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Transizione democratica in Polonia e Ungheria

La transizione polacca verso una democrazia di tipo liberale

Tra i vari casi di transizione democratica dei paesi dell’est Europa, la Polonia rientra tra le fattispecie di transizione negoziata. Questo comportò una serie di compromessi scomodi per la nascente democrazia, a causa degli accordi stabiliti prima dell’instaurazione. Lo stato neodemocratico polacco si trovò così a convivere con l’antica costituzione (emanata durante il regime autoritario) oltre che con la antica classe dirigente la quale era ancora molto influente e manteneva poteri effettivi sul legislativo e il settore burocratico.

Ma perché tale transizione è definita negoziata? La risposta risiede nel fatto che entrambe le parti in causa (cercarono e trovarono l’appoggio dell’avversario per raggiungere i propri fini) giungendo ad un accordo comune arrivarono ad un patteggiamento. Già a partire dal 1988/1989 le parti si incontrarono a più riprese per esporre i proprio punti di vista, ma fu solo nel 1989, durante una nuova ondata di scioperi guidata da Solidarnosc, che Jaruzelski decise di dare il via al processo negoziale vero e proprio. Si formò così la celebre Tavola Rotonda polacca, in cui il governo ambiva ad un appoggio anche solo parziale da Solidarnosc alle sue scelte politiche-economiche mentre l’opposizione desiderava ciò che solo il governo le poteva concedere: il riconoscimento legale. Importante è sottolineare che in questi anni il Partito Comunista stava vivendo una forte crisi interna, crisi che giocò un ruolo importante nelle decisioni prese dai suoi esponenti. Questa crisi era dovuta alla divisione interna del partito, che al suo interno vedeva fronteggiarsi due fazioni per un ricambio ai vertici del potere. Da una parte si trovavano i riformisti, a favore di un’apertura anche se parziale all’opposizione, e dall’altra parte il gruppo egemone conservatore, chiuso a qualunque tipo di apertura e/o concessione. Le numerose proteste avvenute durante la fine degli anni Ottanta e la caduta del muro di Berlino, fecero sì che l’ala riformatrice progressista del partito ebbe la meglio, attraverso la costituzione della Tavola Rotonda. Primo effetto di quest’ultima furono le elezioni semi-libere del 1989 del Senato, che con grande stupore dei comunisti (ma anche dell’opposizione stessa) videro vincere la coalizione di Solidarnosc.

Dal 24 agosto del 1989 si istaura il primo governo non comunista in un paese sotto l’influenza sovietica, governo guidato da Mazowiecki, intellettuale cattolico considerato una delle figure di spicco del movimento Solidarnosc. Possiamo dire che la democrazia e il movimento d’opposizione avevano vinto contro il colosso comunista, ma a che prezzo?

La Polonia si fece carico di una grande ruolo all’interno del processo democratico dell’est Europa, aprendo la strada ad un processo (ormai) imminente nel mondo comunista. Cionondimeno, questo primato comportò alla Polonia il sacrificarsi nei primi anni di “democrazia” di una sua completa transizione, considerando che dal 1989 al 1991, l’ex-Pc ed i suoi alleati ebbero il comando della maggioranza della camera bassa, sottostando al primo compromesso deciso durante le riunioni della tavola rotonda. Il secondo ed il terzo compromesso erano inerenti alla formazione del Senato e la Presidenza. I risultati di questi accordi non furono facili da raggiungere, ma si conclusero con l’assenso delle parti e la creazione dei punti per la formazione della presidenza e del Senato. Si stabilì che il presidente sarebbe stato eletto in seduta comune dal Senato e dal Sejm, ed una volta eletto questo sarebbe rimasto in carica per sei anni, avrebbe rivestito il ruolo di capo del Comitato di difesa nazionale e delle ffaa oltre che rappresentante della Polonia all’estero; inoltre avrebbe avuto il compito di eleggere il primo ministro del Sejm e qualora lo avesse ritenuto opportuno, revocargli la nomina. Per concludere, la transizione negoziata polacca stipulata a tavolino dalle due forze opposte, quali il governo comunista ed il movimento Solidarnosc, lasciò al paese un’eredità che comportò un mancato consolidamento democratico per due motivi: il primo riguarda la già detta formazione del Sejm, in quanto costituita dal 65% da soggetti non eletti attraverso lo strumento democratico, godendo comunque della stessa importanza del Senato; in secondo luogo, la posizione ambigua del Presidente con i suoi ruoli citati precedentemente e riconosciuti a livello costituzionale.

Altro problema che si interpose al consolidamento democratico, fu la grande frammentazione partitica polacca. Successivamente le prime elezioni semi-libere del 1989, il sistema politico polacco si contraddistingue per la sua evoluzione interna; dapprima si venne a creare una polarizzazione, che come afferma Grilli di Cortona è tipica dei sistemi post-comunisti, seguita da una fase di progressiva frammentazione partitica. Con le prime elezioni del 1989 l’unico obiettivo era quello di uscire dal comunismo senza porsi il problema del post-comunismo. Questo dilemma, però, irruppe sulla scena politica successiva il crollo del comunismo, di seguito alla vittoria di Solidarnosc, e sfociò nelle elezioni del 1991, nelle quali venne a galla una realtà politica ed ideologica polacca frammentata.

Alle elezioni del 1991, il livello di frammentazione politica è tale che si presentarono un centinaio di nuovi partiti con la conseguenza di un parlamento variegato; si formarono 18 gruppi parlamentari oltre al fatto che i principali 4 partiti non raggiunsero il 50% dei seggi. Questa scarsa capacità di creare organizzazioni partitiche non è un deficit unicamente polacco, anzi, è riscontrabile in altri casi dell’est Europa, in cui i nuovi partiti degli anni Novanta si affermano come formazioni prevalentemente di origine parlamentaria. Questo stallo è erede dalla sua storia politica passata, tipica dei paesi post-totalitari che hanno vissuto per decenni una situazione di immobilismo politico. Inoltre, nel caso polacco va aggiunta la grande ostilità della popolazione per la classe politica presente fin dagli anni Settanta, creando quel sentimento antipolitico e antipartitico che si rovescerà sulle elezioni democratiche future. Attualmente, nonostante l’ormai conclusosi processo di democratizzazione, continua a prevalere nella società polacca un sentimento di scetticismo nei confronti dell’istituzioni e della classe politica, riscontrabile nei risultati elettorali successivi le elezioni del 1989, oltre che un’esigua affluenza alle urne. Nelle seguenti tabelle si possono osservare i risultati elettorali delle elezioni del 1991. I dati raccolti nel sito NSD (European Election Database) mostrano l’alto tasso di frammentazione partitica presente; i dati raccolti mostrano i risultati in percentuale dei sedici partiti con più voti, sia a livello nazionale sia a livello regionale polacco.

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Transizione democratica in Polonia e Ungheria

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Zaccardi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli studi di roma tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Barbara Pisciotta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 161

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