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L'ozio del detenuto

Rapporto tra rieducazione ed ozio

La tendenza al delitto e la capacità a delinquere esiste in forme e misure diverse più o meno latenti, in ognuno di noi. Tale propensione, quando è percepita dal soggetto, viene influenzata dalla presenza o assenza di alcuni fattori determinanti tra cui i sentimenti morali e sociali, il senso del dovere, le credenze religiose e altro. La devianza può divenire una forma mentis, quando la persona che delinque in modo frequente, perché vive con i proventi dell’attività criminale, è cresciuta in un ambiente deviante da cui ha appreso una scala valoriale opposta rispetto a quella socialmente riconosciuta. La provenienza socio-culturale è un elemento che può influenzare negativamente la costruzione della personalità dell’individuo.

Un bambino a cui viene insegnato a rubare, crescerà credendo che rubare sia normale; questo bambino sarà parte ben integrata del suo gruppo d’appartenenza. L’uomo è un animale sociale, in quanto tale tende ad aggrapparsi ai suoi simili per costituirsi in società, dato che la socializzazione è un mezzo per soddisfare le proprie esigenze. Non si nasce con il desiderio di socializzare ma si impara ad essere sociali, perché la società per ogni individuo è la condicio sine qua non per esprimere la propria personalità. Per un individuo cresciuto ed educato in una zona criminale, un qualsiasi quartiere periferico caratterizzato da basso livello di scolarizzazione per i giovani e basso livello di occupazione lecita per gli adulti, il carcere rappresenta una fase necessaria alla propria formazione.

Ci sono passati tutti, dal padre all’amico d’infanzia. La devianza ha un’organizzazione sociale per permettere al soggetto di avere delle risorse (ad esempio la cocaina per il cocainomane), un’ideologia per giustificare ciò che si sta facendo e la possibilità di difendersi da poliziotti e magistrati. In base alle peculiarità, possiamo distinguere cinque forme diverse di organizzazione sociale:

° I solitari: per risolvere i propri problemi si basano sulle proprie forze; sono tipi solitari molti di coloro i quali si suicidano, commettono omicidi, stuprano o commettono il reato di appropriazione indebita, perché per compiere questi atti molti di loro evitano l’aiuto dei pari.

° I colleghi: ne sono esempio le prostitute, i tossicodipendenti e i computers hackers che compiono da soli i loro atti ma nel tempo libero si ritrovano con i colleghi con cui condividono una subcultura fatta di linguaggi, conoscenze, stili di vita, insieme di valori e norme di comportamento. Essi sono uniti anche da un gergo particolare, dall’utilizzo di termini speciali che permettono una comunicazione facilitata, incomprensibile per chi non fa parte del loro gruppo.

° I pari: a differenza dei colleghi commettono gli atti devianti insieme, tramite una collaborazione attiva. I rapporti tra i componenti del gruppo sono informali ed egualitari, ne sono esempio le bande di giovani che insieme compiono atti di vandalismo e furti e sono uniti da una subcultura quasi vincolante.

° Le squadre: coloro che fanno parte di un gruppo operano attraverso una divisione schematica e razionale del lavoro da compiere. Oltre al compimento di atti devianti insieme, questi soggetti hanno un ruolo specializzato e devono agire seguendo un ordine prestabilito. Spesso i rapinatori di banche o i borseggiatori operano utilizzando una formazione in squadra, nella quale è frequente che uno del gruppo abbia il compito di guardare le spalle ai compagni ed avvisare in caso di arrivo della polizia.

• L’organizzazione formale: è la forma di organizzazione deviante più complessa e articolata. L’attività dei componenti non è mai lasciata al caso ma è coordinata da norme e procedure prestabilite. Può essere formata da centinaia di individui che cooperano anche da posizioni geograficamente lontane.

A questo punto potremmo chiederci perché una condotta viene definita deviante a tal punto da legittimare il potere punitivo dello stato? Con il termine deviante ci si riferisce ad ogni comportamento che si discosta dalla normalità e risulta inaccettabile per la maggior parte della gente appartenente ad una stessa comunità, provocando in essa una risposta collettiva di tipo negativo. Se la devianza nega un valore, tramutandosi nella violazione di una norma sociale, va presupposta l’esistenza di un complesso di valori. Ogni atto compiuto all’interno di un gruppo comporta una risposta dalla collettività che, utilizzando il sistema di controllo sociale di tipo esterno, ricorre alle ricompense e alle punizioni. Le prime gratificano l’individuo; le seconde sono volte a scoraggiare un dato comportamento, incoraggiando l’adesione alle aspettative sociali.

Le reazioni sociali possono essere informali e formali:

• Le ricompense formali sono i voti alti ricevuti a scuola, le promozioni sul lavoro o l’aumento di stipendio. Quelle informali sono i sorrisi, gli abbracci e le varie forme di incoraggiamento.

• Le punizioni informali sono rappresentate da sguardi di disapprovazione e disprezzo, critiche, percosse e comportamenti volti ad evitare o isolare l’individuo. Le punizioni formali sono la bocciatura per lo studente svogliato, l’espulsione da un’associazione per chi non si attiene al regolamento, la multa per chi non rispetta il codice stradale, la condanna e la reclusione per chi arriva a compiere veri e propri reati, furti, rapine, omicidi o altro.

Nel chiarire il concetto di devianza Emile Durkheim scrisse: “Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo”. L’ingresso in carcere comporta la brusca interruzione delle attività che articolavano la giornata del condannato ma spesso l’ambiente che si trova nella cella è lo stesso con cui si conviveva prima. Il problema subentra quando i detenuti privi di qualsiasi alternativa utile o interessante permangono inerti nella loro pluralità apatica, in cui l’assenza di proposte alternative favorisce la continuazione delle dinamiche di cui si nutrono i loro disvalori.

L’ozio imperante tra le mura di una cella permette lo sviluppo di due processi: la formazione di dinamiche autonome tra compagni con l’aumento delle possibilità del verificarsi di fenomeni di nonnismo e tipizzazione dei ruoli e l’annichilimento della personalità che può avere conseguenze estreme fino a favorire sviluppi patologici gravi come la depersonalizzazione del reo. Nell’ozio la rieducazione si brucia. L’educazione è un processo permanente nella vita dell’uomo fatto di una comunione di attività che coinvolgono l’Io e il Tu, in un pluralismo ideologico e dinamico che trasforma due entità distinte in un Noi. L’educazione, quindi, presuppone un rapporto dialogico tra il singolo, gli Altri e l’ambiente, in una prospettiva di armonia e rispetto.

Nella cella, invece, l’armonia agognata è sostituita da un caos perenne, il rispetto è scavalcato da dinamiche di potere e violenza, i detenuti, spesso, spogliati dell’essere uomo dietro le sbarre diventano bestie. In sintesi, dove subentra l’ozio, si arresta qualsiasi processo di rieducazione, qualsiasi tentativo si vanifica. L’inattività morale non può essere la cura migliore nello scardinamento delle rozze strutture mentali che per anni hanno costituito le mura di definizione del comportamento di un individuo, al contrario, la convivenza forzata con dei compagni che condividono la stessa subcultura e la stessa scala di disvalori, priva di qualsiasi intervento di comunicazione e ristabilimento delle dinamiche di gruppo, diventa una corazza marmorea che conserva e protegge i perni ideologici che la detenzione dovrebbe scardinare, nella prospettiva di un sano e ottimale reinserimento sociale del reo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'ozio del detenuto

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Informazioni tesi

  Autore: Selene Eulalia Cabras
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: UKE - Università Kore di Enna
  Facoltà: Scienze dell'Educazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Nicola Malizia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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