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Rilevanza della statistica non parametrica in psicologia

Le misure di dimensione dell'effetto (effect size) nella ricerca in psicologia

Negli ultimi anni, seguendo le norme dell’ American psychological association (APA), affinché una ricerca riguardante le scienze sociali in particolare, che implica l’utilizzo di tecniche statistiche, possa essere più esaudiente ed esplicativa, viene caldamente consigliato, in linea col pensiero di Wilkinson (1999), l’utilizzo di un appropriato metodo per il calcolo della dimensione dell’effetto.
I test parametrici e non, sono in generale sensibili alla numerosità campionaria, infatti è possibile che conducendo, ad esempio, una ricerca con un campione di 50 volontari, si trovi un valore che non ci permetta di affermare che tra le due ipotetiche popolazioni prese in considerazione, ci sia differenza significativa (considerando α=0.05 che rappresenta in genere il valore minimo nelle scienze sociali). Ma qualora aumentassimo in maniera considerevole la numerosità campionaria, eseguendo lo stesso identico test, è probabile che improvvisamente i risultati segnalino stavolta una differenza statisticamente significativa tra le popolazioni. Ora prendendo a titolo di esempio una qualsiasi ricerca su un training per la diminuzione dell’ansia da prestazione, se alla fine della ricerca, risultasse che il miglioramento è dell’ordine di uno o due punti percentuali, sia con un campione da 100 volontari, sia con un campione di 1000 volontari, anche se nel secondo caso avessimo un risultato statisticamente significativo, non sarebbe comunque una grande argomentazione a favore del training considerato.

L’esempio appena citato, mostra effettivamente che oltre ad un sistema di test per l’ipotesi nulla, è necessario uno strumento che ci permetta di misurare quanto sono realmente grandi gli effetti che vediamo dai nostri dati, ed è a questo punto che le tecniche di misurazione della dimensione dell’effetto trovano spazio.
In realtà il concetto di effect size, inconsciamente è di uso comune, infatti prendendo ad esempio una dieta dimagrante che promette di far perdere 5 Kilogrammi di peso, in questo caso i 5 Kilogrammi non sono altro che la dimensione dell’effetto dichiarato.

Più scientificamente Nakagawa e Cuthill (2007) riportano tre significati che appaiono in letteratura riguardo questo argomento:
1) quello che gli autori chiamano “effetto statistico”, cioè l'insieme degli indici che stimano questa dimensione;
2) il valore reale calcolato dagli indici;
3) l'interpretazione dei risultati nei termini di importanza pratica.

Esistono diversi indici per calcolare l’effect size, ma in generale, come afferma Ferguson (2009), il loro scopo è porre l’accento sulla grandezza di un effetto pratico, oppure su quanto effettivamente sono “legate” due variabili. Il tutto avviene attraverso delle stime, che devono essere interpretate a seconda del caso. Si evidenzia nuovamente quale sia la differenza con un test parametrico o non, infatti questi ultimi comunicano circa l’effettiva presenza di un fenomeno e se questa sia dovuta o meno al caso, mentre gli indici di effect size dispensano informazioni sulla forza con cui si presenta il fenomeno studiato.
Risulta evidente come inserire in un ricerca psicologica la misura di dimensione dell’effetto, possa rendere maggiormente esaustivi i risultati, dandoci reali indicazioni sulla grandezza effettiva del fenomeno, nonché renderli meno astratti, permettendo di valutare quanto sia effettivamente vasta e visibile la loro portata; regalando probabilmente a chi usufruisce della ricerca, un ulteriore punto di vista, maggiormente pratico e tangibile.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Rilevanza della statistica non parametrica in psicologia

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Informazioni tesi

  Autore: Matteo Saderi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Gianmarco Altoè
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 35

FAQ

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