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Le controversie tra utenti e operatori di comunicazioni elettroniche: il ruolo dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dei comitati regionali per le comunicazioni

Applicazione della tassa di concessione governativa a utenze prepagate

Sin dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, poco più tardi del lancio sul mercato della tecnologia GSM e cioè in concomitanza con la liberalizzazione dei servizi di telefonia mobile praticamente in tutto il mondo, è invalsa la prassi commerciale da parte degli operatori del settore di offrire servizi di comunicazione radiomobile di tipo prepagato, inizialmente usa e getta e poi ricaricabili (alla fine del 1997 resi disponibili anche per la tecnologia ETACS). Sovente pubblicizzati con claims del tipo «senza bolletta e senza contratto» – evidentemente non tanto ingannevoli quanto privi di significato dacché qualsiasi rapporto tra almeno due soggetti che incida sulla sfera economico-patrimoniale è per definizione un contratto – questi servizi, senza che l’amministrazione finanziaria abbia mai avanzato contestazioni al riguardo, non sono mai stati soggetti alla tassa di concessione governativa, il che ha favorito sia l’enorme diffusione del telefono cellulare, precedentemente considerato un bene di lusso o comunque uno status symbol, portando l’Italia rapidamente al primo posto in Europa per numero di SIM attive, sia la massiccia preferenza degli utilizzatori non professionali del servizio per i contratti con regolamento dei costi mediante ricarica rispetto a quelli con fatturazione differita, con un rapporto medio, comprensivo anche delle utenze “affari”, che negli anni si mantiene stabile intorno a oltre 80 a 20 per le SIM di tipo “voce”, praticamente il contrario rispetto a mercati altrettanto maturi. Sebbene la tassa di concessione governativa per l’uso per attività economica sia di oltre il doppio rispetto a quella per uso personale (euro 12.91 contro 5.16), gli utenti business continuano invece a prediligere gli abbonamenti, probabilmente anche per ragioni di carattere contabile in cui non ci addentreremo in questa sede.

A dire il vero qualche timido tentativo di spiegare quale sia la ragione per cui le utenze prepagate non sono mai state assoggettate alla tassa di concessione governativa si rinviene, ancorché non in dottrina, quanto più che altro in articoli scritti da consulenti in materia fiscale. Non vale la pena di riportare le varie posizioni, generalmente costituite da spiegazioni decisamente poco convincenti, soprattutto in quanto viziate da fallacie insanabili, tra cui ricorrono i seguenti errori logici:

1. per abbonamento si intenderebbe un qualcosa che preveda un canone periodico, cosa che i servizi post-pagati avrebbero e quelli prepagati no. Questo è falso, esistendo sin dal 1996 tariffe post-pagate senza canone e di contro hanno preso sempre più piede, anche e soprattutto sulle utenze ricaricabili, le cosiddette opzioni a soglia, cioè delle offerte che comprendono bundles («pacchetti») di minuti di traffico voce e/o messaggi e/o dati a fronte dei quali è dovuto in anticipo un corrispettivo fisso periodico, addebitato automaticamente sul borsellino di moneta elettronica dell’utenza (quando non su carta di credito o debito oppure su conto corrente, mediante i consueti servizi bancari di domiciliazione dei pagamenti, bypassando il credito residuo e comunque senza emissione di fattura), non rimborsabile nel caso in cui non si esauriscano le quote nel periodo di tempo prestabilito, i cui contatori vengono azzerati (al contrario, se si esauriscono prima del tempo scatta il pagamento a consumo secondo un sotteso piano dei costi noto in linea di massima come «piano base»). Esistono altresì, anche su utenze prepagate, servizi ad abbonamento periodico non comprensivi di traffico, ovvero la cui controprestazione è semplicemente il mantenimento della linee attiva, mentre il traffico viene tariffato a consumo.

2. per abbonamento si intenderebbe un contratto scritto (che farebbe fede quale documento attestante quantomeno il diritto d’uso dell’apparecchiatura terminale, che a sua volta costituirebbe il presupposto per l’applicazione della tassa di concessione governativa). Anche questo è falso poiché, sebbene il contratto di somministrazione di servizi di telecomunicazione non richieda per legge una forma specifica, è invalsa la prassi, anche per disposizioni emanate dalla stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di stipularlo per iscritto sia per i servizi postpagati sia per quelli pre-pagati, perlomeno quando la conclusione avvenga all’interno di locali commerciali. Peraltro, la forma scritta non è obbligatoria neanche per i contratti post-pagati e tra questi ultimi quelli non conclusi per iscritto non sono affatto rari poiché molti vengono stipulati via web o telefono (anche senza registrazione della conversazione) e si perfezionano per facta concludentia anche qualora venga richiesta la restituzione della documentazione cartacea firmata o di una sua copia. Ciò varrebbe a dire che il cliente non dà séguito a questa richiesta ma versa regolarmente i corrispettivi, e quindi il gestore non gli disattiva il servizio, mancherebbe il presupposto per l’applicazione della tassa di concessione governativa (che come abbiamo detto non è la fonte negoziale in sé, ma il documento scritto che la attesti), il che consentirebbe di aggirare l’obbligo con estrema facilità e quindi gli operatori, che a giudicare dalle sanzioni irrogate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si ingegnano in tutti i modi possibili per aggirare le prescrizioni legislative e regolamentari che non ritengono per loro convenienti, avrebbero già trovato il modo per risolvere il problema.

3. Per abbonamento si intenderebbe un servizio di somministrative continuativa, mentre acquistando traffico prepagato si usufruisce di taluni servizi come se si fosse abbonati ma solo entro un lasso di tempo predeterminato. Anche questo non corrisponde al vero, tanto più che non possono essere posti limiti temporali all’utilizzo del traffico acquistato, che costituisce credito è sempre esigibile fatti salvi i soli termini della prescrizione estintiva. E, se è vero che in caso di esaurimento del credito e dei bundles non è possibile effettuare traffico uscente, l’utenza rimane comunque attiva in entrata, sino alla scadenza naturale del contratto, che normalmente viene prorogata a ogni ricarica.

Una posizione della Suprema corte in argomento è finalmente pervenuta nel 2016. I giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi sulla disparità di trattamento tra gli intestatari di un abbonamento con fatturazione e coloro che hanno stipulato un contratto con regolamento dei costi mediante acquisto a monte delle cosiddette ricariche, i primi soggetti al prelievo coattivo di un importo mensile e i secondi no, nel ribadire la legittimità della stessa alla luce del diritto interno sia alla luce della disciplina dell’Unione, asserisce che alla luce dell’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (nota come carta di Nizza) nulla osta a un trattamento tributario differenziato degli utenti delle apparecchiature terminali per i servizi di comunicazioni radiomobili terrestri a seconda che essi «sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili». Tale affermazione non convince fondamentalmente per due motivi.

Il primo è che l’attuale normativa non esclude in alcun modo gli utenti di servizi di telecomunicazioni radiomobili terrestri di tipo prepagato dall’assoggettamento alla tassa di concessione governativa; la mancata imposizione degli stessi è palesemente, e per certi aspetti clamorosamente, dovuta a una libera interpretazione degli operatori del settore per tacito accordo tra di essi e con il sottinteso placet dell’amministrazione finanziaria, che non ha mai espresso una condivisione di tale posizione ma in realtà non ha neanche mai affrontato la questione, mostrandosi semplicemente tollerante rispetto a una prassi consolidata. Il secondo è che, come abbiamo già evidenziato, il servizio telefonico prepagato non viene erogato attraverso l’«acquisto» dei servizi «in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili», come se si trattasse di un contratto di compravendita seguìto da altri contratti di compravendita. Esso è erogato comunque in forza di un contratto di somministrazione, che, rispetto a quello di abbonamento, si differenzia non altro che per la modalità di regolamento dei corrispettivi dovuti dall’utente al fornitore. Oltretutto anche il servizio post-pagato prevede l’utilizzo di una carta, o scheda, chiamata SIM, subscriber identity module, che non ha lo scopo di memorizzare le (eventuali) unità di traffico pre-acquistate (quelle risiedono sui sistemi dell’operatore), ma assolve alla precipua funzione di identificare il cliente, infatti la traduzione letterale della sua denominazione è «modulo di identità del sottoscrittore».

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le controversie tra utenti e operatori di comunicazioni elettroniche: il ruolo dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dei comitati regionali per le comunicazioni

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Informazioni tesi

  Autore: Amedeo Francesco Mosca
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli studi di Roma “Unitelma Sapienza”
  Facoltà: Scienze Giuridiche ed Economiche
  Corso: Scienze dell'Amministrazione
  Relatore: Donato Antonio Limone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 133

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