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Intorno al terzo libro del Cortegiano: un discorso sulla donna detto al maschile

Il silenzio delle donne: denuncia o sopraffazione?

Dalla segregazione fisica della donna madre e moglie, si passa poi ad una forma di assoggettamento all’opinione pubblica di corte insita nel ruolo di mediatrice e “intrattenitrice onesta” della dama di palazzo, alla quale è richiesta continenza, prudenza e un severo autocontrollo, inteso come perfetto controllo di sé e dei meccanismi che regolano il comportamento amoroso concepito come un sistema comunicativo in cui la donna deve essere contenuta. D’altronde, la stessa grazia richiesta alla donna di palazzo non rappresenta che una forma di imposizione direttamente dipendente dalla sprezzatura, vale a dire da un’eccellenza che dà l’impressione della facilità al fine di generare meraviglia e ammirazione. Un nuovo vincolo per l’uomo nuovo inaugurato da Castiglione è infatti quello del dover essere e saper essere piacevolmente arguto alla luce della propria natura di «animale conversevole», funzionale alla nuova società di corte che si va delineando:

Questa arte non riguarda solo la comunicazione verbale, ma anche e soprattutto la più complessiva economia delle pubbliche e private relazioni interpersonali: è l’arte che governa lo stare al mondo, proprio in quanto «regula universalissima» del saper vivere in rapporto con gli altri. Un’arte retorica, dunque, e una competenza etica ordinaria e stabile. In quanto tale, configurano, solidamente integrate, un nuovo vincolo per tutti i soggetti in relazione, un nuovo dover essere e apparire: con totale e consapevole autogoverno, anche dei corpi e dei loro «istinti naturali».

Sin dall’inizio è quindi evidente come la formazione della dama sia socialmente connessa alla corte, il cui punto di vista prevarrà sempre lungo il corso del trattato, a discapito delle singole personalità indagabili solo attraverso uno sfasamento dalla dimensione collettiva che lo stesso Castiglione tende a far prevalere. Inoltre, nella dimensione domestica e in quella cortigiana, la violenza rappresenta il mezzo privilegiato attraverso cui conservare la posizione di dipendenza e subalternità della donna, il cui status continua ad essere determinato da quello dell’uomo. Questa forma di coercizione risulta essere presente, con maggiore o minore evidenza, in tutti i livelli della società di corte.

Della duchessa Elisabetta Gonzaga, le cui lodi attengono, come assume lo stesso scrittore, a stereotipi dell’amor cortese troppo eccelse per essere Castiglione in grado di parlarne, non si ha alcuna descrizione. Si tratta tuttavia di un’impossibilità che ha dato adito a diverse interpretazioni. Se indubbio è il carattere moraleggiante del Casaticese, che da un lato avanza contro i misogini figure femminili forti e dall’altro sostiene la necessità di decoro e onestà come requisiti imprescindibili del gentil sesso, plausibile risulta l’ipotesi della scelta intenzionale di non far intervenire le donne, in quanto denuncia di un dialogo totalmente al maschile.

Il silenzio delle dame potrebbe quindi essere inteso come velata contestazione dei limiti di comportamento che, anche alle donne socialmente più autorevoli, venivano imposti o come semplice constatazione dei fatti. Per quanto sommariamente se ne parli nel trattato, si può desumere che l’assenza del duca lasci notevolmente più spazio alla benevolenza e all’indiscussa eminenza della duchessa per ciò che concerne l’intrattenimento di alto livello, l’aspetto più cerimoniale delle riunioni e l’intervento come supremo giudice nelle dispute, moderando o sollecitando gli interlocutori.

Seconda figura femminile di rilievo è quella della moderatrice Emilia Pio, vedova del fratello naturale del duca, contraddistinta per la sua vivacità dialogica, disponibilità al riso, all’ira e allo sdegno che emergono in alcuni episodi del dialogo. Sullo sfondo dei due preminenti personaggi femminili, appaiono inoltre altre donne con mera funzione corale e scenografica. La loro presenza non è quasi mai percepibile: a volte danzano, ridono o si animano a comando della duchessa, ma al silenzio sembra averle condannate la stessa stabilendo che fin dall’inizio soltanto gli uomini potranno intervenire nel discorso per proporre i giochi da svolgere nelle riunioni:

Avendo così detto il signor Gaspar, fece segno la signora Emilia a madonna Costanza Fregosa, per esser in ordine vicina, che seguitasse; la qual già s’apparecchiava a dire; ma la signora Duchessa súbito disse: «Poiché madonna Emilia non vuole affaticarsi a trovar gioco alcuno, sebbene pur ragione che l’altre donne partecipassimo di questa commodità, ed esse ancor fussino esente di tal fatica per questa sera, essendoci massimamente tanti omini, che non è pericolo che manchin giochi.» «Così faremo», rispose la signora Emilia; ed imponendo silenzio a madonna Costanza, si volse a messer Cesare Gonzaga, che le sedeva a canto, e gli commandò che parlasse, ed esso così cominciò.

La delega agli uomini non rappresenta che la constatazione della subalternità delle donne negli ambienti direttivi e decisionali, dalle classi più alte a quelle inferiori. A tutti i livelli sociali prevale quindi la tendenza maschile alla sopraffazione, cui le donne, come sostiene il Magnifico, vorrebbero sottrarsi e attorno alla quale si accende una significativa disputa che vede alternarsi molteplici teorie e posizioni filogine e misogine.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Intorno al terzo libro del Cortegiano: un discorso sulla donna detto al maschile

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Informazioni tesi

  Autore: Sophia Melfi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Antonio Corsaro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 40

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