dei canti più preziosi e riusciti, uno sfogo tanto impietoso, senza appello. 
 Certo non è sufficiente questo giudizio sul comportamento femminile, 
forse frutto dell’ultimo risentimento nei confronti dell’ennesima chimera 
dissoltasi nel fumo della delusione, per definire Leopardi un misogino 
tout court; se consideriamo poi come egli abbia applicato per anni il suo 
genio poetico alla fondazione di una poetica dell’illusione, nella quale la 
sublimazione e la cristallizzazione delle figure femminili segnano i 
momenti più emozionanti ed apprezzati della sua opera, il pensiero 
LXXV ci appare come una tappa marginale della talvolta contraddittoria 
riflessione del poeta. 
 Ma questo spunto contro le donne, come vedremo, non è isolato, né 
circoscritto ad una fase esistenziale o biografica. Tornando indietro di 
oltre un decennio, nel leggere un frammento dell’epistola del 14 agosto 
1820 a Pietro Brighenti, ci rendiamo conto come il suo giudizio sull’altra 
metà del cielo sia ancora più duro ed intollerante: 
L'ambizione, l'interesse, la perfidia, l'insensibilità delle donne, che io definisco un 
animale senza cuore, sono cose che mi spaventano
2
. 
 La decisione e la nitidezza di questo verdetto ci aiutano a delineare 
meglio i tratti di una misoginia evidentemente non estranea ai 
convincimenti del poeta. L’aforisma è freddamente mirato, così da non 
                                                          
2
 G. Leopardi, Epistolario, in Tutte le poesie e tutte le prose, Roma, Newton Compton, 1997, p. 
1205. 
 2
sembrare affatto uno sfogo estemporaneo. Che le donne fossero per 
Giacomo Leopardi un argomento di speculazione prolifico ed interessato 
non è una novità, ma è sorprendente come questa riflessione, quando 
non include valutazioni di carattere estetico
3
, punti ad un’integrale 
devastazione del valore antropologico ed etico della donna, adesso con 
una ricchezza di argomentazioni e motivi puntuali ed affilatissimi, ora 
con affermazioni quasi dogmatiche che sembrano non sentire il bisogno 
di giustificazioni: 
Dobbiamo tenere per assioma matematico che non v’è né vi può essere donna degna di 
essere amata da vero
4
. 
 Sono conciliabili queste posizioni con le eteree immagini femminili che 
il poeta dipinge nei suoi canti? La vaghezza e lo slancio sentimentale che 
contraddistinguono il suo anelito poetico non entrano in conflitto con 
un’immagine femminile ingrata, meschina ed infine disprezzata? In 
effetti, l’ambivalenza fra la costruzione immaginaria della donna poetica e 
di quella apparentemente ‘reale’ apre il varco a non pochi interrogativi; la 
coincidenza, sostenuta da parte della critica leopardiana, dell’Io empirico 
con l’Io poetico, appare poi tutt’altro che scontata. 
 
                                                          
3
 Nelle quali, peraltro, lo sforzo di Giacomo Leopardi è a volte teso a ridimensionare, 
demistificandola, la rappresentazione collettiva della donna: “Il donnesco è chiamato il bel 
sesso, laddove se le donne giudicassero, o chi non fosse donna né uomo, chiamerebbe senza 
dubbio bello il sesso degli uomini maschi, come negli altri animali”. G. Leopardi, Zibaldone, 
 3
Una questione di sensibilità 
I motivi personali, familiari, biografici che determinano queste 
valutazioni sull’universo femminile non saranno né trascurati né 
minimizzati sebbene, come vedremo, l’influenza dell’intertesto letterario 
e storico della tradizione occidentale (dai miti femminili della Grecia 
antica a Petrarca e i petrarchisti, dalla virtus della donna della Roma antica 
fino ai nostri poeti barocchi) rappresenti il vero fondamento sul quale 
posa la concezione poetica e, in parte, quella etica della donna 
leopardiana. 
Leopardi è però poeta del suo tempo, e con i contemporanei condivide 
non solo molti dei propri gusti e convinzioni, ma anche un’evidente 
specularità del modello interpretativo (inconscio e indotto) della realtà 
circostante. Per comprendere i meccanismi e le scelte dell’immaginario 
dell’artista e dell’uomo è necessario esaminare i filtri e gli archetipi che 
deviavano o concentravano lo sguardo di protoromantici e romantici su 
determinati oggetti o parti d’oggetto della loro realtà circostante; bisogna 
prestare attenzione, insomma, a quello che Mario Praz ha definito “storia 
della cultura d’un ambiente e storia della cultura d’un individuo”
5
. 
                                                                                                                                                               
Roma, Newton Compton, 1997, 4119 del 15 Sett. 1824, p. 835. 
4
 G. Leopardi, Epistolario, cit., 19 dicembre 1823 a Giuseppe Melchiorri, p. 1259. 
5
 Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano-Roma, Società 
Editrice ‘La cultura’, 1930, p. 5. 
 4
La donna è ‘argomento onnipresente’
6
 fra gli scrittori del XIX secolo; 
“nei catechismi, nei codici, nei libri di galateo, nelle opere di filosofia, di 
medicina, di teologia e, in modo particolarmente evidente, nella 
letteratura”
7
. Forse non stupisce che il gentil sesso occupi i primissimi 
posti nella lista dei soggetti dei poeti ottocenteschi (come del resto in 
quella dei letterati di ogni tempo e luogo della cultura europea, in 
particolare dell’italiana); sorprende di più che l’argomento donna subentri 
improvvisamente, dopo la rivoluzione francese, nell’agenda di filosofi e 
storici, fino allora mai entusiasti a lanciarsi in speculazioni metafisiche o 
disamine sociali sull’atavica subalternità della donna; sempre invero 
pronti, da Aristotele in poi, a consacrare, con sbrigative e inconfutabili 
analisi mai lontane dagli stereotipi del modello patriarcale dominante, la 
sua inferiorità, fosse questa biologica, caratteriale, religiosa, pratica o 
puramente intellettuale. 
Con la rivoluzione francese sembra quasi che l’ideologia androcratica 
cominci ad incrinarsi: la donna viene celebrata come “la divinità del 
santuario domestico” dalla rivoluzione francese, mentre la Chiesa 
cattolica istituisce l’Immacolata Concezione di Maria come articolo di 
                                                          
6
 Stéphane Michaud, Idolatrie rappresentazioni artistiche letterarie, in AA.VV., Storia delle donne in 
Occidente, a cura di George Duby, Michelle Perrot, Bari-Roma, Laterza, 1990, vol. IV, 
L'Ottocento, a cura di Genevieve Fraisse e Michelle Perrot, p. 130. 
7
 Ibidem. 
 5
fede
8
. Fa riflettere questa coincidenza d’interessi di due istituzioni in 
guerra dichiarata sul medesimo soggetto sociale, proprio mentre la prima 
rivoluzione industriale sconvolgeva il volto urbano e sociale dell’Europa, 
consacrando la nuova borghesia cittadina classe dominante, sebbene 
ancora emergente (non ovunque però: all’immobile aristocrazia terriera 
del Bel Paese resteranno ancora molti iura primae noctis da vantare, prima 
e dopo le campagne napoleoniche). La nuova donna della borghesia 
partecipa all’ascesa sociale del suo uomo, ne condivide i rischi, le 
responsabilità e le battaglie; è più attiva ed influente dell’annoiata e 
frivola nobile con cui incrocia lo sguardo nei boulevard e square 
nell’Europa che conta. Una donna che, dove cappa e spada non 
significano più granché, invita gli uomini a rivalutare le sue capacità, la 
sua determinazione, la sua forza. Ancora, però, non ha il diritto di 
rivendicare il ruolo e l’influenza (quasi sempre implicita e sotterranea) 
conquistati: ma è ormai naturale che (a partire dalle grandi entità laiche e 
religiose) si cominci a nutrire un rinnovato interesse per lei ed a tentare 
di influenzarne o controllarne il comportamento e la posizione. 
Non che la donna fosse giunta ad un passo da una pacifica ed incruenta 
emancipazione; quando Giacomo Debenedetti spiega che, analizzando 
l’ideologia borghese, “troveremo, al suo centro, una fortissima 
                                                          
8
 Ibidem. 
 6
componente patriarcale”
9
, resta apparentemente poco da replicare: 
Analizziamo i drammi dell’Ottocento, nelle cronache vissute e nelle trasposizioni 
artistiche: [vi] costateremo, con abbastanza regolarità, che i protagonisti cadono 
vittime dell’avere infranto quelli che noi chiamiamo, dalla nostra prospettiva, i 
pregiudizi di un certo ordine costituito, che ha come tipo l’ordine della cellula 
familiare, a forma di piramide con al vertice il padre, cioè il patriarca, cioè l’ideale di 
dominio maschile
10
. 
Non soltanto la donna resta per il grande critico torinese un oggetto in 
mano al pater familiae: questi rafforza il suo ruolo egemone all’interno 
dell’istituzione domestica, quasi di riflesso alla vertiginosa ascesa che 
vede l’uomo borghese sempre più cosciente della sua azione di 
cambiamento. 
Tutto il suo sforzo di mercante, di imprenditore, di finanziere, di industriale, tende a 
fondare una fortuna, a stabilizzare il possesso dei mezzi di produzione e di scambio, 
a diventare il padrone, il titolare di un tale possesso. Sta all’impresa da lui creata, 
come il patriarca sta alla famiglia da lui fondata
11
. 
Trova dunque egli nella spirale di un successo inebriante, l’ulteriore 
legittimazione a tenere sotto il suo potere una donna al suo confronto 
insignificante, mai sollevatasi dall’atavica subalternità sociale e culturale? 
                                                          
9
 Giacomo Debenedetti, La donna nella letteratura dell’800, in Verga e il naturalismo, Milano, 
Garzanti, 1991, p. 164. 
10
 Ivi, p. 165. 
11
 Ivi, p. 164. 
 7
Forse no. Se fosse semplicemente così la donna-oggetto, custode del 
focolare, ma non angelo, o delirio d’amore, non darebbe occasione di 
suscitare quell’entusiasmo morboso e quell’inestinguibile interesse 
intorno alla sua figura proprio nell’epoca dell’ascesa al potere della 
borghesia industriale e finanziaria. Che conflitti si potrebbero generare in 
quella che Debenedetti definisce la “cellula familiare”, e nella cronaca e 
nella letteratura, se l’egemonia del patriarca fosse non soltanto 
confermata, ma addirittura consolidata dalle sue nuove conquiste? 
Ci interroghiamo, noi posteri, su quell’incontro di concezioni 
inconciliabili che già gli scritti di Giacomo Leopardi (nonché di molti 
suoi contemporanei) lasciano trasparire; un ambiguo, compromettente 
sdoppiamento della donna, per noi un’eloquente, “grande 
contraddizione: romanticismo, arte del femminile, nuova funzione 
protagonistica della donna, nel secolo che celebra in tutto il suo fare, uno 
dei più grandiosi, forse l’ultimo, trionfo del patriarcato”
12
. 
Resta sempre da vedere perché, proprio con l’Ottocento, 
l’immaginazione dell’uomo diventi un’inarrestabile fucina per la 
costruzione di un feticcio di donna inquietante ed irresistibile; perché, 
allora più di prima, il saldo self-made man ceda ad un delirio immaginativo 
che fa della “donna amata fonte di ogni magia, di ogni metamorfosi”
13
.   
                                                          
12
 Ivi, p. 165. 
13
 S. Michaud, op. cit., p. 133. 
 8
Una questione di clima, certamente: Rousseau, Schiller, gli Schlegel 
inaugurando la nuova sensibilità romantica aprirono uno spiraglio, 
confuso ed affascinante, sull’inconscio. Qualche anno dopo, inoltre, 
Arthur Schopenauer allarga quello squarcio individuando alla base della 
vita un movente genetico immanente e demistificante. L’uomo 
dell’Ottocento, per questo, come pure per la nuova sicurezza conquistata 
sul campo del successo sociale e personale, può confessare i suoi desideri 
primari senza ancora conoscerli, può esplorare la realtà con una curiosità 
non più censurata, e può soprattutto prendere possesso, se non di 
quell’oggetto tabù ancora insospettabile ed imperscrutabile, almeno 
dell’idolo che nei suoi sogni può adesso sostituirlo. È l’uomo stesso a 
donare alla donna una nuova esistenza, ad investirla come padrona del 
proprio immaginario, a rendersi per lei schiavo (lui, che sta conquistando 
l’universo) di questa malia che non riesce a spiegarsi: “essa sposta 
all’indietro per il suo compagno le frontiere dell’io, cristallizza sulla 
propria persona i sogni del bambino così come i desideri più pazzi 
dell’adulto, e rende effettiva la legge così vivamente sentita da Madame 
de Staël, per la quale ‘le passioni si attaccano con tutta la loro forza 
all’oggetto che si è perduto’ ”
14
 (non dimentichiamo che proprio dagli 
scritti della nobildonna francese Leopardi “ricava la maggior parte delle 
sue informazioni sulla filosofia tedesca”, comprendendo, attraverso la 
                                                          
14
 Ibidem. 
 9
lettura del De l’Allemagne, “la novità della concezione romantica della 
natura, che insiste sull’impulso formativo della natura medesima, e con la 
rifondazione metafisica e morale della filosofia kantiana, della quale la 
Staël fornisce un resoconto ampio”
15
). Senza l’allentamento (la caduta è 
ancora lontana a venire) delle maglie della censura collettiva ed 
individuale determinate da una nuova coscienza spirituale, alimentata 
anche dai suoi successi, l’uomo del XIX secolo non avrebbe avuto 
l’occasione e il coraggio di riappropriarsi, seppure in parte, dell’oggetto 
secondario donna (secondario perché pur sempre riflesso della Madre 
mitica) rimosso da secoli di condanna e censura religiosa, e quindi 
sociale
16
. 
Il processo d’idealizzazione della donna attraversa l’intero Ottocento ed 
“a questa idealizzazione collabora tutta la poesia, lirica e romanzo e 
musica”
17
; ma ad essa si accompagna anche una durissima campagna 
denigratoria contro le donne da parte di filosofi e proto-sociologi, spesso 
fra i più brillanti e innovatori del secolo decimonono. L’apologia 
muliebre fatta dai poeti si scontra frequentissimamente con le invettive, 
                                                          
15
 Giuliana Benvenuti, Il disinganno del cuore: Giacomo Leopardi fra malinconia e stoicismo, Roma, 
Bulzoni, 1998, p. 91. 
16
 G. Leopardi, Zibaldone, cit., 1851 del 20 Sett. 1821, p. 401: “Questi tedeschi sempre 
bisognosi di analisi, di discussione, di esattezza; […] hanno recato chiarezza a molte cose 
oscure; hanno trovato non piccole e non poche verità secondarie; hanno insomma giovato 
sommamente ai progressi della metafisica, e delle scienze esatte materiali o no, ma qual 
grande scoperta, specialmente in metafisica, è finora uscita dalle tante scuole tedesche ec. 
ec.”. Per Leopardi ai profeti dell’idealismo sfugge la conquista del quid autentico, della verità 
vera. 
17
 G. Debenedetti, op. cit., p. 168. 
 10
di rado imparziali, versus quell’oggetto sociale così recentemente 
riscoperto: si sviluppa una serie di speculazioni più spesso rivolte al 
mantenimento dello status quo che a propugnare una nuova e più fertile 
integrazione con l’universo femminile, con i pensatori però divisi nel 
valutare la natura del rapporto fra i due sessi: se dare “come a priori i 
rapporti di armonia oppure, al contrario, di conflittualità”, se postulare 
“la pace o, viceversa, la guerra fra i sessi”
18
. 
Rimane il fatto, di per sé fondamentale, che sulla donna e per la donna 
scrivono e contendono animi niente affatto freddi o estranei all’oggetto 
in discussione (forse anche per questo l’ambito dei giudizi – si disputa di 
sociologia? di biologia? di metafisica, o altro? – non è quasi mai chiaro, 
ed è raro che si sostenga su una coerente metodologia), spesso reduci da 
esperienze biografiche che avevano lasciato il segno, con donne che già 
costruivano con spirito ed esuberanza inediti una nuova realtà, 
minacciosa quanto si vuole, ma per questo ancora più affascinante. I 
filosofi non potevano non essere travolti da queste Erinni, rimaste 
nascoste per troppo tempo, proprio quando nei loro desideri e nei loro 
progetti appariva in visione il nuovo, infallibile Eldorado della storia, 
sintesi del migliore destino per un’umanità che si credeva all’apice 
dell’universo. È questa la paradossale, beffarda ironia dell’Ottocento: 
                                                          
18
 Geneviève Fraisse, Dalla destinazione al destino, in AA. VV., Storia delle donne in Occidente, cit., 
p. 90. 
 11
borghesi e idealisti vanno a braccetto, gli uni a costruire il nuovo Eden, 
gli altri a tesserne le lodi e a fare l’apologia di un appena perfettibile 
disegno del Destino, entrambi a celebrare la potenza e la volontà di 
potenza di un’umanità senza più limiti. 
L’idealismo è dunque carattere imprescindibile di questo secolo: e la 
donna, più di altri, è costretta a subire ed espiare l’eterno, ma mai tanto 
presente, dissidio fra essere e dover essere, immanenza e trascendenza, 
realtà ed idea.  
Già Immanuel Kant, nell’Antropologia pragmatica
19
, del 1798, ne definisce 
lo statuto ontologico, ma in maniera non priva di ambiguità: la donna è 
non solo un essere libero e razionale, ma è giusto che goda del diritto di 
uguaglianza con l’uomo, naturale risultato dell’eguale raziocinio dei due 
sessi. Per Kant, tuttavia, l’essere razionale della donna la consacra ad un 
unico compito, biologico e sociale: la riproduzione della specie. 
Non deve meravigliare che l’autore della Critica della ragion pura, pur 
dichiarando la parità intellettuale fra uomo e donna, consacri 
quest’ultima ad un’innata incapacità, subalternità e dipendenza di fatto. È 
evidente che la sua speculazione spesso demistificatoria non è, in 
quest’occasione, riuscita a superare del tutto l’influenza sotterranea di un 
consenso diffuso intorno ad un caposaldo sociale non ancora facilmente 
sradicabile.  
 12
Johann Gottlieb Fichte aveva affrontato non molti mesi prima (fra il 
1796 e il ’97) la questione femminile forse con maggiore attenzione e 
profondità
20
, ma non abbandonando la rigida prospettiva androcentrica. 
La donna, per il filosofo, soltanto cessando di essere fine a se stessa, in 
piena libertà, e consacrandosi a divenire un mezzo per soddisfare l’uomo 
può affermare e conservare la propria dignità. È proprio la dignità della 
ragione (oggi noi la chiameremmo censura sociale) a impedire alla donna 
di confessare a se stessa il desiderio sessuale (la cui consapevolezza è 
invece concessa all’uomo) ed a indurla a chiamarlo ‘amore’.  Le idee di 
Fichte, per quanto discutibili, hanno in ogni caso il merito di aver 
individuato nella sessualità (intesa come comportamento biologico e 
sociale) l’unica saliente differenza fra i due sessi. 
L’esplicito riferimento alla sfera sessuale è un indice importante per 
valutare il grado di sicurezza dell’uomo romantico-idealista rispetto alla 
censura religiosa e sociale che gravava sul tabù per antonomasia. Non 
che si debba ridurre ogni discorso dell’uomo sulla donna ad un problema 
di sesso, ma non è davvero possibile prescindere da una seria riflessione 
su quell’oggetto dell’immaginario maschile senza dare il giusto rilievo a 
forse l’unica componente pulsionale geneticamente imprescindibile, e 
tuttavia variabile sensibilmente da un fase storica all’altra. 
                                                                                                                                                               
19
 Immanuel Kant, Antropologia prammatica, in Metafisica dei costumi, Roma-Bari, Laterza, 1991. 
20
 Johann Gottlieb Fichte, Fondamento del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza, 
 13