Vaccinarsi contro la disinformazione ai tempi del COVID-19: una ricerca sull’efficacia di Go Viral! in Italia
Processi cognitivi che influenzano l’accettazione e la condivisione della disinformazione
I "big five" del giudizio di verità. L’accettazione di un’informazione come vera nelle conversazioni quotidiane passa per il tacito presupposto che chi parla dica qualcosa di rilevante per la conversazione in corso, veritiero, informativo e chiaro (Grice, 1975; Sperber & Wilson, 1986), dunque, che sia un ‘comunicatore cooperativo’. Alcune ricerche hanno suggerito che per comprendere un’affermazione, l’individuo deve almeno temporaneamente accettarla come vera (Gilbert, 1991). Coerentemente con questo principio di base, gli individui sovrastimano la veridicità di ciò che gli altri dicono, fenomeno noto come ‘truth bias’ (Burgoon et al., 2008; Reinhard et al., 2013). Andare oltre il default di accettazione è possibile (Hasson et al., 2005; Schul et al., 2008), ma richiede motivazione e risorse cognitive, come alti livelli di attenzione o alti livelli di sfiducia nel momento in cui il messaggio viene ricevuto. Per tali motivi, se l’argomento non è particolarmente importante per noi o la nostra attenzione è posta altrove, è molto probabile che la disinformazione venga accettata. Tipicamente, quando le persone valutano la possibilità che un’informazione sia vera considerano alcuni dei seguenti cinque criteri (Schwarz, 2015):
1. compatibilità (questa informazione è compatibile con le altre cose che so?);
2. coerenza (è interconnessa e coerente?);
3. credibilità (proviene da una fonte attendibile?);
4. consenso sociale (altre persone sono d’accordo con essa?);
5. prove a supporto (ci sono molte prove a sostegno?).
Ciascuno di questi criteri può essere valutato in due modi: analiticamente (strategia lenta e faticosa) o intuitivamente (strategia veloce e intuitiva).
Per quanto riguarda la compatibilità, essa può essere valutata analiticamente controllando l’informazione rispetto alla propria conoscenza, il che richiede tempo e motivazione (Petty & Cacioppo, 1986). Un indicatore meno impegnativo per valutare la compatibilità di un’informazione è fornito dalle esperienze meta-cognitive e dalle risposte affettive di fronte alla nuova informazione. Infatti, i messaggi che non sono compatibili con le nostre credenze sono processati dal nostro sistema cognitivo in maniera meno fluente rispetto ai messaggi che invece corrispondono alle nostre conoscenze, perciò, impiegheremo più tempo a leggerli ed avremo maggiori difficoltà ad elaborarli (Winkielman et al., 2012).
Inoltre, le informazioni che non sono coerenti con le nostre credenze preesistenti producono una risposta affettiva negativa, come affermato da alcune teorie della coerenza cognitiva (es., Festinger, 1957). Conseguentemente, le esperienze di elaborazione metacognitva e le risposte affettive spontanee possono costituire degli indicatori (fallibili) del fatto che un’affermazione sia compatibile con altre credenze.
Per quanto invece concerne il giudizio di coerenza, essa può essere determinata attraverso un’analisi sistematica delle relazioni tra i diversi pezzi di informazione, cioè valutando quanto un’affermazione si adatta ad una storia più ampia che conferisce appunto coerenza ai suoi singoli elementi. In alternativa, essa, così come la compatibilità, può essere valutata facendo affidamento sulle esperienze di elaborazione: le storie coerenti sono più facili da processare rispetto alle storie incoerenti (Johnson-Laird, 2012). Di conseguenza, le persone valuteranno il materiale più facile da processare come più coerente, come osservato nei giudizi di coerenza semantica (Topolinski & Strack, 2008, 2009) e nel ragionamento (Morsanyi & Handley, 2012).
Le valutazioni sulla credibilità di una fonte possono essere basate su informazioni che riguardano, per esempio, la competenza del comunicatore, l’istruzione, l’affiliazione istituzionale, la presenza o l’assenza di interessi contrastanti e indizi contestuali (Eagly & Chaiken, 1993; Petty & Cacioppo, 1986). Le persone, tuttavia, spesso tendono a non prestare attenzione agli indizi contestuali quando valutano la credibilità di una fonte, ma hanno la tendenza a focalizzarsi sulle caratteristiche del comunicatore piuttosto che sul contesto (Ross, 1977). Ad esempio, è stato mostrato come dei testimoni esperti sono considerati ugualmente persuasivi sia sottoposti a giuramento che in un altro contesto (Nyhan, 2011). Inoltre, spesso è maggiormente ricordato il contenuto del messaggio rispetto alla sua fonte e una storia coinvolgente proveniente da una fonte non credibile può essere ricordata ed accettata dopo che il ricordo della fonte è svanito: questo fenomeno viene chiamato ‘sleeper effects’ (Eagly & Chaiken, 1993). In alternativa, per giudicare la credibilità della fonte, una persona può fare affidamento sui sentimenti di familiarità. Tuttavia tali sentimenti possono essere prodotti dalla mera ripetizione di un messaggio. La semplice ripetizione di un nome può far sembrare familiare un nome sconosciuto, rendendo il suo portatore ‘famoso da un giorno all’altro’ (Jacoby et al., 1989), il che può aumentare anche la competenza percepita. Tale ripetizione può portare ad aumentare la facilità con la quale il nome viene ricordato e pronunciato, il che aumenterà a sua volta anche la credibilità del portatore di tale nome e la probabilità che le sue affermazioni vengano giudicate come vere (Newman et al., 2014).
Festinger (1954) definisce il consenso sociale come un ‘test di realtà secondario’: se molte persone credono in un pezzo di informazione, probabilmente c’è qualcosa di vero. Le persone sono più fiduciose nelle loro convinzioni se sono condivise da altri (Newcomb, 1943; Visser & Mirabile, 2004) e ripongono più fiducia in ciò che ricordano se altri lo ricordano allo stesso modo (Harris & Hahn, 2009; Ross et al., 1998). Questo accade specialmente quando le informazioni di consenso sociale provengono dal proprio gruppo di riferimento (Krech et al., 1962), come accade appunto nelle ‘echo cambers’. Invece, percepire il dissenso sociale nei confronti di un determinato messaggio mina notevolmente l’accettazione dello stesso, il che rende le controversie reali o inventate una strategia efficace influenzare l’opinione pubblica (Lewandowsky et al., 2012; 2013). La cosa più ragionevole da fare per valutare il grado in cui un’informazione è condivisa da altri sarebbe consultare i sondaggi dell’opinione pubblica o chiedere agli amici. Tuttavia, sappiamo che spesso le persone si affidano alle euristiche che si basano sulla familiarità. In questo caso, le persone si affidano ai sentimenti di familiarità per giudicare il consenso sociale dal momento che, in generale, le credenze popolari, condivise da molti, vengono più facilmente incontrate rispetto alle credenze impopolari che sono detenute da poche persone (Schwarz & Jalbert, 2021). Come abbiamo già visto, le informazioni familiari sono processate più facilmente rendendo tale facilità un indicatore (fallibile) di familiarità e popolarità ed influenzando il consenso percepito.
Infine, la quantità di prove a supporto di un’affermazione può essere valutata attraverso la consultazione di una revisione della letteratura scientifica (ricerca esterna) oppure attraverso il richiamo dalla memoria delle prove a supporto dell’affermazione. Un indicatore meno impegnativo sarebbe quello della facilità con la quale possono essere trovate le prove, il quale renderebbe conto della quantità esistente di tali prove. Tuttavia, questa strategia, chiamata ‘euristica della disponibilità’ (Tversky & Kahneman, 1973) può essere molto fuorviante. Infatti, se l’unica prova a supporto viene riportata facilmente perché è stata ripetuta molte volte oppure è molto vivida e memorabile, allora potremmo erroneamente concludere che il supporto è forte. Inoltre, se da un lato il fatto di riuscire a portare alla mente molte informazioni a supporto conduce ad una maggiore fiducia nell’affermazione, dall’altro maggiore è il tentativo di riportare alla mente più prove possibili, minore è la fiducia nell’affermazione, dal momento che trovare molte prove è difficile (Haddock et al., 1999).
In conclusione, possiamo dire che la facilità di elaborazione fornisce informazioni utili sottoforma di ‘scorciatoia mentale’ per valutare il grado in cui un’affermazione soddisfi i principali criteri di verità ma tali informazioni non sono prive di errori. Gli individui, però, sono molto sensibili alla loro esperienza di elaborazione ma insensibili alla provenienza di tale esperienza. In altre parole, noi non ci rendiamo conto del fatto che i nostri giudizi di verità sono influenzati da ogni fattore che può condizionare la facilità con la quale noi elaboriamo un’informazione (es., ripetizione, leggibilità dei caratteri di stampa).
Queste dinamiche del giudizio di verità hanno importanti implicazioni per i social media: ad esempio, la maggior parte dei messaggi dei social media sono brevi, scritti con un linguaggio semplice e presentati in un’ottica di facile lettura, soddisfacendo molti dei prerequisiti tecnici per una facile elaborazione. Inoltre, essi vengono postati dai nostri amici (fonti credibili) ed il loro contenuto spesso è compatibile con le nostre convinzioni (compatibilità). I messaggi che noi postiamo vengono apprezzati da altri amici (consenso sociale), ripostati, assicurando così esposizioni ripetute, e commentati (prove a supporto) (Schwarz & Jalbert, 2021). Da questa prospettiva, è lecito pensare che i social media siano stati progettati appositamente per far sembrare veri messaggi discutibili.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandra Molinari |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Teresa Gavaruzzi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 106 |
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