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L’interlingua di apprendenti italiani di inglese L2: un case study

L’Interlingua

Nell’ambito degli studi sull’acquisizione della L2 sono state diverse le definizioni attribuite alla lingua dell’apprendente. Essa è stata definita una “competenza transitoria” (Corder, 1967); un “dialetto idiosincrasico” (Corder, 1971), un “sistema approssimativo” (Nemser, 1971) e ancora “varietà di apprendimento” (Klein & Perdue, 1997). La definizione che però si è affermata nella relativa letteratura è quella di “interlingua” (Selinker, 1972). L’accresciuto interesse nei confronti del sistema linguistico che l’apprendente costruisce quando impara la L2 nacque dalla necessità di andare oltre i semplici errori commessi da quest’ultimo. Sebbene l’Analisi dell’Errore avesse introdotto un nuovo approccio all’errore, non considerandolo più come una devianza rispetto alle norme della L2, si cominciò a pensare che sarebbe stato interessante condurre uno studio globale della lingua dell’apprendente. Essa doveva dunque essere considerata nella sua unicità e nella sua complessità, a prescindere sia dalla L1 che dalla L2 dell’apprendente. In altre parole, riprendendo una definizione di Corder (1971) si cercò di comprendere in che modo funzionasse il “sillabo interno” dell’apprendente e come si sviluppasse il sistema linguistico che viene gradualmente costruito. Le ricerche in ambito acquisizionale divennero particolarmente prolifiche a partire dagli anni Settanta e permisero di fare maggiore chiarezza su quest’argomento. Non solo si svilupparono diversi approcci alla lingua dell’apprendente ma i risultati di queste ricerche hanno avuto in seguito importanti risvolti didattici. Tali risvolti hanno permesso di introdurre un nuovo tipo di valutazione, che non si basa esclusivamente sull’errore dell’apprendente, ma che cerca di capire in che modo la sua interlingua si sta sviluppando affinché si possano offrire agli studenti i giusti strumenti per sviluppare a pieno le proprie capacità.

Primi tentativi di definizione della lingua dell’apprendente
Le origini della disciplina che si occupa di studiare e analizzare il processo di acquisizione della L2 risalgono al contributo offerto dall’analisi contrastiva negli anni Cinquanta. Sebbene in un primo momento la lingua in corso di apprendimento fosse sempre stata rapportata alla lingua materna, considerandone l’inevitabile influenza, in seguito si cominciò a pensare che l’apprendente fosse un soggetto attivo, che formula ipotesi a proposito delle strutture della lingua che sta apprendendo. Con l’Analisi dell’errore, inaugurata in particolare da Corder (1967), si cominciò a concepire l’errore come un segnale positivo, in quanto era possibile capire come stava procedendo lo sviluppo della lingua dell’apprendente proprio a partire dai suoi errori. Il contributo di Corder è stato fondamentale perché il sistema linguistico che l’apprendente costruisce, a prescindere dall’influenza della lingua materna, cominciò a diventare oggetto di interesse di molti studiosi, fino a quando venne introdotta la celeberrima definizione fornita da Selinker (1973) in riferimento alla lingua dell’apprendente, ossia quella di Interlingua. In quegli anni, però, sono stati diversi gli apporti forniti da alcuni modelli descrittivi di tale sistema linguistico e diverse sono state le definizioni date a proposito della lingua dell’apprendente, a dimostrazione del fatto che si cominciava a fare strada l’interesse verso questo oggetto di studio. Ritornando ai modelli teorici introdotti da Corder (1969; 1971), non si può prescindere da un riferimento a questi ultimi se si vuole parlare dei primi studi sulla lingua dell’apprendente, visto che tali riflessioni possono essere considerate anticipatrici della teoria dell’Interlingua. Tuttavia, è anche doveroso menzionare il contributo fornito da Weinreich (1953), che nel suo lavoro Languages in Contact, espone in maniera dettagliata il concetto di contatto linguistico, soprattutto in riferimento alla nozione di interferenza, trattando in particolare del parlante bilingue:

Those instances of deviation from the norm of either language which occur in the speech of bilinguals as a result of their familiarity with more than one language,
i.e. as a result of language contact, will be referred as INTERFERENCE phenomena (Weinreich, 1953: 1)


Dunque, accade spesso che il parlante bilingue sovrapponga i due sistemi linguistici con i quali ha a che fare e, di conseguenza, è possibile che utilizzi delle forme “devianti” rispetto alla grammatica di entrambe le lingue. In particolare, questo si verifica quando il parlante identifica delle potenziali similitudini tra i due sistemi, creando quelle che Weinreich (1953) definisce “identificazioni interlinguistiche”. Per esempio, lo stesso fonema può essere utilizzato in entrambe le lingue, oppure, a livello semantico, il parlante potrebbe utilizzare due diversi significanti attribuendo loro lo stesso significato. Ciò che rende questo modello teorico interessante ai fini della ricerca sulla lingua dell’apprendente è il fatto che il fenomeno dell’interferenza non preveda semplicemente l’introduzione di nuovi elementi linguistici. Infatti, Weinreich (1953) fa riferimento al fatto che, quando si verificano fenomeni di interferenza, il parlante ristruttura il sistema linguistico che sta costruendo, integrando le strutture che risultano dall’introduzione di nuovi elementi. Se si prendono in considerazione le teorie e le definizioni a proposito della lingua dell’apprendente fornite a partire dagli anni Settanta, si può percepire l’influenza dell’approccio di Weinreich. Ritornando a Corder (1967), infatti, secondo lo studioso l’apprendente dispone di una sorta di “sillabo interno” universale attraverso il quale costruisce in maniera graduale il proprio sistema linguistico, che viene in un primo momento definito “competenza transitoria”. Non a caso viene scelta una definizione che fornisce informazioni importanti in merito alla natura della lingua dell’apprendente. In primo luogo, il concetto di competenza fa proprio riferimento alla teoria chomskiana e cioè alla conoscenza che il parlante ha delle regole della lingua che sta imparando. Questa competenza, come già detto in precedenza nel presente elaborato, è riconducibile ad una grammatica detta universale, che è cioè comune a tutti gli individui. Questo riferimento al concetto di competenza lascia intendere che anche l’apprendente di una L2, così come il bambino che acquisisce la lingua materna, attinge a un insieme di conoscenze uguali per tutte le lingue, selezionando le opzioni che ritiene consone al sistema linguistico che sta costruendo. D’altra parte, il termine “transitoria” fa riferimento al fatto che la lingua dell’apprendente è in continua evoluzione e quindi ne evidenzia la forte instabilità (Corder, 1967). Questo concetto viene approfondito in seguito da Corder (1971), il quale introduce un’ulteriore definizione che, ancora una volta, mette in evidenza l’instabilità di tale sistema, ossia quella di “dialetto idiosincrasico”. Il termine idiosincrasico fa proprio riferimento al fatto che tale dialetto è per sua natura instabile ed ha delle caratteristiche proprie. Anche altri tipi di linguaggio sono per Corder (1971) idiosincrasici, come ad esempio quello poetico o lo stesso linguaggio che viene acquisito dai bambini. Quindi, ancora una volta, vediamo che la lingua dell’apprendente può essere concepita negli stessi termini della lingua acquisita dal bambino, per cui si tratta di un sistema soggetto a continui cambiamenti. Lo sviluppo di questo dialetto segue delle tappe, che però non sono separate le une dalle altre, piuttosto si fondono l’una con l’altra. L’apprendente, infatti, costruisce la grammatica della lingua che sta apprendendo attraverso la formulazione di una serie di ipotesi che possono essere sia smentite che confermate dall’input con il quale si confronta (Corder, 1973). Se tali ipotesi vengono confermate, l’apprendente integrerà gradualmente la nuova struttura al sistema che sta costruendo. A questo proposito possiamo riconsiderare le parole di Weinreich (1953) in riferimento al concetto di interferenza linguistica. Le definizioni fornite da Corder non sono, però, le sole ad affermarsi nell’ambito degli studi sulla lingua dell’apprendente. Nemser (1971) parla, ad esempio, di “sistema approssimativo”. Anche in questo caso, ci sono motivazioni ben precise che hanno spinto a scegliere questa definizione. Si tratta di un sistema approssimativo proprio perché è ancora in corso di strutturazione, nel senso che l’apprendente non utilizza ancora la lingua target ma costruisce un sistema che non corrisponde né alla sua lingua materna né alla L2. Inoltre, esso si sviluppa attraverso una serie di tappe che permettono all’apprendente di allontanarsi gradualmente dalla L1 per avvicinarsi sempre di più alla lingua target. Questo processo accomuna tutti gli apprendenti di una L2, sebbene ci sia la possibilità di trovare delle variazioni individuali che sono attribuibili alle caratteristiche proprie di ciascun apprendente o ad altri fattori esterni. Queste teorie richiamano indubbiamente la stessa teoria dell’Interlingua che si andrà a sviluppare in quegli anni, poiché, sebbene attraverso diverse definizioni, tutte concepiscono la lingua dell’apprendente come un sistema in continua evoluzione e che allo stesso tempo è strutturato al suo interno.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’interlingua di apprendenti italiani di inglese L2: un case study

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Informazioni tesi

  Autore: Lucia Rosa Attianese
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Salerno
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere Moderne
  Corso: Lingue e letterature moderne euroamericane
  Relatore: Mikaela Cordisco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 136

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