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''Arte della Fuga'': Scienza e Mito in Giorgio de Santillana

Giorgio de Santillana, il mitologo

Mito e Scienza

In questo capitolo saranno trattati alcuni temi che sono stati centrali nella carriera di de Santillana, a partire dagli anni '60 fino alla morte, e che riguardano da vicino il mito, l'astronomia, il Tempo e il rapporto tra il Fato e la libertà umana. Il primo e il secondo paragrafo sono propedeutici alla comprensione de Il Mulino di Amleto, oggetto del terzo paragrafo; in particolare, nel primo verrà affrontato il difficile rapporto tra scienza e mito, mentre in quello successivo saranno fornite alcune nozioni di astronomia antica. Nell'ultimo verrà esposto il confronto tra il Fato Antico e quello Moderno, cercando di comprendere quale sia stato nell'uno e quale sia nell'altro il ruolo della libertà umana.

La tendenza che si ha quando si parla di mito, di mythos, è quella di contrapporre in maniera dicotomica due lemmi ben precisi: mito, appunto, e logos. Questi due termini sembrano avere, a prima vista, due significati opposti, almeno nel senso comune: difatti, il primo verrebbe a essere un racconto fantastico, popolato da dei, eroi e mostri vari, mentre il s econdo assumerebbe una accezione più rigorosa, quasi scientifica, poiché tra i suoi significati vi sarebbe anche quello di “ragione”: Cicerone lo traduce con ratio.

Tuttavia, come sottolinea Vernant: “In greco mythos designa una parola formulata, che si tratti d'un racconto, d'un dialogo o dell'enunciazione di un progetto. Mythos è dunque dell'ordine del legein, come indicano i termini mythologein, mythologia, e non contrasta, all'inizio, coi logoi, termine i cui valori semantici sono vicini e si riferiscono alle diverse forme di ciò che è detto.”. Nonostante questa comunanza di significato iniziale, ben presto il logos cominciò a intraprendere una via diversa rispetto a quella del mito e i fattori furono molteplici, che investirono sia la società sia il pensiero, tra i quali esiste una forte correlazione.

In età arcaica, la natura era vista come una potenza autonoma, attiva, che plasmava e agiva nel mondo a proprio piacimento, un “Tu” con cui entrare in relazione e non un “come” da spiegare: “Orbene, la mente primitiva non è in grado di astrarsi a tal segno dalla realtà percettibile, e inoltre non rimarrebbe soddisfatta delle nostre idee, in quanto essa quando cerca una causa cerca non già il «come », bensì il «chi».”. Secondo l'interpretazione di Vernant, con l'avvento della filosofia in Grecia, una sorta di miracolo avvenuto sulle coste della Ionia, nell'VIII secolo a.C., “senza passato, senza genitori, senza famiglia”, si sarebbe sviluppato un tipo di pensiero che è andato sempre più emancipandosi da quello mitico. Se precedentemente mythos e logos potevano appartenere alla stessa categoria semantica, con l'avvento dei primi filosofi, e successivamente con Parmenide, il pensiero astratto ha finito per prevalere su quello intuitivo e immediato, permettendo di poter indagare la natura in maniera scevra da qualsiasi preconcetto mitico, ovvero, spogliata della sua immane potenza, del vestito fantasioso di cui si era intessuta nel corso del tempo, grazie ai racconti degli aedi. La scelta di mettere per iscritto i propri pensieri, anche se non in una forma rigorosa e dimostrativa, avrebbe permesso all'uomo greco di doversi attenere a una modalità di ragionamento più precisa, che ha reso il sapere pubblico e non più esclusiva proprietà dei cantori:

alle tecniche persuasive dell'argomentazione retorica, il filosofo oppone i procedimenti dimostrativi d'un discorso di cui le deduzioni dei matematici, che operano sui numeri e e figure, gli forniscono il modello. (…) Entro e attraverso la letteratura scritta s'instaura questo tipo di discorso in cui il logos non è più soltanto la parola, in cui ha preso valore di razionalità dimostrativa e s'oppone su questo piano, tanto per la forma quanto per la sostanza, alla parola del mythos.

La “logica mitopoietica”, come viene chiamata dai coniugi Frankfort, ha delle categorie proprie, le quali si distaccano enormemente da quelle utilizzate dalla logica aristotelica in poi. Così, i riti simbolici assumono una valenza rilevante poiché non vi è una distinzione di significato e simbolo, essi sono fusi assieme: “un nome, una ciocca di capelli, o un'ombra possono valere l'uomo in carne ed ossa, giacché in qualsiasi momento quel nome, quella ciocca di capelli o quell'ombra possono sprigionare l'intero significato dell'uomo al quale appartengono.”. La causalità, categoria assai importante per la nostra scienza, ha un valore dissimile da quello attuale, ovvero, non vi è una astrazione dei concetti, ma si tende a trattare la natura in maniera fenomenica, dandole del “Tu”: il primitivo “non si aspetta di ricavarne la legge impersonale di un processo, ma cerca invece la volontà determinata che esegue l'atto.”. Eppure, il mito vive di una propria indipendenza, nonostante la grande distanza che lo separa dalla scienza, la quale non può accettare una visione della realtà che prescinda dalla spiegazione razionale.

Tuttavia, sarebbe ingenuo pensare che il pensiero mitico sia semplice, banale, solamente perché abbiamo perso qualsiasi capacità di poter comprendere ciò che è scritto nelle varie mitologie. Tale pensiero era già estraneo a Platone e Aristotele, consapevoli che tra loro e Parmenide – il quale utilizzava ancora un linguaggio e un approccio mitico per poter dire qualcosa di astratto – ci fosse un vero e proprio abisso.

L'avvertimento di non prendere troppo alla leggera il pensiero mitico, forti della costruzione della nostra “capanna a ridosso della torre della scienza”, è ben presente nella mente di de Santillana: “Poiché le prime cose sono sempre le più difficili, guardiamoci bene dal ritenere queste conquiste qualcosa di naturale. Ancora meno ovvie sono le conquiste della rivoluzione neolitica e dell'Età del Bronzo: la semina del grano, la fonditura, la tessitura, l'arte del vasaio, e tutti i mestieri. (…) Solo culture altamente sviluppate possono essere state capaci di compiere imprese del genere.”. De Santillana, non prende in considerazione l'idea che queste menti fossero totalmente prive di acume e di genialità, poiché “Dobbiamo presumere che in ogni età ci siano ingegni quali un Archimede, un Keplero, un Newton.”.

Ciò che è stato dato per scontato è che queste popolazioni agissero in un passato perenne, senza tempo, quasi che lo sviluppo successivo fosse stato possibile più per un puro caso che per una serie di elementi accaduti in maniera causale e facenti parte a tutti gli effetti della nostra stessa storia. Le varie epoche precedenti alla civiltà greca sono sempre state qualificate come incapaci di ragionamento, somigliante a quello fanciullesco: si è dovuto aspettare James Frazer, il quale portò alla luce il complesso sistema di “credenze, operazioni magiche e riti di fertilità”.

Ma ancora non basta. Ciò che de Santillana ha visto, secondo “il vasto materiale protostorico di miti e di leggende di dèi e di eroi che fondano città, introducono la civiltà, intraprendono grandi viaggi” è un vasto schema cosmologico, che comprende e abbraccia tutto il pianeta: “È l'osservazione dei moti celesti che ha stimolato l'uomo a ricercare gli invarianti impersonali che si celano dietro gli avvenimenti. Tutto sommato è questo il significato della scienza.”. Ecco, allora, che il senso intorno a cui ruota il pensiero umano, dapprima in veste mitica, e solo successivamente sotto forma di pensiero scientifico, è la ricerca degli invarianti, di ciò che non muta, che rimane inalterato e di conseguenza ricompare sempre: sono le leggi della natura, la cui comprensione costantemente sfugge, nonostante il continuo sforzo dell'uomo per conoscerle e farle proprie. Questo tuttavia non ci mette al riparo dal fallimento a cui la scienza, per sua stessa natura, potrebbe andare incontro.

Kuhn ha ben posto la questione, secondo un suo interprete:
Kuhn also accepted, as Popper could not, that science might not continue forever, even in a normal state. “There was a beginning to it,”Kuhn said. “There are lots of societies that don’t have it. It takes verys pecial conditions to support it. Those social conditions are now getting harder to find. Of course it could end.” Science might even end, Kuhn said, because scientists cannot make any further headway, evengiven adequate resources.

Il pensiero mitico, al contrario, non poteva fallire nella sua “naturale” ricerca di un fondamento, di una legge stabile e sicura, proprio a causa della capacità di inventare continuamente storie: tale atteggiamento portava sempre a una soluzione, poiché le decisioni riguardanti questo mondo venivano delegate ad altri esseri, agenti sovrannaturali, vissuti illo tempore. Il Teatro mitologico e cosmologico forniva il modello per vivere su questa terra, giacché non si trattava che di inverare la realtà ripetendo esattamente le gesta degli antenati, i quali mostravano quella che poteva essere ritenuta la “vera vita”. Ogni fondazione era la fondazione; un nuovo tempio, sebbene ce ne fossero altri nelle zone circostanti, diventava il tempio, attraverso il quale si ristabiliva la connessione tra regno dei morti, regno dei vivi e il regno delle divinità a cui era assoggettata la stirpe umana.

Riassumendo: la scienza si distaccò dall'approccio mitico, sebbene inizialmente i termini logos e mythos avessero una comunanza semantica riconducibile al discorso; con l'evolversi dei rapporti sociali e culturali in Grecia, il logos trovò un modo per differenziarsi dal mythos, merito anche della scrittura, ma soprattutto grazie alla tematizzazione astratta della natura, che precedentemente non esisteva nei popoli del Vicino Oriente – Sumeri, Babilonesi ed Egizi. La scienza ha dovuto rimodellare alcune categorie che nel mito avevano tutt'altra forma, basandosi specialmente sull'esempio fornito dalla matematica.

La scienza, però, a differenza del mito, cercando la risposta direttamente nella natura, potrebbe un giorno non trovare più risposte, sia per incapacità tecnologica, sia per dei limiti che lo stesso pensiero umano potrebbe incontrare. D'altra parte, il mito, invece, attinge alla fantasia umana, alla capacità di poter, attraverso la facoltà creativa e intuitiva, dare un senso a ciò che si manifesta intuitivamente agli occhi dell'osservatore, il quale non desidera il controllo sulla natura, ma una convivenza pacifica. Il dato certo è questo: la “mente primitiva” era tutt'altro che banale e inferiore alla “nostra”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

''Arte della Fuga'': Scienza e Mito in Giorgio de Santillana

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Informazioni tesi

  Autore: Edoardo Poli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Claudio Sergio Pogliano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 111

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