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Interventi genetici a supporto dell'efficienza fotosintetica

Le piante transgeniche

Si è già discusso nel paragrafo 1.3 riguardo la definizione di un OGM in materia legale secondo la CE e di quella più prettamente biologica. Approfondiamo ora gli aspetti che maggiormente preoccupano chi si schiera contro le piante transgeniche: i marcatori di selezione e la natura del transgene. Abbiamo visto nel paragrafo suddetto che il marcatore di selezione è un gene di resistenza ad agenti selettivi come possono essere gli antibiotici, e che dunque la loro funzione è quella di assicurare la presenza del transgene nel genoma della pianta il cui materiale genetico viene modificato. Ciò perché vi è una bassa frequenza d’inserzione nel genoma della cellula vegetale e l’associazione tra marcatore e transgene permette la proliferazione delle sole cellule trasformate. In passato, per la costituzione delle prime piante transgeniche, venivano impiegati geni di resistenza agli antibiotici. Il rischio che suscitò molte polemiche era la possibilità che, cibandoci di piante contenenti il marcatore e di prodotti da esse derivati, la resistenza agli antibiotici potesse essere trasferita alla flora batterica intestinale. Questo fenomeno si chiama trasferimento genico orizzontale e avrebbe potuto favorire l’insorgenza di nuove resistenze anche in microrganismi patogeni. Molti studi hanno però dimostrato che la probabilità di trasferimento orizzontale è straordinariamente bassa (da 1:10–12 a 1:10–26). Inoltre, le resistenze utilizzate interessavano antibiotici di scarsa importanza medica (kanamicina o ampicillina), ma nonostante ciò, in ottemperanza alle disposizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le piante transgeniche prodotte dal 2002 in poi utilizzano marcatori che non sfruttano la resistenza ad antibiotici. Sono state sviluppate anche tecniche che permettono di eliminare il marcatore a posteriori dalla pianta transgenica (piante marker-free). La natura del transgene è un’altra questione importante da tenere in considerazione perché nella cellula vegetale risultano funzionali, oltre i geni di origine vegetale, anche i geni provenienti da virus, batteri e animali. Infatti, tecnicamente si parla di trans-gene (e di transgenesi) quando il gene esogeno proviene da una specie filogeneticamente distante o da un organismo che fa parte di un altro regno. Invece, si parla di cis-gene (e di cisgenesi) quando il gene aggiuntivo proviene da genotipi della stessa specie o di specie sessualmente compatibili. È importante fare questa distinzione per le implicazioni ambientali, sanitarie e giurisprudenziali. Infatti, con la cisgenesi il gene esogeno è controllato dal suo promotore e contiene i suoi introni e sequenze terminatrici. Cioè sono, in questo modo, coinvolti solo i geni che interverrebbero nel breeding classico, sostituendo un processo che potrebbe comunque avvenire in natura ma in tempi lunghissimi rispetto all’ingegneria genetica. Altresì da più parti viene stabilito un iter di valutazione giuridica differente tra piante transgeniche e cisgeniche. In ogni caso, che sia transgenesi o cisgenesi, l’ingegneria genetica amplia le vedute delle applicazioni biotecnologiche in agricoltura, superando le limitazioni delle difficoltà di introduzione di resistenze coi metodi tradizionali, le barriere sessuali e creando nuove opportunità per il miglioramento genetico delle piante coltivate, che possono essere utilizzate oltre che per la produzione di cibo e fibre, anche per la produzione di biomateriali o biofarmaci.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Interventi genetici a supporto dell'efficienza fotosintetica

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Informazioni tesi

  Autore: Raffaele Magliulo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Napoli
  Corso: Scienze e tecnologie agrarie, agroalimentari e forestali
  Relatore: Domenico Carputo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 28

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Parole chiave

storia
agricoltura
simbiosi
miglioramento
rubisco
fotosintesi
genetico

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