«Cantore delle piccole cose di tutti i giorni» Storia di Giovanni Mosca

Si era lasciato Giovanni Mosca costretto a dimettersi, nel settembre 1950, per divergenze di carattere politico con l’editore. Montanelli a proposito ricorda:

«La stella di Mosca impallidì quando si accese quella di Guareschi sul “Candido”, al cui successo lui contribuì per la sua parte. Ma eravamo nel momento politico caldo dell’aprile del ’48, cioè della scelta tra Democrazia e Comunismo: un momento molto più adatto al sanguigno, massiccio, aggressivo Guareschi che non al morbido, moderato ma non meno efficace Mosca. Non fu l’estetica a decidere la gara – mai diventata animosità – tra i due. La voce di Guareschi aveva parecchi decibel in più».
Eugenio Marcucci, Giornalisti grandi firme: l'età del mito, Milano, RAI-ERI, 1998, p. 355.

Libero da impegni, molto stimato da tutto l’ambiente e amato dai lettori, viene immediatamente chiamato a dirigere il «Tempo» di Milano, ma l’impresa si rivela quasi impossibile in una ‘piazza’ dominata dal «Corriere della Sera» dove, nel 1951, Giovanni Mosca viene chiamato come ‘firma’ stabile (vi rimarrà per ventitré anni, fino al 1974). Il suo direttore è Gaetano Afeltra che, ai tempi di «Milano Sera» (come si raccontava più sopra), su incarico di Giancarlo Pajetta aveva coinvolto firme prestigiose, tra le quali lo stesso Mosca che a sua volta, preoccupato per il disoccupato Guareschi, si era speso perché venisse assunto. Afeltra, che dunque ben lo conosce, avendo intuito il ‘peso’ che avrebbe potuto avere una vignetta in prima pagina (come in tanti quotidiani esteri), gli affida questo compito. Mosca diventa allora il primo – nella storia del giornalismo italiano – a commentare fatti di cronaca, gravi o ‘spiccioli’, internazionali o soltanto curiosi, in ‘apertura’ su un quotidiano di grande tiratura. Presto ripropone anche i suoi ‘omini’ – Brunacci Bonamonti, Signor Ulderico, professor Celiomontanus, Bellotti Bon, Cavalier Ambrogio Vitali– ad accompagnare i suoi commenti divisi – come lui – tra garbo e indisciplina, buon senso e provocazione. Diviene così una delle firme indispensabili – e tra le più celebri – del «Corriere» e, dal 1953, della sua edizione pomeridiana, il «Corriere d’Informazione», come critico teatrale e cinematografico: «quello fu, forse, il periodo più intenso della sua vita: vignette, articoli di critica teatrale, corsivi, elzeviri. In ogni scritto si ritrovavano l’abituale freschezza, l’ironia sottile, la battuta tra il surreale e il provocatorio, ma sempre la stessa leggerezza di tono».