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Molteplici personalità e alter ego: David Bowie, l’uomo che sfuggì alla follia

Il linguaggio dello schizofrenico e l’ossessione di Bowie per la follia

I discorsi di una persona affetta da schizofrenia possono risultare talvolta incomprensibili, incoerenti e illogici. Bowie aveva avuto modo di capirlo, principalmente stando a contatto con suo fratello Terry, in seguito al suo crollo psicologico, ma anche quando era bambino, facendo esperienza della malattia mentale di sua zia Una, sorella di sua madre. Gli studi più accreditati mostrano come la disorganizzazione del linguaggio schizofrenico sia in stretta relazione con la modalità delirante e con un disturbo formale del pensiero. Ciò a dire che è la scomparsa dei nessi associativi tra le idee e la circoscrizione concettuale delle stesse a definire le forme del linguaggio schizofrenico insensato ed eccentrico. Il linguaggio rilevato nei soggetti schizofrenici viene pertanto solitamente definito come “disturbo del pensiero”. Hoffman, Andreasen e Grove, hanno analizzato con attenzione tre aspetti essenziali del linguaggio: la semantica, la sintassi e il discorso. Lo scopo dell’indagine, condotta ovviamente su pazienti affetti da schizofrenia, era quello di delineare compromissioni caratteristiche a livello della costruzione del discorso, ovvero un preciso errore nell’utilizzo “delle regole che guidano il modo in cui le frasi possono essere combinate per costruire un’idea precisa o una storia”. Le innumerevoli difficoltà rilevate nei soggetti sono espressione dei deficit cognitivi che li riguarda. Ad esempio, vedremo che la povertà del linguaggio esterna una inabilità a compiere azioni spontanee, nonostante magari, in alcuni casi, il bagaglio di conoscenze di un determinato paziente non sia affatto inferiore a quello del soggetto con il quale egli si confronta. Quindi si potrebbe dire con relativa certezza che il problema effettivo si riscontri a livello dell’azione intenzionale. Allo stesso tempo, la povertà di contenuto può derivare sia dal concreto utilizzo da parte del malato di un lessico molto povero, sia dalla sua ossessione per alcune parole che desidera ripetere con frequenza. Inoltre, nel corso di alcuni studi, è venuto alla luce un altro aspetto cruciale del linguaggio schizofrenico, ovvero, l’utilizzo reiterato di parole inadeguate al contesto del discorso, parole devianti, a volta addirittura neologismi, accostate l’una all’altra fino ad ottenere, il più delle volte, un significato assurdo. Il modo con cui Bowie produceva i testi delle proprie canzoni seguiva una logica non consequenziale. Per sua stessa ammissione, è possibile affermare che egli provasse una certa attrattiva nello spezzare le frasi, qualora avessero troppo senso. In un documentario per la BBC, chiamato Cracked Actor e prodotto nel 1974, fu lo stesso Bowie a mostrare alle telecamere il processo attraverso cui componeva i testi delle canzoni. Egli infatti scriveva lunghi periodi su un pezzo di carta, poi li divideva in singole parole o brevissime frasi, per poi mescolare il tutto in maniera casuale. A questo punto si potrebbe azzardare un’ipotesi: è vero che questo procedimento potrebbe essere inteso semplicemente come parte integrante della sua intuizione creativa, senza che esso nasconda significati più profondi, così come potrebbe essere una sorta di provocazione dell’artista per il suo pubblico, ma è interessante riflettere su come questa vera e propria ricerca dell’incoerenza si sposi perfettamente con la costruzione e, in parte, la logica ( non logica) del linguaggio schizofrenico, preso in analisi precedentemente. Si potrebbe quindi ipotizzare che il suo processo creativo sia stato influenzato profondamente dal contatto con la malattia mentale che egli ebbe sin dall’infanzia e che, in qualche modo, egli tentò di riportare in modo sistematico nei propri lavori.

Bowie, infatti, aveva sempre temuto che il seme della follia fosse ereditario e che quindi, in un modo o in un altro, anche lui fosse destinato alla pazzia. Più tardi sarà impossibile non constatare la vera e propria ossessione per la follia che sviluppò e che fu particolarmente evidente nella sua produzione degli anni 60 e 70. Il quadro che ne viene fuori è pieno di delusioni paranoiche, allucinazioni e manie di grandezza. Il suo immaginario sessuale non è stato quasi mai tenero, ma costantemente avido, disperato e rabbioso. Le immagini evocate dai suoi testi descrivono solitamente gravi violenze e sangue, così come attraverso lo stile di composizione illogico e frazionario degli stessi, egli sembra voglia ricordare esperienze schizofreniche. Probabilmente riusciva in questo modo a razionalizzare le proprie idee con coerenza, dando sfogo a tutti quei pensieri che riteneva tossici e malati, trasformandoli in una forma d’arte. Il suo era forse una sorta di tentativo di “inscatolare” i deliri, in modo da esorcizzare le proprie paure da un lato e, dall’altro, proteggersi dalla pazzia, provando a non perdere il controllo sulla propria mente. Diremo quindi che tale processo potrebbe, per certi versi, essere associato alla sublimazione di cui parla Freud. Nel 1987, ricordando Cracked Actor e il periodo della propria vita durante il quale era stato girato il documentario, Bowie affermò di essere stato in una fase difficile in cui si sentiva bloccato e stonato e si disse onestamente sorpreso di essere riuscito a venirne fuori, aggiungendo di essere stato molto vicino a “throwing myself away physically, completely”. È indubbio il bisogno di protezione, di sentirsi al sicuro, che Bowie avvertì in quegli anni e quella che egli stesso potrebbe aver percepito come semplice creazione artistica in quel momento, non era altro che un meccanismo di difesa che impediva ai suoi ascoltatori di definire un’immagine troppo chiara di se stesso e, allo stesso tempo, gli concedeva l’illusione di avere il controllo sulla propria mente. Su un altro piano, è assolutamente chiaro che egli cercasse di stimolare il proprio pubblico, perché si sforzasse a comprenderlo. Nonostante la percezione incoerente che a volte viene fuori dai suoi testi, persiste comunque un sottile senso narrativo che può essere rilevato con una attenta analisi. Anche la musica non fa solo da contorno, ma esprime delle intenzioni precise. Egli si impegnò al massimo perché anche i suoi personaggi fossero attraenti ed intriganti, così da stimolare l’interesse del pubblico e completare quella che solo nel complesso, senza tralasciare nessun elemento, può essere considerata la sua opera. Sicuramente il non essersi sentito amato e capito dai propri genitori durante l’infanzia, lo ha portato a ricercare nel rapporto con i fans quello che credeva gli fosse sempre mancato. In definitiva diremo quindi che il quadro psicologico di Bowie in quegli anni fu molto complesso. Egli presentava un mondo interiore disturbato e parcellizzato, articolato su una serie di conflitti, mancanze, paure ed ossessioni che, attraverso attraverso un duro lavoro di auto-analisi e l’espressione artistica, usando come mezzi la musica, la poesia, i costumi e la creazione di personaggi, riuscì a rimanere integro e perlopiù coerente.

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Molteplici personalità e alter ego: David Bowie, l’uomo che sfuggì alla follia

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Informazioni tesi

  Autore: Lucia Cappuccio
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Beni Culturali
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Stefano Ferrari
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 58

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