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La subordinazione nel pubblico impiego

Il valore del lavoratore pubblico: lavoro-diritto e lavoro-servizio

Ecco, quindi, come – alla luce di tutte le considerazioni suesposte – si riesca ora a comprendere più agevolmente la ragione per cui il decreto legislativo n. 29 del 1993 abbia ipotizzato un nuovo status del pubblico dipendente, intendendolo, nei vari livelli di competenza e responsabilità, come la persona immaginata dall’articolo 2 della Costituzione – un uomo capace, cioè, di sviluppare la propria personalità sia come singolo, sia nelle formazioni sociali – e ponendo, conseguentemente, l’impiego pubblico non soltanto in termini di lavoro–diritto, ma soprattutto di lavoro–servizio ai terzi.

Si comprende meglio anche la manifesta insensatezza dell’opinione che vorrebbe la privatizzazione tout court del lavoro subordinato presso l’apparato amministrativo e che ritiene il lavoratore pubblico, alternativamente, o troppo garantito, o insufficientemente tutelato.
Per connotare il lavoro pubblico non importa tanto l’ampiezza della contrattazione collettiva o l’utilizzo più meno generoso di norme giusprivatiste, quanto piuttosto l’accentuata soggezione al servizio verso i terzi.
In tal modo l’unificazione delle regole del rapporto di lavoro pubblico con quello privato non annacqua, né risolve, il primo nel secondo; questo perché i valori costituzionali su cui riposa il primo risultano non aggirabili da alcun altro, più o meno strumentale, mezzo interpretativo.
Tutto ciò si evidenzia, positivamente, in relazione ai principi d’organizzazione sanciti dal citato decreto legislativo n. 29 del 1993, i quali vincolano a sé gli elementi di ogni singolo rapporto di lavoro nella misura in cui, a differenza del lavoratore privato, il pubblico dipendente – appartenente ad un’organizzazione pubblica funzionalizzata – svolga prestazioni che vadano ben oltre lo schema tradizionale dell’autosufficienza negoziale e che siano improntate al vincolo collaborazione–dipendenza con altri soggetti, all’interno dell’organizzazione d’appartenenza o nei rapporti con i terzi fruitori della funzione esercitata.

Ciò si evidenzia pure, negativamente stavolta, nei doveri di fedeltà e correttezza – comprensibili solo in relazione ai valori etico–giuridici ed organizzativi sottesi dagli articoli 97 e 98 della Costituzione – sanciti dalle regole di condotta cui è soggetto ogni pubblico dipendente.
In entrambi i casi, non c’è bisogno di altre parole per spiegare che l’uso di modelli giusprivatisti all’interno del pubblico impiego non ne cambia la rerum substantia degli istituti, la cui struttura risulta conformata dalle potestà organizzatorie con le quali si manifesta lo stesso pubblico potere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La subordinazione nel pubblico impiego

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Terio
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e legislazione d'impresa
  Relatore: Andrea Pilati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 294

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