4 
 
 
 
INTRODUZIONE  
 
Questo lavoro riguarda gli stati emotivi e passionali nel diritto penale. Ci si è 
concentrati sia sulla loro disciplina normativa, con particolare rilievo nel 
capito terzo di questo lavoro, ma anche del collegamento di questa tematica 
con i concetti di capacità di intendere e volere e, quindi, con quello di 
imputabilità. Sono concetti portanti del nostro Codice penale, in quanto vanno 
ad influire sulla punibilità del soggetto (che è esclusa se al momento del fatto 
egli era totalmente incapace di intendere e di volere, quindi non imputabile), 
sulla commisurazione della pena (nel caso di semi-imputabilità), nonché 
sull’applicazione delle misure di sicurezza. Si è visto poi come gli stati emotivi 
e passionali possano rilevare, al di fuori della disciplina generale di cui all’art. 
90 c.p., in situazioni particolari, quali la legittima difesa, tema su cui la 
dottrina ha opinioni contrastanti. Si cercheranno infine di evidenziare i 
vantaggi e i limiti dell’articolo 90 c.p nell’attuale sistema penale.
5 
 
 
 
CAPITOLO I 
IL CONCETTO DI IMPUTABILITA’ E IL VIZIO DI MENTE 
 
SOMMARIO: 1. L’imputabilità secondo il Codice penale – 1.1 La capacità di intendere – 
1.2 La capacità di volere – 2. Il vizio di mente – 2.1 Il vizio di mente totale – 2.2 Il vizio di 
mente parziale –  
 
1.L’imputabilità secondo il Codice penale 
 
A norma dell’art. 85 c.p., “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge 
come reato, se, nel momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.  È imputabile chi 
ha la capacità di intendere e volere.” 
 
Il codice Rocco definisce quindi l’imputabilità come la capacità di intendere e volere. È 
imputabile colui che, nel momento della commissione del fatto era capace di intendere e di 
volere
1
.   
Volendo fare un excursus storico della disciplina che regola l’imputabilità nella nostra 
tradizione giuridica, si può partire dal progetto di Codice penale presentato dal Ministro 
Zanardelli nel 1887
2
. Il tema dell’imputabilità era condizionato dal dibattito tra la Scuola 
classica e la Scuola positiva: la prima era quella guidata da Cesare Beccaria, sotto 
l’influenza dell’idealismo di Kant ed Hegel, secondo cui l’individuo era visto come libero 
di autodeterminarsi in base al concetto di libero arbitrio in capo al soggetto.  
 
1
 ROMANO, commentario sistematico del Codice penale Art. 85-149, Milano, 2015 
2
 ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul libro primo del progetto del Codice penale, 22 novembre 1887
6 
 
Per la scuola classica lo scopo principale della pena doveva essere quello deterrente, ciò 
presupponeva che l’essere umano fosse un soggetto libero e razionale che doveva essere 
capace di controllare il suo comportamento. In quest’ottica la pena era fondata sui principi 
di volontà, imputabilità e retribuzione
3
. Nel suddetto contesto si ritiene che l’an, il quantum 
della pena e l’imputabilità dipendano dall’esistenza e dal grado di libero arbitrio, inteso 
come la facoltà di autodeterminarsi
4
. La concezione del libero arbitrio era chiamata “teoria 
del libero arbitrio o indeterminismo”, dove alla base dell’imputabilità c’è la libertà di 
volere; pertanto, è necessario che l’uomo sia stato causa cosciente e libera del fatto 
commesso
5
. La scuola classica distingueva due tipi di deterrenza: la prima era definita a 
carattere specifico che sottostava al principio di proporzionalità, ovvero il contro 
bilanciamento tra reato e punizione; la seconda era a carattere generale e serviva per 
scoraggiare gli individui dimostrando che un soggetto reo non traeva nessun beneficio dalla 
commissione del reato.  
Sulla base dell’influenza della Scuola classica il Ministro Zanardelli delineava la disciplina 
in tema di imputabilità nel progetto definitivo di Codice penale
6
; bisogna chiarire che, 
all’epoca, non c’erano delle chiare indicazioni in merito agli elementi che dovevano 
costituire il giudizio di imputabilità. Tuttavia, era opinione condivisa che “la sola 
esecuzione materiale del fatto non possa ritenersi sufficiente per dichiarare l’autore 
medesimo colpevole di un reato ed assoggettarlo alla sanzione penale corrispondente”
7
.  
L’articolo 47 del progetto di Codice prevedeva che: “Non è punibile colui che, nel momento 
in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di deficienza o di morbosa alterazione di mente 
da togliergli la coscienza dei propri atti o la possibilità di operare altrimenti.”
8
 In relazione 
a questo articolo va precisato che lo stato di deficienza implicava il mancato o non completo 
sviluppo delle facoltà mentali anche se transitorie che potessero escludere l’imputabilità, 
mentre l’alterazione morbosa era qualunque patologia mentale, permanente o meno, 
generale o parziale
9
. A seguito di modifiche apportate nel corso dell’iter di approvazione 
del Codice penale del 1889, il testo definitivo dell’art. 47 recitava: “Non è punibile colui 
 
3
 PONTI, Compendio di criminologia, V edizione, pg 40. ss 
4
 MANNA, L’imputabilità nel pensiero di Francesco Carrara, cit. P. 464 
5
 ANTOLISEI, Diritto penale. Parte generale, XIII ed., aggiornata da L., Conti, Milano, 1994. 
6
 ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul libro primo del progetto del Codice penale, 22 novembre 1887 
7
 VILLA, Relazione della commissione della Camera dei deputati sul progetto del Codice penale, Torino 
1888, LXIV 
8
 ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul libro primo del progetto del Codice penale, 22 novembre 1887 
9
 BERTOLINO, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, cit 368.
7 
 
che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente da 
togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti”. 
10
 
La modifica principale rispetto al progetto iniziale riguardava l’introduzione del concetto 
di infermità mentale, il quale apre alla possibilità che vi sia una condizione patologica sia 
biologica, ma anche psicologica. Inoltre, la possibilità di operare altrimenti venne sostituita 
con la libertà dei propri atti perché venne ritenuta un’espressione più efficace. 
Nel testo definitivo del Codice penale del 1889, più precisamente, l’art 46 prevedeva che: 
“L’uomo è irresponsabile quando qualunque infermità, cioè causa morbosa, che attacchi la 
psiche, produca o la mancanza di coscienza – che comprende i casi di follia intellettiva- o 
la mancanza di libertà degli atti- che comprende i casi di follia impulsiva o volitiva”
11
.   
Successivamente alla definizione del presupposto psico-biologico venne stabilito l’istituto 
della semi-imputabilità, che venne così definito dall’art. 47: “Quando lo stato di mente 
indicato nell’articolo precedente era tale da scemare grandemente l’imputabilità, senza 
escluderla, la pena stabilita per il reato commesso è diminuita”
12
.  
Dopo l’emanazione di tale disciplina si pose il problema, che creò un acceso dibattito, del 
trattamento per i soggetti riconosciuti non imputabili. Inizialmente si propose di introdurre 
la facoltà del giudice di decidere che la pena detentiva fosse scontata in case di custodia, 
prevedendo l’istituzione di manicomi criminali sulla base delle idee della Scuola Positiva. 
Ma il progetto non venne accettato per la paura di espandere troppo il potere discrezionale 
del giudice. Così la norma venne modificata prevedendo che i soggetti prosciolti in quanto 
non imputabili, che fossero tuttavia ritenuti pericolosi, venissero affidati alle autorità 
competenti. 
In sostanza il Codice Zanardelli aderiva ai concetti della scuola classica basata sulla 
responsabilità morale e sul concetto di pena etico-retributiva.  
Successivamente il totalitarismo e le due guerre mondiali misero in crisi la visione liberale 
del Codice penale Zanardelli, mentre, nel frattempo, si insidiavano già le basi e le ideologie 
della Scuola Positiva, che avrebbero in parte influenzato la codificazione penale del 1930. 
La Scuola Positiva iniziò a svilupparsi nel diciannovesimo secolo, cui i principali autori 
 
10
 VILLA, Relazione della commissione della Camera dei deputati sul progetto del Codice penale, Torino 
1888, LXIV 
11
 BERTOLINO, L’imputabilità, cit., 371. 
12
 ZANARDELLI, Relazione ministeriale, cit. 224
8 
 
furono: Cesare Lombroso, Enrico Ferri e Raffaele Garofalo. Il concetto principale di questi 
autori era definito come determinismo biologico
13
 secondo cui il comportamento umano è 
predeterminato da tratti biologici. In sostanza si riteneva che l’individuo delinquente nasce 
con la propensione al crimine, senza possibilità di essere altrimenti. In quest’ottica il 
comportamento criminale non è il risultato di una libera scelta, ma è la manifestazione di 
cause predeterminate. Questa concezione ribaltò l’idea di pena come deterrente sociale e la 
fece vertere su quella di protezione sociale: il soggetto considerato deviante doveva essere 
curato per la sua anormalità psichica; allo stesso tempo, bisognava proteggere la società 
dalle persone pericolose.  
Nel tentativo di trovare un compromesso tra le posizioni della Scuola classica e quelle della 
Scuola positiva il Codice Rocco, emanato nel 1930 durante il Fascismo, introdusse il 
sistema del doppio binario, il quale accostava alla pena, basata sulla retribuzione della 
colpevolezza, le misure di sicurezza per i soggetti pericolosi, finalizzate al contenimento 
della pericolosità dell’autore pericoloso a protezione della società stessa. Inizialmente il 
Codice Rocco prevedeva alcune presunzioni di pericolosità e, inoltre, l’applicazione di 
misure di sicurezza a tempo indeterminato tramite ricovero in un manicomio, mentre per i 
soggetti semi-imputabili vi era l’assegnazione in una casa di cura e custodia.  
Quanto alla disciplina dell’imputabilità, il codice del 1930 introduce l’art 85 c.p. come 
norma generale che sorregge il concetto di imputabilità e la distingue dalle altre componenti 
del reato. Il Codice disciplina poi una serie di cause che escludono la capacità di intendere 
e di volere: tra questi, in particolare, figurano il vizio di mente totale e parziale, 
rispettivamente regolati dagli artt. 88 e 89. Viene, inoltre, introdotto l’art. 90 c.p. in merito 
alla non incidenza degli stati emotivi e passionali sulle capacità di intendere e volere e, 
dunque, sull’imputabilità (v. infra, cap. II).  
Il vizio di mente può dipendere da stati patologici sia psichici che fisici.  
Un ulteriore chiarimento va fatto sulla differenza tra l’art. 85 c.p e l’art. 42. Il primo norma 
l’imputabilità che, secondo la prevalente concezione c.d. normativa, costituisce il 
presupposto della colpevolezza del soggetto (un soggetto può essere colpevole solo se 
capace di intendere e di volere); secondo la più risalente concezione normativa, 
l’imputabilità costituisce invece un requisito della capacità giuridica penale, cioè della 
 
13
PONTI, MERZAGORA Compendio di criminologia, V edizione, pg 50 ss.
9 
 
capacità di essere sottoposto a pena
14
. L’art. 42 riguarda invece la coscienza e volontà della 
condotta (c.d. suitas) e l’elemento psicologico del reato (dolo o colpa). La differenza tra i 
due articoli è basata sull’idea che alcune persone sono imputabili ma in determinati casi 
concreti non possono rispondere penalmente delle loro azioni, perché non agiscono con 
dolo o colpa. Normalmente si può affermare che imputabilità e normalità psichica 
coincidono, ma in concreto non è sempre così. La consueta interpretazione riconduce 
l’imputabilità alla libertà di volere, ovvero come capacità dell’agente di “esercitare poteri 
di inibizione e controllo idonei a consentirgli scelte consapevoli tra motivi antagonistici”
15
. 
Il fondamento dell’imputabilità come capacità di intendere e volere è riscontrabile anche ai 
fini della pena, in quanto è necessario che il soggetto destinatario della sanzione sia capace 
di comprendere il disvalore della sua azione, in primo luogo, e, successivamente, deve 
essere rieducabile e capire il significato del trattamento per accettarlo. In assenza di questi 
requisiti la pena perderebbe le sue funzioni: quella preventiva e quella rieducativa. In tal 
senso, “la limitazione del trattamento punitivo in senso stretto ai soli soggetti 
psicologicamente maturi, d’altra parte, continua a riflettere la concezione socialmente 
dominante della responsabilità umana: la coscienza sociale avvertirebbe, ancora oggi, come 
ingiusta la sottoposizione a pena di chi non è compos sui”
16
.  
Com’è naturale non si può parlare di imputabilità come un concetto a sé stante, in quanto 
essa si pone in rapporto con gli ulteriori elementi del reato. Le principali teorie si basano 
sui concetti di imputabilità e reato, in cui il primo termine, l’imputabilità, è da considerarsi 
la base per la destinazione della sanzione penale; mentre il reato è un fatto umano tipico, 
antigiuridico e colpevole. Quest’ultimo concetto trova il suo fondamento già nella 
Costituzione, all’art 27, comma 1, secondo cui “La responsabilità penale è personale”. In 
questo modo si capisce da subito come nessuno può essere colpevole di un fatto commesso 
da altri, ma, in particolare, per l’esecuzione della pena è necessario che si attribuisca il 
singolo fatto alla responsabilità colpevole del soggetto. Il terzo comma sancisce il fine 
rieducativo della pena che non deve essere contraria ai principi di umanità. Pertanto, chi 
agisce senza dolo o colpa non mostra quel comportamento psicologico che consente al 
trattamento penale di esplicare la sua funzione rieducativa. Ma, anzi, potrebbe sortire 
l’effetto contrario visto che il soggetto non comprende il motivo per cui viene punito.  
 
14
 GROSSO, PELISSERO, PISA, Manuale di diritto penale, Parte generale, Torino, 2020, p. 457 ss. 
15
 FIANDACA, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010, 325. 
16
 FIANDACA, Diritto penale, cit., p. 326.