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INTRODUZIONE 
 
Le ricerche sugli anni di maggior sviluppo dei cafés 
chantants tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento 
hanno permesso di riscoprire un fenomeno molto vivo e 
particolarmente apprezzato dalla società del tempo. Il café 
chantant si configura come un luogo in cui i più disparati 
linguaggi artistici messi insieme si sono contrapposti ai 
canoni tradizionali della comunicazione teatrale. Uno 
spettacolo formato da vari momenti scenici, tutti diversi tra 
loro: dalla canzonetta popolare alla danza esotica, dalla 
macchietta comica all’illusionismo e alle prove atletiche e 
che ha in qualche modo indirizzato e aperto la strada alle 
sperimentazioni teatrali di alcuni drammaturghi e teorici 
dell’età contemporanea. Gli studi sull’argomento sono 
numerosi, così come le informazioni sugli spettacoli a 
Napoli, città in cui il caffè concerto attecchisce 
particolarmente e che prende a modello le concomitanti 
esperienze parigine.  
Il fenomeno della stampa periodica, in particolare lo 
studio delle riviste specializzate nel teatro e negli spettacoli 
di varietà è stato un importante strumento di ricerca. La 
rivista più importante che si occupa di questo argomento a 
Napoli è Il Cafè Chantant, preziosa fonte documentaria che 
mi ha permesso di attingere non solo alle informazioni ed
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alle novità sulle attività di questi luoghi adibiti agli 
spettacoli di varietà, come ad esempio i concerti per le 
inaugurazioni dei locali o le beneficiate delle canzonettiste 
più ricercate, ma anche di dare uno sguardo alle attività 
musicali che si svolgevano contemporaneamente nelle altre 
città italiane ed in particolare in Sicilia. Sono infatti 
numerosissime le informazioni contenute in questa rivista 
che mi hanno consentito di ricostruire il fenomeno del caffè 
concerto a partire dalle informazioni dei corrispondenti 
presso molte città siciliane.  
In questo modo ho potuto approfondire non soltanto 
i vari luoghi destinati ad accogliere gli spettacoli di caffè 
concerto, ma ho anche ricavato informazioni sui maggiori 
artisti e divette che si sono esibiti in questi luoghi, così 
come i repertori maggiormente apprezzati dal pubblico e 
tutto ciò che riguarda l’attività legislativa interna ai teatri 
di varietà e il modo in cui certi decreti venissero più o 
meno accolti dal mondo artistico. Le pagine di questa 
rivista inoltre, sono ricche di immagini, profili artistici, 
annunci e pubblicità varie che rimandano ad un’epoca 
spensierata e particolarmente eccentrica che è quella della 
Belle Époque. Ho voluto intendere questo lavoro come un 
viaggio itinerante costituito da tre tappe: Palermo, Napoli e 
New York che hanno rappresentato il fulcro della mia 
ricerca. I tre capitoli che compongono questa ricerca,
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vogliono offrire una panoramica dei fenomeni più 
importanti tra Ottocento e Novecento all’interno di tre 
specifici contesti: la Sicilia e Palermo, Napoli e l’Italia tutta 
per concludere con l’America e New York in particolare.  
Ripercorrendo queste tre macro tappe, ho voluto poi 
approfondire uno dei generi di maggior successo che 
venivano praticati nei café chantant: la macchietta. 
Ricostruendone la storia, ho infine evidenziato i maggiori 
protagonisti di questo genere concentrandomi in 
particolare sul comico Giovanni De Rosalia ed i suoi comic 
sketches di stile “italo-americanese”, nei quali si concentra 
in pochi minuti il mondo degli emigrati, partiti dal sud 
Italia in cerca di fortuna con un bagaglio enorme di 
speranza e buona volontà.
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1.1 Premesse storico-culturali 
Lo Stato unitario italiano sorto nel 1861 a conclusione 
del Risorgimento, è il risultato di una rivoluzione che 
coglie il mutamento sociopolitico verificatosi tra la fine del 
Settecento e l’Unità. Se nel Settecento infatti governano i 
sovrani assoluti e il ruolo centrale lo detiene l’aristocrazia 
che si arricchisce in campo terriero e domina la vita 
amministrativa, negli anni successivi all’Unità il ceto 
politico e di governo appare profondamente mutato e vede 
un rafforzamento del potere del ceto borghese. Questo 
cambiamento indica il passaggio da un tessuto economico 
di stampo agricolo ad uno di tipo manifatturiero e 
industriale, finanziario e bancario. Il disegno strategico 
portato avanti dai moderati che guidano il Risorgimento è 
quello di creare un saldo blocco sociale costituito da una 
parte dalle attività economiche di tipo capitalistico, 
soprattutto nell’Italia settentrionale, e dai nobili proprietari 
terrieri al sud. La classe contadina però, che costituisce il 
65% della popolazione italiana, rimane distaccata dalla 
causa nazionale.  
Tuttavia l’Italia sarebbe rimasto un Paese 
prevalentemente agricolo fino alle soglie della seconda 
guerra mondiale. Questo distacco ha radici e cause 
complesse: la subalternità della campagna rispetto alla città 
e, sul piano politico, l’incapacità di scorgere la centralità
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della questione contadina in quegli anni oltre alla mancata 
elaborazione di un programma capace di scuotere le masse 
al grido del miglioramento delle condizioni economico-
sociali, per eliminare le ingiustizie e lo sfruttamento di 
milioni di famiglie di contadini da parte di molti grandi e 
medi proprietari nobili e borghesi. Come afferma lo storico 
Franco Della Peruta rispetto al dualismo tra città e 
campagne: «[...] un insieme di spinte centrifughe, di 
interessi divergenti o contrastanti di gruppi, ceti, contrade 
che rendevano difficile e faticoso il processo di amalgama e 
di fusione della nazione».
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Più nello specifico, per quanto riguarda la situazione 
nel Mezzogiorno e in Sicilia si assiste ad un aggravarsi 
delle condizioni economico-sociali della classe contadina, 
ad un malessere generato dalla crescita demografica che 
non permette alle persone di trovare risorse sufficienti in 
un ambiente agricolo arretrato tecnicamente e con scarsi 
investimenti di capitale. Inoltre l’abolizione del sistema 
feudale non porta ad una condizione di miglioramento del 
popolo contadino, bensì ad un rafforzamento della 
proprietà terriera borghese.  
In generale, l’Italia uscita dal Risorgimento affronta i 
primi decenni dopo l’Unità non come organismo 
                                                             
1
 Franco Della Peruta, L’Italia contadina nell’Ottocento, in: Dall’artigianato 
all’industria: l’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891- 1892, a cura di Massimo 
Ganci e Maria Giuffrè, Palermo, Società italiana per la storia patria, 1994, pp. 13-28: 
24.
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omogeneo bensì come realtà piena di fratture. Il forte 
distacco tra il ceto sociale abbiente, degli aventi diritto al 
voto in virtù del loro censo si scontra violentemente con 
quella parte di popolazione (milioni in verità) di lavoratori 
poveri, analfabeti, devastati dalle epidemie e dalla fame, 
privi di diritti politici.  
In Sicilia la fine della dominazione borbonica, 
conseguenza dell’insurrezione e della successiva conquista 
di Palermo da parte di Garibaldi il 27 maggio 1860, lascia la 
città in uno stato di caos totale. I nuovi amministratori non 
si dimostrano all’altezza della situazione, in quanto la 
Sicilia aveva avuto un suo autonomo sviluppo e presenta 
adesso delle particolari condizioni politiche. Secondo 
Sidney Sonnino, che con Leopoldo Franchetti conduce nel 
1875 un’inchiesta privata sulle condizioni politico-
amministrative della Sicilia, proprio per le particolari 
vicende dell’isola non si era potuta sviluppare la classe 
media sulla quale il governo puntava per ottenere i 
migliori risultati. Nelle zone in cui infatti era stato 
preponderante l’esercizio della prepotenza di stampo 
feudale, il regime liberale avrebbe potuto fornire un’arma 
per far valere i propri diritti, mentre in altre zone più 
densamente popolate si sarebbe potuto incentivare lo 
sviluppo di attività industriali determinate a favorire una 
condizione di benessere generale.
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Oltretutto, le nuove amministrazioni avrebbero 
dovuto fare i conti con le complesse tensioni sociali in città 
che sfoceranno nel brigantaggio, manifestazione che 
sconvolge la vita non solo della Sicilia ma di tutte le regioni 
del Mezzogiorno tra il 1861 e il 1870.  
Al di là dei tentativi di strumentalizzazione operati 
inizialmente dai borbonici e dai clericali per mettere in 
difficoltà il nascente Stato italiano, il brigantaggio appare 
come un grande fenomeno di lotta di classe, di moto 
sociale rurale. Le guerriglie cittadine in tutte le regioni 
meridionali coordinate da gruppi di bande armate sono 
appoggiate dalla popolazione più povera, che esprime così 
il proprio odio nei confronti degli usurpatori delle terre e 
dello Stato piemontese, estraneo alle reali problematiche 
dei contadini e che nel frattempo aggravava il carico 
fiscale. Sebbene il movimento non fosse mai stato 
coordinato da una direzione centrale, frantumandosi in 
molteplici scontri, poteva contare sul supporto dei 
contadini che vedevano nel brigante il “riparatore” ai torti 
subiti. Lo Stato, a seguito di una lotta dura e sanguinosa, 
represse il movimento che costò la vita a migliaia di 
uomini, oltre ai numerosissimi tratti in arresto.  
L’aspro conflitto testimonia comunque una flebile 
presa di coscienza della classe contadina meridionale, 
soprattutto la parte più povera ed emarginata. Tuttavia gli
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scontri riprenderanno tra il 1891 e il 1893 a causa della crisi 
del grano, del vino e dello zolfo, prodotti fondamentali per 
la Sicilia. Il dibattito sulla cosiddetta “questione 
meridionale” inizia dalle analisi dello studioso napoletano 
Pasquale Villari, il quale nel 1875 invia al direttore del 
giornale L’Opinione quattro saggi intitolati La Camorra, Il 
Brigantaggio, La Mafia, I rimedi pubblicati nel 1878 nel 
volume Lettere Meridionali di fondamentale importanza 
perché per la prima volta le riflessioni sul Meridione 
vengono considerate come un problema nazionale. La 
questione meridionale esplode con la rivolta dei Fasci 
siciliani, un movimento che coinvolge i lavoratori della 
terra all’interno di un organismo che agisce in maniera 
organizzata e che mette insieme la direzione politica di un 
gruppo di intellettuali socialisti con il mondo contadino. Il 
movimento così strutturato è stato capace di avanzare 
rivendicazioni e imporre ai proprietari e ai grandi affittuari 
miglioramenti delle condizioni contrattuali oltre ad 
esprimere il desiderio di arrivare alla proprietà individuale 
della terra, con la divisione dei demani usurpati e delle 
proprietà latifondistiche. Tuttavia proprio questa 
rivendicazione del latifondo causò la repressione violenta 
del movimento da parte del governo Crispi nel 1894, il 
quale procedendo allo scioglimento dei Fasci con uno stato 
d’assedio, provocò quasi un centinaio di vittime.