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Capitolo I: Il nome 
Introduzione alla nominalità 
Per affrontare il tema della nominalità, in particolar modo per lo sviluppo delle 
definizioni di nome proprio e nome comune e per la classificazione del nome nelle 
diverse categorie, abbiamo fatto riferimento  al testo di E. Rigotti e S. Cigada, La 
comunicazione verbale
1
. Per la stesura di questo primo capitolo hanno rivestito un 
ruolo altrettanto fondamentale i testi di S. Cigada, Nomi e cose
2
 e di B. Migliorini, 
Dal nome proprio al nome comune
3
, soprattutto perché ci hanno permesso di 
analizzare il nome in tutte le sue peculiarità, di metterne a fuoco gli usi principali, le 
funzioni e i “limiti”. Questa prima parte vuole fornire una presentazione di tale parte 
del discorso con particolare attenzione al nome proprio, l’oggetto principale della 
memoria, e porre l’accento sui diversi fattori che ne orientano la scelta. Per 
continuare lo sviluppo del tema della nominalità, ci è sembrato interessante esporre 
la distinzione che esiste tra name e noun nella lingua inglese e per portare a termine 
tale compito è stato determinante il saggio di Rita Caprini, Nomi propri
4
. Per 
concludere questo primo capitolo, abbiamo accennato al processo, cosiddetto 
all’interno di un testo, di impositio nominis che stabilisce il nesso denominativo che 
dovrà legare il nome alla nominatum. 
 
 
 
 
 
 
 
                                                           
1
 E. Rigotti - S. Cigada, 2004, La comunicazione verbale, Milano, ed. Apogeo 
2
 S. Cigada, 1999, Nomi e cose, Milano, pubblicazioni dell’ I.S.U. Università Cattolica  
3
 B. Migliorini, 1927, Dal nome proprio al nome comune, Firenze, Leo S. Olschki editore 
4
 R. Caprini, 2001, Nomi propri, Alessandria, edizione dell’Orso
10 
 
1.1 Il “potere” comunicativo delle parti del discorso 
Il termine latino pars orationis (in italiano parte del discorso), è un calco sul greco 
mere tes lexeos, a partire da cui le tradizioni grammaticali moderne hanno modellato 
il proprio termine per indicare le classi in cui si articola il lessico. Le classi del 
lessico hanno un ruolo fondamentale nella costituzione del senso testuale. In 
particolare riguardo al nome, E. Rigotti e S. Cigada puntualizzano che esso “ [..] 
indica, in quanto tale, che l’insieme di proprietà che esso menziona è pensato come 
proprio e costitutivo di una precisa realtà, ipotizzata come esistente. Pensiamo a 
nomi come sedia, quaderno, fratello, ci  serve di un nome per riferirsi a qualcosa, 
fatto così e così, invece un aggettivo indica solo una proprietà o una relazione. 
Pertanto dicendo casa si indica una cosa (una x) che è fatta in un certo modo, ossia 
qualcosa che possiede un certo modo d’essere, cioè un predicato (P), mentre, dicendo 
giallo, si indica soltanto un modo d’essere (un predicato P) che deve essere 
“associato” a qualche essere (del tipo di casa) per esistere”.
5
 
Possiamo affermare che ciascuna delle parti di un discorso rispecchia la realtà 
secondo una specifica prospettiva, propria di ciascuna classe, che gli antichi 
chiamavano proprietas: la proprietas accomuna tutti i membri della classe lessicale. 
Tale specifica prospettiva può essere interpretata come un insieme di morfemi 
intriseci fissi, propri non del lessema, ma della classe lessicale cui il lessema 
appartiene.  
Le parti del discorso (o classi del lessico) sono un’articolazione presente in tutte le 
lingue: invece lingue prive di morfologia come il cinese  o il vietnamita non 
presentano la classificazione del lessico come differenziazione morfologica; tuttavia, 
dal punto di vista sintattico, è presente inevitabilmente una distinzione in classi, 
perché “non tutte le parole possono svolgere indifferentemente le stesse funzioni 
sintattiche, in effetti ciascuna parola, in quanto possiede determinate proprietà  
semantiche, svolge tendenzialmente certe funzioni sintattiche e non altre e di qui 
nasce un’articolazione del lessico in classi”.
6
 
                                                           
5
 Cit. E. Rigotti e S. Cigada, La comunicazione verbale, pag. 199 
6
 Cit. E. Rigotti e S. Cigada, La comunicazione verbale, pag. 200
11 
 
Come mostrano Rigotti e Cigada
7
, le parti del discorso si caratterizzano secondo tre 
aspetti, morfologico, sintattico e semantico, che possono essere considerati i criteri 
tramite i quali stabilire a quale classe appartiene ciascuna parola. 
Il primo aspetto, quello morfologico, ci permette di valutare come il lessema 
configura le sue forme di parola, quanti e quali categorie morfematiche prevede e 
pertanto quali forme può assumere. In secondo luogo  è importante considerare il 
criterio sintattico in quanto ci permette di accertare come le forme del lessema si 
comportano nell’enunciato. Infine il criterio semantico, che fa riferimento ad un 
aspetto particolare della semantica. Questi tre criteri sono fra loro correlati: per 
esempio la funzione predicativa fa sì che il verbo costituisca il nucleo del sintagma 
predicativo, ma implica anche tutta una strutturazione morfologica e sintattica per 
esprimere la correlazione fra il verbo-predicato e i nomi-argomento; la natura 
semantica del nome ne fa il nucleo del sintagma nominale. 
Fatta questa breve introduzione ci soffermeremo ora più ampiamente sulla classe 
nominale, facendo riferimento dapprima alla Comunicazione verbale
8
 e poi al saggio 
Nomi e cose
9
. 
1.2 Il nome 
Il termine “nome” viene dalla grammatica classica dove nomen substantivum, il 
“nome di una realtà”, si opponeva a nomen adiectivum, il “nome che si aggiunge”. Il 
primo indicava il vero e proprio nome, mentre il secondo indicava l’aggettivo. “Il 
termine nomen in se stesso indicava la funzione-peraltro semantica- che accomuna 
nome e aggettivo: si tratta della qualitas, un insieme di caratteristiche ossia di 
predicati nel senso semantico del termine, che tanto il nome quanto l’aggettivo 
esprimono. La differenza era vista proprio nel fatto che il nome fa riferimento a 
questo insieme di predicati in quanto caratterizza, e dunque individua, una certa 
entità, mentre l’aggettivo esprime i predicati in se stessi come suscettibili di 
appartenere ad entità diverse.”
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7
 E. Rigotti e S. Cigada, La comunicazione verbale, da pag. 200 a 272 
8
 E. Rigotti e S. Cigada, 2004, La comunicazione verbale, Milano, ed. Apogeo 
9
 S. Cigada, 1999, Nomi e cose, Milano, pubblicazione dell’ I.S.U. Università Cattolica  
10
 Cit. E. Rigotti e S. Cigada, La comunicazione verbale, pag. 203
12 
 
La strutturazione morfologica del nome, come delle altre parti del discorso, dipende 
dalle lingue. Afferma E. Rigotti che “In italiano il nome si specifica secondo due 
categorie morfematiche: il  genere, fisso, e il numero, libero. In latino, in russo, e in 
molte altre lingue le categorie morfematiche sono tre (si aggiunge il caso). I morfemi 
del genere e del numero sono ambedue intrinseci. Ora i morfemi intriseci, detti anche 
semantici, hanno per loro natura una più diretta correlazione con il significato e, 
tuttavia sono lontani dall’avere un significato definito e costante in quanto si tratta di 
strutture intermedie. Consideriamo anzitutto il genere, che nel sostantivo è un 
morfema fisso. Cominciamo ribadendo la distinzione tra genere naturale e genere 
morfologico; solo in un numero relativamente limitato di casi il genere morfologico 
rappresenta il genere naturale. Con ciò non si può negare che il rimando dal genere 
grammaticale al genere naturale resta significativo e ha una sua evidente produttività, 
che si riscontra nella formazione di nuovi lessemi nominali”. 
11
 
Il numero è più immediatamente semantico del genere, sebbene siano numerosi 
anche i casi in cui la sua funzione resta puramente morfosintattica. Individuiamo il 
passaggio del genere e del numero del sostantivo da morfema intrinseco a morfema 
estrinseco nell’uso del sostantivo come predicato nominale: 
Suo marito è dottore 
Sua moglie è dottoressa 
Le sue figlie sono studentesse 
Sul piano sintattico il nome si caratterizza per svolgere la funzione di nucleo (o 
testa), cioè elemento di base, del sintagma nominale (SN). A partire da un nome si 
può formare un SN, il quale può realizzare a sua volta, anche con l’aiuto di 
preposizioni, costituenti sintattici diversi: 
SN soggetto (il bambino corre) 
SN oggetto (vedo un bambino) 
SN complemento (passeggio con il bambino) 
                                                           
11
 Cit. E. Rigotti, la comunicazione verbale, pp 203- 204
13 
 
SN predicato (Luca è un bambino) 
SN apposizione (Luca, bambino furbetto, non si lasciava sorprendere)
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Già abbiamo accennato alla rilevanza dell’apporto semantico del nome. Il nome 
bambino indica “un essere tale che è un bambino” cioè un essere (x) che è umano 
(U) e maschio (M) e non adulto (non A). 
Usando i termini della grammatica classica potremmo dire che x costituisce la 
substantia, mentre la congiunzione che abbiamo introdotto sopra dei tre predicati 
costituisce la qualitas. È qui importante una precisazione sulla funzione semantica 
della qualitas entro il nome: “non è una congiunzione di predicati che viene attribuita 
al nome, ma una congiunzione di predicati che costituisce il tipo di entità cui il nome 
si riferisce”.
13
 Il nome è una struttura linguistica che ha grande rilevanza dal punto di 
vista conoscitivo e comunicativo: usiamo i nomi per individuare tutti coloro che 
popolano il nostro mondo e che rientrano nei nostri discorsi. Rigotti individua quattro 
aspetti del nome rispetto al proprio denotato: realtà, distinguibilità, rilevanza e 
tematicità. Li riprendiamo abbastanza letteralmente anche per quanto riguarda gli 
esempi: 
 Prima di tutto si dà un nome solo per le cose che esistono o che si crede che 
ci siano. In effetti lo stesso Rigotti afferma che non avrebbe senso, per 
esempio, pensare a come chiamare un figlio se questo non esiste e soprattutto, 
se è impossibile che esista. Viene infatti rilevato che il nome esprime 
un’ipotesi di realtà (esistenza o accadimento), l’ipotesi che qualcosa esista o 
che un qualche evento abbia luogo. Si tratta, più precisamente, di realtà 
culturalmente riconosciuta: riprendiamo quindi un esempio chiarificante 
citato da S. Cigada e E. Rigotti: “in molte società moderne il nome razza 
indica una “reale” differenza tra gli uomini, per gli antichi questa differenza 
non esisteva; la lingua araba non ha elaborato un nome specifico per indicare 
                                                           
12
 Esempi tratti da La comunicazione verbale, E. Rigotti e S. Cigada, pp 204-205 
13
 Cit. Sara Cigada, Nomi e cose, pp. 170- 174. La discussione sul rapporto tra qualitas e sub stantia 
nel nome, non può essere affrontata qui per varie ragioni di spazio. Il tema resta estremamente 
rilevante per quanto riguarda “ l’interfaccia” logica.