la pienezza di Vita e quindi la felicità. Vivremo di felicità illusorie, ma non conosceremo mai la Felicità, che passa necessariamente attraverso la fatica, l'impegno e il coraggio e mai attraverso scorciatoie (più o meno legalizzate). Solo la sofferenza, data dallo scoprire la solitudine profonda e ineludibile che ci abita, potrà condurci a incontrare realmente noi stessi, le energie più profonde che ci muovono, quelle che ci spingono a vivere la nostra vita e non quella che altri, o le costruzioni culturali introiettate, vorrebbero per noi.

Accettare le contraddizioni e le mancanze che ci abitano, dimorare nel dubbio, per arrivare a certezze Altre che si costruiscono e che non si ottengono a priori, accogliere l'incertezza come parte costitutiva dell'essere umano, così come il cambiamento, non solo esterno, su cui tutte le attenzioni sembrano concentrarsi, ma anche interno. Non siamo gli stessi col passare del tempo e guai a ingabbiare noi e l'altro/a da noi in un'immagine fissa che potrebbe non rappresentarci più già un minuto dopo. La vita scorre. Non vuole essere etichettata, trattenuta, non può essere compresa una volta per tutte. Così noi non possiamo mai smettere, non solo di porci domande in relazione al mondo esterno, ma anche nei confronti di noi stessi e dell'altro/a. L'amore è sempre domandante e in divenire. Ed elidere il divenire, credere di avere tutte le risposte, è il mezzo più semplice per annullare le energie che l'incontro crea; un incontro sempre cangiante per l'appunto, che è opera d'arte mai compiuta, ma sempre amata e curata dagli artisti (che siamo, o che dovremmo essere).
Essere artisti di noi stessi e nelle relazioni che costruiamo, artisti attenti, consapevoli, rispettosi e amanti, ecco quello che potrebbe permetterci di esprimerci appieno e di incontrare l'altro/a, nella libertà (che non è mancanza di doveri, ma presenza di un dovere più profondo, il dovere che abbiamo verso la Vita che vive in noi).

Tutta la tesi cerca di spiegare come fare per provare a esprimere sé e incontrare l'altro/a, e ciascun elemento è importante affinché nulla di noi e dell'altro/a, della Vita, vada perduto. Naturalmente è un cammino, e noi come esseri Umani tendiamo verso una perfezione che, probabilmente, non raggiungeremo mai; ma il punto è proprio quello, incamminarsi, scegliere attentamente la meta verso cui muoversi, il modo in cui procedere, condividere tratti di percorso nella libertà e con/per amore. Ricordarsi che nulla è definito una volta per tutte e possiamo cambiare strada, perfino tornare indietro, non c'è nulla che non possa esser perdonato, anche a noi stessi. Errare fa parte del nostro cammino.

Come educatrici ed educatori possiamo, e dobbiamo, indicare la strada: non un percorso già prestabilito da intraprendere, ma dare indicazioni che possano orientare i giovani nel loro viaggio.

Indicazioni che aiutino a ricercare la vera ricchezza, innanzitutto dentro se stessi, seguendo magari quelle tappe che questa tesi ha cercato di portare alla luce, partendo dal riconoscimento della differenza, passando per il silenzio, la parola, la natura, l'energia, il respiro, l'amore, ecc. Tutto concorre alla pienezza.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La filosofia di Luce Irigaray come pedagogia dell'espressione

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Patacci
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze Pedagogiche
  Relatore: Gilberto Scaramuzzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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