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INTRODUZIONE 
 
Nel panorama industriale e imprenditoriale italiano un grande contributo è stato dato 
dalla Olivetti. Fondata da Camillo Olivetti, l’azienda produttiva di macchine da scrive 
ha avuto la sua ascesa maggiore con a capo Adriano Olivetti che fece della Olivetti la 
più grande azienda esportatrice di calcolatori e macchine da scrivere sia nazionale che 
europea. 
Nel primo capitolo ho voluto illustrare di come Camillo Olivetti, a seguito del suo 
viaggio negli USA, decise di avviare la propria attività occupandosi dapprima di prodotti 
di precisione che permettevano la rilevazione di unità di misura fondando la CGS, 
nome che deriva appunto dalle iniziali delle unità di misura centimetro, grammo, 
secondo.  
Successivamente la linea produttiva della CGS venne trasformata per dare avvio 
alla produzione di macchine da scrivere assumendo la denominazione di “Ing. Olivetti 
& Co, prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere” che veniva ricordata da tutti 
come la fabbrica di mattoni rossi dovuta alla propria struttura di mattoni a vista. 
Nel secondo capitolo descrivo l’impatto di Adriano al timone della Olivetti che di 
ritorno da un viaggio negli Stati Uniti resta affascinato dall’organizzazione produttiva 
che Henry Ford aveva introdotto per la costruzione dell’auto “model T” basandosi sulla 
teoria di Taylor. 
Ritornato in Italia introdusse alla produzione Olivetti la catena di montaggio con gli 
stessi metodi ereditati dalla cultura americana ma con alcuni importanti accorgimenti 
tesi a migliorare la situazione lavorativa ai propri addetti. 
Oltre ai miglioramenti della linea produttiva in fabbrica, Adriano ha cercato di 
condizionare l’intera società civile con idee politiche a metà tra il socialismo e il
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capitalismo con l’impresa al centro della società stessa; ciò rese la Olivetti come un 
modello di impresa con un livello di welfare aziendale più evoluto persino del sistema 
nazionale. 
Nel terzo capitolo espongo le dinamiche di espansione internazionale della Olivetti 
attraverso la creazione di consociate estere e l’istituzione di apparati produttivi 
direttamente in loco così da soddisfare le esigenze di domanda interna dei vari mercati. 
In particolare, per il mercato statunitense la Olivetti decise di acquisire le Underwood 
che disponeva di una rete commerciale avanzata e di molte tecnologie militari 
sviluppate durante la seconda guerra mondiale. 
 Per finire nel quarto capitolo ho ricostruito la situazione italiana nel campo 
informatico, carente di una politica industriale adeguata e di conseguenza una elevata 
differenza negativa di investimenti in ricerca e sviluppo rispetto ai maggiori paesi 
industrializzati; tale situazione portò a un rapido declino dell’industria informatica 
italiana permettendo ad aziende industriali estere, come l’americana IBM, una rapida 
espansione sul territorio italiano dei propri prodotti. 
La morte di Adriano portò a un rapido declino della Olivetti soprattutto a causa 
dell’elevata dipendenza dal proprio manager defunto; quasi sull’orlo del fallimento la 
Olivetti venne salvata da un Gruppo di Intervento formatosi con i maggiori industriali 
nazionali. Ciò permise all’azienda di macchine da scrivere a restare con la 
maggioranza di capitali nazionali e successivamente, quattordici anni dopo, nel 1974 
venne rilevata dall’Ing. Carlo De Benedetti che riuscì in parte a riportarla ai fasti del 
passato.
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Capitolo 1 
Storia di Adriano Olivetti e dell’azienda 
 
 
 1.1 Biografia di un imprenditore illuminato 
Adriano Olivetti nasce l’11 aprile 1901 su di una collina di Monte Navale, Ivrea, al 
ciabòt che in piemontese significa «casetta di campagna» divenuta l’abitazione 
secondaria a seguito del trasferimento nel centro storico della città aggregandosi alla 
minoranza ebraica, di cui il padre Camillo ne faceva parte, proveniente dalla Spagna 
insediatasi dal Seicento e madre, Luisa, di origini valdesi (Ochetto, 1985). 
Il padre Camillo, seppur di famiglia benestante, viene educato in collegio per 
decisione della madre a seguito della perdita del padre all’età di un anno. A ventitré 
anni conseguirà la laurea in ingegneria industriale presso il Politecnico di Torino dove 
ebbe la fortuna di seguire il corso di elettrotecnica con l’ingegnere Galileo Ferraris e in 
seguito accompagnarlo in America durante i propri convegni come interprete (De 
Felice , 1961). 
Durante i viaggi in America, tra gli altri, rimase molto colpito dall’inventore Edison 
con il quale ebbe modo di conoscere i propri laboratori di cui racconterà nei minimi 
particolari in una lettera indirizzata al cognato Carlo in Italia nel 1893 (Olivetti, 1968). 
La madre Luisa Revel, proveniente dalle valli valdesi, cresce in una famiglia 
numerosa composta da quattordici figli; anch’ella riceverà un’educazione austera 
prima dal padre, pastore ed evangelizzatore itinerante, e in seguito da sua zia (Caizzi, 
1962). 
Poco sappiamo di Adriano poiché non amava mai parlare della sua biografia a meno 
che non coincidesse con la storia della sua attività imprenditoriale; tutto ciò che
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conosciamo della sua adolescenza altro non sono che una raccolta di testimonianze 
da parte di conoscenti e accenni nella corrispondenza di Camillo Olivetti durante i suoi 
viaggi. 
Camillo si affrettava in bici, mezzo di trasporto che utilizzava spesso a differenza 
della borghesia locale che preferiva le carrozze, a raggiungere la segretaria Anita che 
alloggiava presso la famiglia Revel per lasciarle degli incarichi prima di partire per 
Milano a prender parte ai moti del pane e rimase colpito da Luisa che sposerà poco 
più di un anno dopo (Gallino, 1960). 
Il trasferimento di Adriano a Monte Navale non fu una scelta casuale da parte di 
Camillo ma fu dettata dalla voglia di tenere vicino a sé sia il lavoro che la famiglia. In 
un articolo del 1930 su un quotidiano locale, Alberto Savinio, ricorderà che nel 
convento di San Bernardino, divenuta residenza degli Olivetti, era stato reso in passato 
dalle truppe francesi l’accampamento durante le loro discese in Piemonte con a capo 
Napoleone Bonaparte, giusto per sottolineare il passaggio delle forti personalità 
ospitate in quell’edificio (Ochetto, 1985). 
Quando dal centro storico di Ivrea la famiglia Olivetti si trasferisce nel convento sulle 
colline erano nati cinque dei sei figli: Elena, Adriano, Massimo, Silvia, Lalla e in seguito 
nacque Dino; caratteri distintivi della famiglia Olivetti erano l’umiltà e il rispetto degli 
altri in qualsiasi cosa si facesse.  
Nel convento divenuto residenza non si ricorreva agli “sfarzi” della borghesia anzi 
solo l’indispensabile era consentito (Olivetti, 1968). 
La prima sera del trasferimento tutta la famiglia dovette adattarsi alla luce di candele 
visto che nello stabile, in decadenza per lo stato di abbandono prima dell’acquisto, non 
esisteva né un impianto di illuminazione né riscaldamenti (De Felice , 1961).
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Figura 1 Famiglia Olivetti 
Lavori che verranno effettuati in seguito sotto la direzione dello stesso Camillo dagli 
operai della propria fabbrica, situata accanto all’abitazione, sempre rispettando la 
visione “olivettiana” quindi badando all’essenziale come il riscaldamento a carbone 
solo per le camere effettivamente abitate e l’acqua calda esclusivamente per un unico 
bagno oppure il rifiuto di far lucidare il pavimento in legno da parte delle domestiche 
perché ritenuto troppo faticoso (Caizzi, 1962). 
Adriano, come i sui fratelli e sorelle, hanno ricevuto un’educazione differente dalla 
«classica» borghesia. Camillo conserverà rigidamente l’autorità del capofamiglia con 
facilità ad irritarsi e ad alzare la voce unito però alla bontà di cuore che lo 
caratterizzava; ai figli ripeteva sempre: «dovete obbedire, però se vi do un ordine 
ingiusto avete il diritto di dirmelo» (Caizzi, 1962). 
L’educazione scolastica per la famiglia Olivetti è un argomento di particolare 
importanza tanto da ritenere la scuola, memore probabilmente dell’esperienza in
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collegio da parte del capofamiglia, una perdita di tempo e si preferiva lasciare loro 
quanto più tempo possibile a contatto con la natura.  
Infatti, la scuola inizierà solo all’età di otto anni e fino ad allora sarà esclusivamente 
la madre Luisa ad inizializzare i bambini allo studio per poi concentrare le elementari 
in soli due anni attraverso delle istruttrici quindi non facendo frequentare le aule 
scolastiche; non a caso Adriano conserverà per tutta la vita una calligrafia piuttosto 
infantile. La giornata inizia sempre con appuntamenti fissi scandita del richiamo della 
campanella per il pranzo e la cena (De Felice , 1961). 
A tavola i piccoli possono parlare senza però interrompere il discorso dei “grandi” e 
come punizione per non aver rispettato le regole, il capofamiglia si limitava a vietare di 
mangiare la frutta al “punito”.  
La forte venerazione di Camillo nei confronti del socialismo non permette di avere 
un credo religioso in casa propria anche se spesso Adriano si chiedeva il significato di 
tutti quei dipinti sulle mura del convento (Ochetto, 1985). 
Al convento Adriano ed i fratelli non godevano di tante amicizie se non i figli degli 
operai della fabbrica accanto oppure gli operai stessi che si divertivano ad ascoltare 
nei loro dialoghi in dialetto piemontese, dialetto che non avevano mai sentito prima 
visto che in casa ci si poteva esprimere esclusivamente in italiano. 
Difficilmente in casa Olivetti si effettuavano ricevimenti, preferendo una vita 
semplice e privata, se non quando Camillo invitava a cena l’operaio da assumere 
oppure durante le visite di parenti e amici di domenica dove Adriano può assistere alle 
partite a tennis raccattando palle oppure passeggiare in carrozzella al lago Sirio (De 
Felice , 1961). All’età di quindici anni, e l’Italia impegnata nel primo conflitto mondiale, 
Camillo decide di far studiare Adriano, insieme al fratello minore Massimo, in una 
scuola pubblica a Milano che sarà la prima in assoluto fino a quel momento.
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Per evitare però un “trauma” dal distacco drastico famigliare, non alloggeranno nel 
collegio ma presso l’abitazione di un’anziana signora perché Camillo riteneva che solo 
così Adriano avrebbe potuto continuare a gestire la propria vita; infatti anche dopo le 
elementari Adriano continuò con lo studio a casa e con gli esami dati da privatista 
all’istituto tecnico Sommeiller di Torino (Olivetti, 1968). 
Ma l’esperienza di Milano si concluse a metà anno scolastico quando il fratello 
Massimo ebbe una forma di angoscia, probabilmente causata dalla lontananza degli 
affetti famigliari, che dopo una breve pausa a Ivrea continuarono gli studi a Cuneo in 
un istituto tecnico con indirizzo fisico-matematica. 
La scelta obbligata dell’indirizzo degli studi da parte del padre causò ad Adriano per 
tutta la vita un senso di colpa nel non aver scelto il liceo classico, considerato da lui 
stesso superiore all’indirizzo tecnico; questa sua “menomazione” però lo spingerà a 
costruirsi una formazione letteraria da autodidatta (Ferrarotti, 2001). 
Spinto ormai dalle sue convinzioni “formative”, Camillo, durante gli studi obbliga 
Adriano ad avvicinarsi al lavoro in fabbrica.  
L’idea di Camillo era che non dovesse esserci nessuna divisione tra il lavoro 
intellettuale e lavoro manuale quindi essendo abituato ad affiancare i propri operai tra 
torni e frese e all’occorrenza mostrare anche la propria abilità nel caso in cui non fosse 
stato soddisfatto del risultato, voleva che anche Adriano fosse in grado di avere una 
tale elasticità lavorativa (Caizzi, 1962). 
Ma per Adriano, seppur quell’ambiente gli fosse famigliare, fu un’esperienza 
abbastanza traumatica; abituato a correre nei campi ritrovarsi in un luogo chiuso e buio 
procurò in lui un senso di disprezzo verso il lavoro in fabbrica promettendosi di non 
rimettere più piede nell’industria paterna.
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Ricorderà però in futuro di avere dei sensi di colpa a non aver appreso la manualità 
che la figura paterna aveva in quell’attrezzatura (De Felice , 1961). 
 Nell’aprile del 1918, diciassettenne, compie forse la sua prima scelta senza 
intromissione da parte del padre Camillo; finiti gli studi, in una lettera indirizzata al 
padre comunica la volontà di arruolarsi come volontario rivelando così una gran 
maturità agli occhi di Camillo. 
Dopo pochi mesi al servizio di un plotone di alpini non farà in tempo a partire per il 
fronte vista la fine del conflitto di li a breve.  
Si avvia per lui il ritorno “alle origini” con l’iscrizione di Adriano, su volontà di Camillo, 
alla facoltà di ingegneria meccanica al Politecnico di Torino.  
Dopo il primo anno accademico, Adriano, decide però di cambiare corso di studi 
passando alla facoltà di ingegneria chimica industriale che Camillo non prende bene 
perché considera quella scelta come un rifiuto alla propria azienda (Ramella, 1977). 
Nel periodo del dopoguerra Adriano frequenta poco l’università perché attratto dalla 
politica alla ricerca in quegli anni di nuovi ideali di giustizia; lo faceva mediante il 
giornalismo, appassionato fin da piccolo come quando all’epoca aveva compilato un 
giornaletto che distribuiva fra gli amici.  
Si ritroverà in seguito a scrivere per il settimanale “L’Azione Riformista” nel 1920 
fondata proprio dal padre Camillo al termine del conflitto nel quale polemizzava contro 
chi si fosse “arricchito” con la guerra (Olivetti, 1968). 
È durante l’esperienza nel giornalismo che Adriano resta colpito da Giacinto Prandi, 
già socio dell’azienda di Camillo e anche collaboratore per il settimanale “L’Azione 
Riformista”. Adriano, vedrà in Prandi «l’alternativa più giovane» del padre Camillo, una 
persona che lui stesso descrive come persona colta, di vasti interessi e di carattere 
molto affabile e tollerante.
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Ma, forse, l’amico più importante della sua vita lo conoscerà frequentando il 
politecnico. Anche se caratterialmente distanti, Adriano più interessato agli sviluppi 
politici del dopoguerra e distante dall’università mentre Gino Levi di interessi opposti, 
si incontreranno per caso nell’estate del 1922 in un campeggio della SUCAI in Alto 
Adige. Faranno il viaggio di ritorno a Torino e da li in poi non si perderanno più di vista. 
Gino porterà a casa sua Adriano dove conoscerà sua sorella Paola Levi. 
Inizialmente Adriano non era ben visto da Paola ritenendolo timido e «incapace a 
muoversi nella vita». Adriano, visivamente attratto da Paola, inizia a frequentare 
spesso casa Levi facendo appuntamento fisso per l’ora del tè e della cena; quando 
entrambi vengono chiamati al servizio militare, nel 1923, Gino e Adriano preferiscono 
passare le tre ore di libertà presso casa Levi dove Adriano, una sera, si dichiarerà a 
Paola, ma fu rifiutato (Ochetto, 1985). 
 Come Camillo anni prima, anche Adriano era tentato nel gettarsi nelle lotte politiche 
di quell’epoca; vorrebbe combattere a fianco dei “rossi” ma venne dissuaso dai colloqui 
dell’amico Prandi (De Felice , 1961). Cercherà insieme ad altri due amici, Gobetti e 
Rosselli, tra la fine del 1922 ed il 1923 di fondare un giornale per contrastare l’avanzata 
del fascismo ma l’iniziativa non ha seguito; “il fascismo aveva frantumato le mie 
aspirazioni al giornalismo, la ribellione ad entrare nella fabbrica paterna venne 
attenuata” scriverà successivamente in un manoscritto (Castagnoli, 2012). 
Al termine del servizio militare Adriano a luglio del 1924 si laurea in chimica 
industriale con una tesi su uno zuccherificio. Entrerà quindi in agosto nella fabbrica del 
padre in qualità di operaio e come il suo amico Gino, entrato a novembre in fabbrica, 
riceverà la paga di lire 1,80 all’ora (Caizzi, 1962). 
Entrato in fabbrica, ad Adriano riaffiorano le stesse sensazioni di dieci anni prima: 
un posto buio con un rumore metallico assordante e fumi maleodoranti e ritrovò gli
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stessi operai che tempo prima erano sulla catena di montaggio mentre ora si ritrovano 
a dover mettere in opera i disegni dell’ingegner Camillo (De Felice , 1961). 
 
1.2 Storia aziendale 
Laureatosi in ingegneria industriale al politecnico di Torino, Camillo partirà con il suo 
amico universitario Galileo Ferraris in America per un’esposizione universale a 
Chicago.  
Il viaggio sarebbe dovuto durare solo pochi giorni ma Camillo decide di prolungare 
la sua permanenza trasformando il suo viaggio in un’avventura dell’ingegno. 
Percorrerà l’America in lungo e in largo alla ricerca di laboratori e fabbriche nel quale 
approfondire i metodi e le conoscenze di cui gli americani sembrano essere anni luce 
avanti. Si fermerà per cinque mesi all’ università di Stanford in California, molto meno 
conosciuta all’epoca, per una cattedra di fisica (Castagnoli, 2012). 
Ritornato a Ivrea all’ età di ventisette anni comincia a tirar su un edificio di mattoni 
rossi nei pressi del monte Navale nel 1896 che prese il nome di “Ing. Olivetti & Co.”; 
insieme a due soci e circa trenta operai presi tra gli artigiani della zona avvia la 
produzione di strumenti di misurazione specifici per i laboratori di ricerca e in parte da 
lui stesso disegnati e brevettati (Caizzi, 1962). 
Ma rendendosi conto della scarsa redditività del settore decise di cambiare target 
di mercato preferendo la nascente industria elettrica. Trasferì così nel 1903 la propria 
sede produttiva a Milano, luogo dove già gravitano tra gli altri la Edison, cambiando il 
nome dell’azienda in “CGS” (dal sistema di misurazione centimetro, grammo, secondo) 
proprio a sottolineare la tipologia della propria produzione (Ochetto, 1985).