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evidenziato, oltre a maggiori dimensioni cellulari, un incremento 
del tenore in droga, pur non essendo noti, a quei tempi, gli 
ingredienti psico-attivi della canapa e la modalita di estrarli e 
dosarli.  
Le conoscenze circa gli effetti della poliploidia indotta sulla 
produttività quali-quantitativa di metaboliti secondari in canapa 
sono al momento ancora insufficienti.  
Le motivazioni che giustificano lo studio di piante di Cannabis 
tetraploide sono fondamentalmente legate alla produzione 
economicamente sostenibile di piante ad uso terapeutico in 
ambiente protetto, ad elevata standardizzazione qualitativa e 
quantitativa dei fitocannabinoidi.  
L’impiego di piante tetraploidi per la produzione di fitoterapici 
renderebbe più agevole il controllo della produzione, 
dell’organizzazione e della diffusione della coltura, consentendo 
così agli investitori (agenzie e industrie farmaceutiche) la 
protezione del diritto d’autore. Infatti, l’ottenimento di linee 
tetraploidi consentirebbe la produzione, mediante l’incrocio con 
linee diploidi già disponibili, di ibridi triploidi sterili, con 
un duplice vantaggio: 
1) le piante cosi ottenute, non potendo destinare gli assimilati 
alla formazione del seme, continuerebbero a produrre fiori che 
sono la parte più ricca di tricomi ghiandolari in cui si 
accumulano i metaboliti secondari; 
2) la sterilità eviterebbe il rischio di sottrazione dei materiali 
brevettati. 
Il presente lavoro ha lo scopo di portare un contributo alla 
conoscenza delle modalità più idonee di induzione della 
poliploidia in canapa e degli effetti da essa indotti sulle 
caratteristiche morfofisiologiche e qualitative. 
  
  
  
  
  
  
  
  
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1.2)  CARATTERISTICHE DELLA SPECIE Cannabis sativa L 
  
1.2.1) Tassonomia 
  
Sulla classificazione della Cannabis esistono opinioni 
contrastanti. La classificazione attualmente accettata è quella 
proposta da Cronquist (1981) che inquadra la specie nel seguente 
modo: 
  
DIVISIONE: Magnoliophyta 
CLASSE: Magnoliopsida 
     SOTTOCLASSE: Hamamelidae  
         ORDINE: Urticales  
              FAMIGLIA: Cannabaceae (o Cannabinaceae) 
  
La famiglia Cannabaceae comprende i soli generi Cannabis n=10 e 
Humulus n=8 (Mehra e Gill, 1974; Sytsma et al. 2002). 
  
GENERE: Cannabis 
SPECIE: Cannabis sativa L. 
  
La classificazione del genere prevede l'esistenza di una sola 
specie generica. La specie viene definita Cannabis sativa Linnaeus 
(L.), dal primo naturalista studioso di sistematica Carl Von Linnè 
(1707-78 Svezia) e viene intesa come una specie intrafertile, con 
riproduzione allogama ed impollinazione anemofila.  
Questa specie è rappresentata da due sottospecie, sativa ed 
indica, distinte in primo luogo per la qualità e in secondo per la 
quantità di cannabinoidi, la classe di metaboliti secondari più 
importante di tale specie.  
La biosintesi di detti metaboliti avviene nei tricomi ghiandolari 
e perciò il lattice secreto entro le ghiandole costituisce un 
carattere tassonomico (Lawi-Berger et al. 1984). 
Questa distinzione fu sottolineata nel 1929 da Nicolaj Vavilov 
(1887-1943 Russia), importante agronomo, botanico e genetista, che 
suppose come i cannabinoidi fossero dei marcatori che discriminano 
la tassonomia della Cannabis e postulò le basi della loro 
ereditarietà.  
La classificazione proposta da Cronquist & Small (1976) propone 
non solo l'esistenza di due sottospecie (sativa e indica), ma 
anche l'esistenza di due livelli sub-varietali all'interno d’ogni 
sottospecie. In particolare per la sottospecie “sativa” furono 
indicate due varietà:  
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la varietà “sativa” e la varietà “spontanea Vavilov”, secondo il 
limite in THC 0,3 % che fu la prima soglia concordata nel 1970 per 
la selezione di canapa agroindustriale.  
La sottospecie “indica” venne, a sua volta, suddivisa in due 
livelli sub-varietali: la varietà “indica” e la varietà 
“kafiristanica” (Vavilov). 
Il gruppo “indica” si distingue dal gruppo “sativa” per un maggior 
numero di ramificazioni del fusto, un tessuto parenchimatico più 
sottile, un maggiore numero ed una superiore dimensione dei vasi 
del tessuto vascolare, un maggior contenuto di cellulosa, un 
numero maggiore di segmenti fogliari (5-13 per il gruppo indica e 
5-11 nel gruppo sativa, Wilmot, 1999) e per le proprietà 
stupefacenti.  
Nei database tassonomici sono riportate altre classificazioni 
oltre a quella di Cronquist & Small: alcune dividono il genere 
Cannabis in tre specie (Shultes, 1974; Emboden, 1974; Anderson, 
1974), altre riconoscono formalmente una sola specie generica 
costituita da tre sottospecie (Wilmot-Dear, 1999).  
Queste ultime classificazioni sono basate su caratteri morfologici 
come l’altezza della pianta, il grado di ramificazione del fusto, 
la forma delle foglie e degli acheni e non prendono in 
considerazione i caratteri biochimici distintivi della 
composizione del lattice.  
Secondo Anderson (1980), la morfologia e l'anatomia del fusto 
suggerisce l'esistenza di più di una specie.  
Hillig, nel 2005, ha pubblicato un lavoro in cui viene riesaminata 
la sistematica e l’evoluzione della specie riproponendo 
l’esistenza della Cannabis ruderalis, come specie distinta.  
Il ricercatore ha osservato la variazione di 11 enzimi del 
metabolismo primario dedotti dalla variazione di 52 alleli a 17 
loci, ed ha trovato, in un insieme di popolazioni, costituito da 
157 accessioni di origine geografica diversa, l'esistenza dei due 
principali gruppi: 
1) il gruppo sativa, che include popolazioni spontanee e coltivate 
impiegate per ricavare fibra e semi, provenienti dall'Europa, 
dall’Asia Minore e Centrale e popolazioni spontanee di ruderalis 
provenienti dall'Europa Centrale;  
2) il gruppo indica che include popolazioni originarie dell'Asia 
Orientale, usate sia per ottenere fibra e semi sia per scopi 
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medici: esse sono rappresentate da ecotipi con foglie strette 
provenienti dall'Asia Meridionale, dall’Africa, e dall’America 
Latina, ed ecotipi con foglie larghe provenienti dall'Afghanistan, 
dal Pakistan, dall’India e dal Nepal. 
L'autore presume che i marcatori genetici impiegati nello studio 
fossero neutrali agli effetti della selezione chemiotipica, in 
quanto gli enzimi preposti alla biosintesi dei cannabinoidi, 
l'acido cannabidiolico-sintasi (CBDAs) e l'acido 
tetraidrocannabinolico-sintasi (THCAs), erano stati esclusi 
dall’indagine. La variazione degli allozimi, riferita alle 
divergenze genetiche come alle serie geografiche di origine, 
dimostra una significativa diversità chemiotipica dei taxa sativa 
e indica, ribadisce il riconoscimento formale di una 
classificazione politipica e possibilmente della ruderalis come 
specie separata. Sempre Hillig, nel riconsiderare il lavoro svolto 
nel 2005, spiega che il terzo allozima, identificato 
apparentemente solo nella ruderalis, non inquadra l’esistenza di 
tale specie sulla base del modello che prevede la presenza di uno 
dei due principali cannabinoidi, l'acido cannabidiolico (CBDA) o 
l'acido tetraidrocannbinolico (THCA) nel differenziare il genotipo 
d’appartenenza e di sottogruppi caratterizzati da un diverso grado 
di espressione del cannabinoide che lo caratterizza.  
Le deduzioni tassonomiche, determinate più dai caratteri 
quantitativi che qualitativi dell’accumulo in cannabinoidi è 
perciò ancora confuso. La "specie" Cannabis ruderalis fu 
descritta  per la prima volta nel 1924 da Janischewsky in base 
principalmente ai caratteri morfologici dell'achenio (< 3,8 mm), 
per la bassa statura (10-60 cm) e per  il ciclo biologico breve 
(8-10 settimane). Questo sottogruppo spontaneo fotoperiodo-
indipendente si trova diffuso dal nord della Russia europea fino 
all'ovest della Siberia e dell'Asia centrale. La costituzione 
chimica di tale ecotipo, che non è mai stato sottoposto a 
selezione per il fitocomplesso perchè spontaneo, si distingue per 
i più alti livelli in CBD 9,8-10,9% accompagnati da valori medi di 
0,7% di THC, pari all’ 1% in THC nell’estratto secco, secondo 
Novak e Chlodwig (2003), se confrontate con le varietà di canapa 
selvatica ritrovata nello stato del Kentucky, in Turchia, e in 
Cina (Hoffman, 1983 e Small, 1975). Le forme chemiotipiche 
rinvenute nel tipo ruderalis sono state, perciò, inquadrate da 
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Cronquist & Small (1976) come una fase parallela del gruppo CBDA e 
classificate come Cannabis sativa L. sottospecie “sativa” varietà 
“spontanea Vavilov”. 
Dall'avvento delle tecniche di biologia molecolare basate 
sull'analisi PCR (polymerase chain reaction) il genere Cannabis è 
oggetto di numerosi studi riguardanti sia i suoi metaboliti 
secondari sia i caratteri sessuali della specie che rappresentano 
gli aspetti più rilevanti del miglioramento genetico.  
Finora, mediante l’analisi molecolare, è stato possibile 
inquadrare le varie accessioni di Cannabis in gruppi molto 
eterogenei, in funzione della stessa selezione chemiotipica (THCAs 
e CBDAs) o della zona di provenienza (ecotipi). Esistono inoltre 
dei database genomici specializzati presso la DEA (Presby et al., 
2003) che sono utilizzati per assegnare l'origine del materiale 
sequestrato nei casi forensi a seconda che essi derivino da cloni 
(gruppi di individui, geneticamente identici derivati per 
propagazione vegetativa da un unico capostipite) o semi (gruppi di 
individui, geneticamente differenti). Le sequenze polimorfiche 
registrate o mappe di linkage nei database della DEA sono dedotte 
tramite analisi AFLP (amplified fragment lengt polymorphism) la 
quale identifica un numero elevato di marcatori multi-locus 
rispetto alle altre metodologie (Vos et al., 1995) e permette di 
identificare il potenziale chemiotipo senza l’analisi biochimica. 
Datwyler e Weiblen (2004) hanno analizzato la variabilità genetica 
in tre famiglie con chemiotipo CBDA ed in una di tipo THCA. Sono 
stati utilizzati dieci primers specifici nella tecnica AFLP e sono 
stati identificati 1409 loci di cui 1274 (90,5 %) polimorfici.  
I confronti a coppie hanno evidenziato da 33 a 70 differenze 
fissate tra famiglie, di cui 18 tra i gruppi sativa ed indica.  
Due loci sono stati trovati esclusivamente nelle piante di sesso 
maschile, suggerendo che questi siano localizzati sul cromosoma Y.  
Kojoma et al. (2002) identificarono, da prima tramite l'analisi 
biochimica HPLC, tre piante di Cannabis sativa L. 
I tre individui furono classificati in due chemiotipi, un 
esemplare di tipo THC e due di tipo CBD, questi ultimi non 
distinguibili attraverso i cromatogrammi.