considerati i soli Paesi membri, a carico dei quali il Trattato 
pone divieti ed obblighi assoluti; in questo senso appare 
infatti orientata la giurisprudenza della Corte di giustizia, 
secondo cui le disposizioni sulla libera circolazione delle 
merci si riferiscono esclusivamente alle normative ed alle 
pratiche amministrative poste in essere dalle autorit� 
nazionali
3
.   
Si dedica questo capitolo all�analisi dei principi che 
regolano la libera circolazione delle merci perch� soltanto 
un�analisi approfondita della situazione legislativa esistente 
in tale settore permette di comprendere appieno l�oggetto 
del presente lavoro.  
Il diritto comunitario prevede tre strumenti principali, 
strettamente correlati tra loro, per la realizzazione della 
libera circolazione delle merci: l�eliminazione totale di ogni 
forma di ostacolo,tariffario , amministrativo e di ogni altro 
genere agli scambi intracomunitari ( cos� come disciplinato 
dagli artt.23 a 27, 28 a 31, 90 e 91 CE); una disciplina che 
assicuri la trasparenza e il controllo delle iniziative 
legislative nazionali che potrebbero ostacolare la libera 
circolazione delle merci, attraverso la previsione di misure 
di vigilanza sia ex ante sia ex post; tale disciplina aspira ad 
assicurare da un lato la trasparenza in tale campo, 
consentendo di prevenire il sorgere di nuovi ostacoli, per 
mezzo della procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE
4
; 
dall�altro mira a verificare ex post se le legislazioni 
nazionali adottate ostacolano la circolazione, in base a 
                                                 
3
 Cos� tra le altre, le sentt. 30 gennaio 1974, BRT c. SABAM, causa n. 
127/73, in Racc., p. 51, e 1� ottobre 1987, Vlaamse Reisbureaus, causa 
n. 311/85, in Racc., p. 3801.      
 
4
 La direttiva 98/34/CE ha abrogato e sostituito la direttiva 
83/189/CEE. 
 
quanto prevede la decisione 3052/95/CE
5
; lo strumento 
dell�armonizzazione di quelle legislazioni nazionali che 
abbiano un�incidenza sulla creazione e sul funzionamento 
del mercato unico, per completare l�opera di 
neutralizzazione degli ostacoli alla libera circolazione delle 
merci, derivanti dalle divergenze tra le legislazioni 
nazionali dei diversi Stati membri, attraverso la creazione 
di strutture armonizzate. 
 
 
2. L�eliminazione degli ostacoli alla libera 
 circolazione delle merci:le barriere tariffarie e non 
 tariffarie agli scambi intracomunitari. 
 
La disciplina della materia � interamente contenuta nel 
Trattato di Roma. L�eliminazione degli ostacoli alla libera 
circolazione delle merci � caratterizzata dal raggiungimento 
di tre diversi obiettivi, riguardanti: l�abolizione dei dazi 
doganali all�importazione ed all�esportazione e delle tasse 
di effetto equivalente, ed anche l�istituzione di una tariffa 
doganale comune per gli scambi con i Paesi terzi (ex artt. 
9-29 CEE, ora artt. 23-27 CE); l�abolizione delle restrizioni 
quantitative agli scambi intracomunitari e delle misure di 
effetto equivalente, nonch� l�abolizione dei monopoli 
nazionali a carattere commerciale  (ex artt. 30-37 CEE, ora 
artt.28-31 CE); il divieto di imposizioni fiscali interne a 
carattere discriminatorio, il quale pur essendo collocato in 
un�altra parte del Trattato svolge una funzione 
complementare rispetto alle norme sull�abolizione delle 
                                                 
5
 Decisione n. 3052/95 del 13 dicembre 1995, in GUCE il 30/12/1995, 
n. 321 
barriere tariffarie agli scambi (ex artt.95 CEE, ora art.90  
CE)
6
. 
 
 
2.1. Il divieto di dazi doganali e di tasse di effetto 
 equivalente. 
 
Analizzando brevemente il primo dei tre punti sopra esposti 
� importante evidenziare come l�instaurazione dell�unione 
doganale, che comporta il divieto di applicare dazi doganali 
all�importazione e all�esportazione di merci tra gli Stati 
membri o tasse di effetto equivalente, nonch� l�adozione di 
una tariffa doganale comune negli scambi con i Paesi terzi 
concernente sia  prodotti originari degli Stati membri, che 
quelli provenienti dai Paesi terzi rispetto ai quali siano state 
adempiute le formalit� di importazione e riscossa la TDC
7
, 
sia un aspetto essenziale e fondamentale del sistema di 
liberalizzazione degli scambi intracomunitari.  
Dal 1� gennaio 1993
8
, con la soppressione degli ostacoli 
fisici agli scambi conseguente alla realizzazione del 
mercato interno, si � data completa attuazione a quel 
                                                 
6
 A sostegno di quanto esposto P. Mengozzi, Il diritto comunitario e 
dell�Unione europea, in F. Galgano (a cura di), Trattato  di diritto 
commerciale e diritto pubblico dell�economia, Padova, 1997, vol. XV, 
p. 9 ss.    
 
7
 Non vi � dubbio che l�origine delle merci dipende evidentemente dal 
luogo di fabbricazione. Nel caso per� di fabbricazione complesse, le 
cui fasi cio� riguardino due o pi� Stati, l�origine del prodotto � data dal 
luogo dove � avvenuta �l�ultima trasformazione o lavorazione 
sostanziale�. Al contrario, il semplice assemblaggio non rappresenta 
una trasformazione merceologicamente od economicamente 
determinante.  
 
8
 Si noti inoltre che il 1� gennaio 1996 � entrata in vigore la decisione 
del Consiglio di associazione CE- Turchia n. 1/95 del 22 dicembre 
1995 (in GUCE, 13 febbraio 1996, n. L 35), relativa all�attuazione 
della fase definitiva dell�unione doganale con la Repubblica turca.          
percorso che, iniziato nel dicembre del 1961 con 
l�abolizione dei dazi doganali all�esportazione e proseguito 
nel luglio del 1968 (anticipando di 16 mesi quella che era 
stata fissata come la data ufficiale) con l�abolizione dei dazi 
all�importazione, ha permesso alla libera circolazione delle 
merci di assumere carattere manifestamente tangibile. 
Per quanto concerne l�abolizione delle tasse di effetto 
equivalente ai dazi doganali all�importazione e 
all�esportazione, il processo di liberalizzazione � stato 
rallentato dalla necessit� di fornire all� espressione 
utilizzata dal Trattato per definire quelle misure di 
protezione tariffaria indiretta (appunto le c.d. tasse di 
effetto equivalente) un contenuto sufficientemente preciso 
che permettesse di sanzionare le fattispecie di cui si 
assumeva la contrariet� con l�obbiettivo del mercato 
comune. In linea generale si pu� dire che alle tasse di 
effetto equivalente ai dazi doganali sono riconducibili tutti i 
tributi imposti unilateralmente dagli Stati membri per il 
solo passaggio delle frontiere nazionali da parte delle 
merci, determinando l�innalzamento del costo del prodotto 
importato (o esportato), frustrando l�effetto liberatorio 
derivante dalla soppressione dei dazi doganali
9
. 
Al riguardo fondamentale � stato il contributo della 
giurisprudenza della Corte di giustizia che ha permesso di 
definire gli elementi essenziali della nozione presa in 
esame. Si possono distinguere due momenti principali: nel 
primo, la Corte ha considerato l�intento discriminatorio e 
protezionistico dell�imposizione stessa identificandola nel 
�diritto imposto unilateralmente, sia all�atto 
                                                 
9
 Per rilievi quantitativi  sulla diffusione delle tasse di effetto 
equivalente ai dazi doganali, si rimanda a C. W. A. Timmermans, La 
libera circolazione delle merci, cit., p. 261. 
 
dell�importazione, sia in un momento successivo e che, 
colpendo specialmente la merce importata�ad esclusione 
del corrispondente prodotto nazionale, produce il risultato 
di alterare il prezzo e di incidere cos� sulla libera 
circolazione delle merci alla stessa stregua di un dazio 
doganale
10
�; in seguito la Corte ha focalizzato l�attenzione 
sulla necessit� di dare portata generale al divieto di cui agli 
art. 23 e 24 per agevolare la pi� ampia circolazione delle 
merci nel mercato comune. In due sentenze del 1969 
(Commissione c. Italia e Social Fonds Diamantarbeiders
11
) 
la Corte ha affermato che �un onere pecuniario�  che 
colpisce le merci nazionali o estere in ragione del fatto che 
esse varcano la frontiera, se non � un dazio doganale 
propriamente detto, costituisce un tassa di effetto 
equivalente�anche se non abbia alcun effetto 
discriminatorio o protezionistico�. In particolare, dopo 
aver ribadito il divieto di dazi doganali a prescindere da 
qualsiasi considerazione circa lo scopo della loro 
istituzione e la destinazione dei proventi da essi derivanti, 
la Corte ha tenuto a precisare che l�estensione di tale 
divieto alle tasse di effetto equivalente �serve a completare 
rendendolo efficace, il divieto degli ostacoli per gli scambi 
che derivano dai dazi stessi�. 
Da queste indicazioni della giurisprudenza della Corte di 
giustizia si possono dunque individuare gli elementi 
essenziali della tassa di effetto equivalente a un dazio 
                                                 
10
 Cos� la sent. Pan peato, la sent. 8 luglio 1965 Deutschmann, causa n. 
10/65 e la sent. 16/06/1966, Germania c. Commissione, cause riunite 
nn.52 e 55/65. 
 
11
 Cfr. le sentt. 1� luglio 1969, Commissione c. Italia, causa n. 24/68. in 
Racc., p. 193, punto 6 e Social Fonds Diamantarbeiders, cause riunite 
nn. 2 e 3/69, in Racc., p. 211, punti 11-12. 
    
doganale: la natura pecuniaria dell�imposizione
12
 e il fatto 
che quest�ultima sia destinata ad applicarsi esclusivamente 
in ragione dell�importazione o dell�esportazione delle 
merci rendendo l�operazione commerciale pi� costosa o pi� 
complessa sotto il profilo dei relativi adempimenti 
amministrativi e burocratici. 
 
 
2.2 Le restrizioni quantitative e le misure di effetto 
 equivalente.     
 
Gli articoli 28 e 29, norme di fondamentale importanza nel 
quadro della disciplina della libera circolazione delle merci, 
che vietano la costituzione ed il mantenimento delle 
barriere non tariffarie agli scambi intracomunitari, 
rappresentate dall�imposizione di restrizioni quantitative 
alle importazioni e alle esportazioni e dalle misure di 
effetto equivalente, costituiscono ( in particolare l�articolo 
28) norme generali rispetto alle disposizioni in tema di 
liberalizzazione degli scambi finora esaminate e, come tali, 
si applicano in via residuale rispetto al divieto di tasse di 
effetto equivalente ai dazi doganali e al divieto di tributi 
interni discriminatori. Qualora ricorrano i presupposti 
richiesti dal Trattato, pertanto sono le norme specifiche 
degli artt. 23,24 e 90 a trovare applicazione.   
Sia la Corte che la Commissione hanno elaborato, 
rispettivamente attraverso la propria giurisprudenza ed i 
propri atti legislativi, una loro definizione della nozione di 
misura d�effetto equivalente alle restrizioni quantitative, di 
                                                 
12
 La natura pecuniaria dell�imposizione consente in particolare di 
distinguere le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali dalle misure 
di effetto equivalente alle restrizioni quantitative.  
vastissima portata, comprendente ogni forma di intervento 
protezionistico non espressamente contemplata da altre 
norme del Trattato CE, che ha permesso al divieto in parola 
di estendersi alle restrizioni pi� diverse e di limitare la 
libert� degli Stati membri in settori ove la loro competenza, 
altrimenti, sarebbe stata esclusiva. 
La nozione in esame � stata definita in primo luogo dalla 
Commissione mediante una serie di direttive di cui la pi� 
significativa � la n. 70/50 del dicembre 1969
13
, nella quale 
si definiscono le misure ad effetto equivalente come: 
�tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed 
amministrative, le prassi, nonch� ogni atto posto in essere 
da un�autorit� pubblica, ivi compresi gli incitamenti� 
suscettibili di ostacolare le importazioni o le esportazioni, 
che potrebbero avere luogo in loro assenza, ivi comprese le 
misure che rendono le importazioni pi� difficili e pi� 
onerose rispetto allo smercio della produzione nazionale�. 
L�orientamento della Commissione, troppo angusto rispetto 
alle esigenze collegate e conseguenti alla progressiva 
instaurazione del mercato comune delle merci, � stato 
superato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia 
sviluppatasi soprattutto in sede di rinvio pregiudiziale che 
ha permesso di affinare sempre di pi� la nozione in esame. 
Seguendo il criterio generale inteso a facilitare la pi� ampia 
circolazione possibile delle merci, la Corte ha infatti fornito 
all�art.28 del Trattato un�interpretazione alquanto ampia, 
sancendone anzitutto l�efficacia diretta e provvedendo poi 
ad enunciarne gli elementi essenziali
14
. 
                                                 
13
 In GUCE, 13 gennaio 1970, p. 29. 
 
14
 Per l�efficacia diretta dell�art. 28 si veda la sent. Iannelli e Volpi, 
punto 13, la sent. 8 novembre 1979, Denkavit, causa n. 251/78, in 
Racc., p. 3369, punto 3. 
Un�importante definizione della Corte � contenuta nella 
sentenza �Dassonville� dell� 11 luglio 1974, nella quale si 
afferma che devono considerarsi misure ad effetto 
equivalente:�tutte le normative commerciali degli Stati 
membri suscettibili di ostacolare direttamente o 
indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi 
intracomunitari�
15
.  
Questa nozione, ancor oggi valida nella sua interezza, � 
apparsa tuttavia particolarmente severa, dal momento che 
in essa  il riferimento all�ostacolo agli scambi 
intracomunitari derivante dalla normativa statale non � 
accompagnato da nessuna precisazione che permetta di 
delimitarne la portata in relazione al tipo o all�entit�. Ne 
deriva che la Corte, pur cercando di preservare una visione 
unitaria del divieto in esame e lasciando immutata la 
formula Dassonville, ha adottato un approccio pi� o meno 
severo a seconda del tipo di misura di effetto equivalente 
valutato in concreto caso per caso.   
Si pu� inoltre considerare come nella sentenza 
�Dassonville� ci si riferisce alle misure che abbiano 
un�incidenza restrittiva sulle importazioni e sulle 
esportazioni; non vengono per� considerate le misure 
interne che siano indistintamente applicabili sia ai prodotti 
nazionali sia ai prodotti importati. Queste sono regolate 
dalla direttiva 70/50/CE. 
La direttiva rappresenta un passo molto importante verso la 
precisazione della nozione di misure, che possono avere 
effetti equivalenti a quelli delle restrizioni quantitative. 
Essa vieta, innanzitutto le misure distintamente applicabili 
ai prodotti nazionali ed ai prodotti importati. In secondo 
                                                                                                                                                                  
 
15
  Causa 8/74, sentenza del 11 luglio 1974, in Racc., p. 837, punto 5. 
luogo, vieta le misure indistintamente applicabili sia ai 
prodotti nazionali sia ai prodotti importati
16
.   
Esiste, quindi, una divisione in due categorie differenti di 
misure d�effetto equivalente: da una parte le misure 
distintamente applicabili e dall�altra quelle indistintamente 
applicabili. 
Le misure distintamente applicabili possono essere 
ulteriormente suddivise in due categorie: quelle 
formalmente e sostanzialmente applicabili ai soli prodotti 
importati, e quelle formalmente applicabili sia ai prodotti 
importati che ai prodotti nazionali, ma che di fatto gravano 
in misura maggiore, quando non unicamente, sui prodotti 
importati rendendone pi� difficile o pi� oneroso il 
commercio. 
Le misure  indistintamente applicabili (art.3 70/50/CE) 
sono, al contrario, secondo la Commissione, 
quelle:�relative alla commercializzazione dei prodotti e 
riguardanti la forma, le dimensioni, il peso, la 
composizione, la presentazione, ecc. che, pur applicandosi 
sia ai prodotti nazionali che ai prodotti importati, hanno 
degli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci 
che eccedono il contesto degli effetti propri di una 
regolamentazione commerciale�. Un esempio tipico in tale 
senso � costituito dai provvedimenti adottati dagli Stati 
membri per controllare il livello dei prezzi, applicabili tanto 
ai prodotti importati quanto ai prodotti nazionali. 
Molto diffuse sono anche le misure d�effetto equivalente 
indistintamente applicabili rappresentate dai c.d. ostacoli 
tecnici agli scambi, che consistono negli ostacoli alla 
                                                 
16
 Sulla giurisprudenza richiamata si rimanda, tra gli altri, a M. A. 
DAUSES, Mesures d�effet �quivalent � des restrictions quantitatives a 
la lumi�re de la jurisprudence de la Cour de justice des Communaut�s 
europ�ennes, in Revue trimestrielle de droit europ�en, 1992, p. 607 ss.   
circolazione delle merci derivanti dalla persistente diversit� 
delle normative con cui ciascuno Stato membro provvede a 
regolare, in assenza di una disciplina comunitaria di 
armonizzazione, le modalit� di fabbricazione, 
composizione, imballaggio, confezionamento, etichettatura, 
denominazione e presentazione dei prodotti (c.d. norme 
tecniche). Per lungo tempo si � ritenuto che gli obiettivi 
perseguiti dagli Stati membri con queste misure fossero 
rimessi alla competenza interna degli Stati; le normative 
nazionali indistintamente applicabili, emanate in virt� di 
tale competenza non incorrono nell�interdizione prevista 
dall�art.28 in quanto i loro effetti sono propri ed inerenti 
alle politiche interne degli Stati membri. Da ci� deriva che 
risulter� necessario ricorrere al riavvicinamento delle 
legislazioni per eliminare gli ostacoli agli scambi 
intracomunitari derivanti da normative nazionali 
indistintamente applicabili, che non rientrano nel campo di 
applicazione dell�art. 28. Lo strumento dell�articolo 28 e lo 
strumento dell�armonizzazione sono, quindi tra loro 
interdipendenti e complementari: l�uno ha lo scopo di 
eliminare immediatamente, salvo eccezioni determinate, 
tutte le restrizioni quantitative all�importazione delle merci 
e tutte le misure d�effetto equivalente, mentre l�altro ha lo 
scopo di permettere, mediante il riavvicinamento delle 
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
degli Stati membri, di ridurre gli ostacoli di ogni genere 
risultanti dalla disparit� tra dette disposizioni. Il rapporto di 
complementariet� si � andato, per�, modificando nel corso 
degli anni e a seguito della sentenze della Corte: la linea di 
demarcazione, infatti, che segnava il confine tra il campo di 
applicazione del primo strumento e quello del secondo, � 
andata spostandosi prima a favore di una maggiore 
applicazione dell�articolo 28 poi, successivamente � a 
seguito della sentenza Kecke e Mithouard (su cui 
torneremo diffusamente in seguito) che ha determinato, 
secondo alcuni autori come Mattera
17
, un�inversione di 
tendenza � a favore di un maggiore utilizzo dello strumento 
dell�armonizzazione. Una prima modifica � stata attuata 
dalla Corte attraverso i principi espressi nella celebre 
sentenza Cassis de Dijon del 1979
18
, diminuendo il campo 
di applicazione dell�art. 94 a favore di un utilizzo sempre 
maggiore sia dell�articolo 28 sia del nuovo principio del 
mutuo riconoscimento, per superare gli ostacoli derivanti 
dalla presenza nei singoli Stati membri di legislazioni 
differenti; in particolare lo Stato membro che intenda 
opporre ai prodotti importati la propria legislazione ha 
quindi l�onere di provare che la normativa tecnica cui il 
prodotto si � conformato nello Stato di produzione non 
offra garanzie equivalenti a quelle richieste dalla normativa 
tecnica nazionale, ad esempio nel campo della protezione 
dei consumatori. Dalla giurisprudenza della Corte e 
dall�interpretazione della Commissione emerge che gli 
Stati membri devono accettare i prodotti che siano 
                                                 
17
 Pi� in generale, sul rapporto tra l�attuazione del principio del mutuo 
riconoscimento ed il riavvicinamento delle legislazioni nazionali, si 
rimanda a A. Mattera Ricigliano, L��limination des barri�res 
techniques et la mise en oeuvre de la reconnaissance mutuelle, in 
Revue du March� Commun, 1990, p 80 ss. 
 
18
 Cfr. la sent. 20 febbraio 1979, Rewe Zentrale (Cassis de Dijon), 
causa n. 120/78, in Racc., p. 649, punto 8. E� importante sottolineare 
che tale giurisprudenza � stata ulteriormente sviluppata per 
ricomprendere tra le esigenze imperative in grado di giustificare 
l�introduzione o il mantenimento di restrizioni alla libera circolazione 
delle merci gli obiettivi legittimi di politica economica e sociale, la 
lotta contro l�inflazione, il risanamento della finanza pubblica e la 
protezione dell�ambiente( cfr. , al riguardo, le sent. 20 settembre 1988, 
Commissione c. Danimarca, causa n. 302/86, in Racc., p.4627, e 9 
luglio 1992, Commissione c. Belgio, causa n. C-2/90, in Racc., p. I-
4431). 
legalmente fabbricati in un altro Stato membro secondo 
prescrizioni tecniche diverse da quelle nazionali ( principio 
del c.d. mutuo riconoscimento); gli Stati membri, infatti, 
non possono imporre a tali prodotti importati 
regolamentazioni nazionali indistintamente applicabili, 
anche se non eccessive rispetto all�obbiettivo legittimo 
perseguito, o non sostituibili da altre misure che arrechino 
minor intralcio agli scambi. E� appena il caso di ricordare 
che l�applicazione della giurisprudenza Cassis de Dijon ha 
condotto a considerare vietate dall�art.28 del Trattato 
numerose legislazioni nazionali che esigevano il rispetto di 
particolari regole tecniche da parte dei prodotti importati, 
con particolare riferimento alle norme vigenti per 
determinati prodotti alimentari tipici del Paese importatore. 
Tale giurisprudenza, di cui non � possibile dare conto per 
intero, comprende le note pronunce relative alla 
commercializzazione dell�aceto non di vino e della pasta di 
grano tenero in Italia, della birra in Germania, del latte in 
polvere e dello yoghourt in Francia, della margarina in 
Belgio
19
. La giurisprudenza della Corte ha ricevuto 
un�inversione in quella che era diventata oramai, pur con 
alcune contraddizioni e discordanze, la sua linea d�azione 
riguardo soprattutto le modalit� dell�attivit� commerciale e 
le condizioni di vendita con la sentenza Keck-Mithouard 
                                                 
19
 Si vedano a proposito le sentt. 26 giugno 1980, Gilli, causa n. 
788/79, in Racc., p.2071; 10 novembre 1982, Rau, causa n. 261/81, in 
Racc., p.3691, punti 12-17; 23 febbraio 1988, Commissione c. Francia, 
causa n. 261/84, in Racc., p.763 ss; 14 luglio 1988, Zoni, causa n. 
90786,in Racc., 4285; 14luglio 1988, Smanor, causa n.298/87, in 
Racc., p. 4489, punto 25; 17 luglio 1988, Dei Glocken, causa n. 
407/85, in Racc., p. 4233. Per ulteriori riferimenti, si rimanda a Libre 
circulation des marchandies, in Dictionnaire permanent de droit 
europ�en des affaires, cit., p. 1722b ss. 
 
del 24 novembre 1993
20
. In tale sentenza la Corte ha 
tracciato una distinzione tra le misure che riguardano le 
caratteristiche del prodotto, e quelle che riguardano le 
modalit� di vendita dello stesso. Sempre la Corte ha pi� 
volte affermato che, mentre le prime sono soggette 
all�applicazione dell�articolo 28, tutte le misure 
indistintamente applicabili che riguardano le condizioni di 
vendita sfuggono all�applicazione di esso, senza un esame 
preliminare dei loro effetti. In particolare la Corte ha 
affermato che l�applicazione ai prodotti provenienti dagli 
altri Stati membri di disposizioni nazionali intese a limitare 
o vietare talune modalit� di vendita � non pu� costituire 
ostacolo� agli scambi commerciali�,semprech� tali 
disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori 
interessati che svolgono la loro attivit� sul territorio 
nazionale e semprech� incidano in egual misura, tanto 
sotto il profilo giuridico, quanto sotto quello sostanziale, 
sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da 
altri Stati membri�
21
. Poich�, dunque, le regolamentazioni 
nazionali concernenti le modalit� di vendita esulano dal 
campo d�applicazione dell�art. 28CE, gli ostacoli 
eventualmente creati da queste devono essere eliminati 
attraverso lo strumento dell�armonizzazione. Dunque, il 
suo campo d�applicazione viene allargato e la linea di 
                                                 
20
 Cause riunite C-267/91 e C-268/91 sentenza del 24 novembre 1993 
in Racc. p. I-6097. 
 
21
 Cos� le sentt. 24 novembre 1993, Keck et Mithouard, cause riunite 
nn. C-267 e C-268/91, in Racc., p.I-6097; 9 febbraio 1995, Leclerc, 
causa n. C-412/93, in Racc., p. I-4536, punto 21. 
Sul nuovo orientamento della Corte si rimanda, tra gli altri, a R. 
Wainwright-V. Melgar, Bilan de l�article30 apr�s vingt ans de 
jurisprudence: de Dassonville � Keck et Mithouard, in Revue du 
March� Commun, 1994, p. 533 ss.  
 
demarcazione precitata si sposta a favore 
dell�armonizzazione. 
 
 
2.3. Il divieto di imposizioni fiscali discriminatorie o 
 protezionistiche per i prodotti importati 
  
Le norme relative all�abolizione dei dazi doganali e il 
divieto di applicare ai prodotti altri oneri pecuniari all�atto 
o comunque in ragione dell�attraversamento delle frontiere 
tra Paesi membri, vanno integrati con l�ulteriore divieto, 
sancito dall�art.90 del Trattato, di applicare tributi interni 
che siano discriminatori nei confronti dei prodotti 
importati
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. Tale divieto di applicare ai prodotti importati 
tributi interni superiori a quelli applicati ai prodotti 
nazionali similari, nonch� il divieto di utilizzare le 
imposizioni interne per tutelare indirettamente determinate 
produzioni nazionali
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 svolge infatti una funzione 
                                                 
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 Si cita per maggior completezza il testo dell�articolo 90: �Nessuno 
Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli 
altri Stati membri imposizioni interne di qualsivoglia natura, superiori 
a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali 
similari. Inoltre, nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri 
Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente 
altre produzioni�. 
Si veda inoltre l�art. III, n. 2, del GATT 1994. 
 
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 L�espressione �imposizioni interne� di cui all�art.90 � stata definita 
dalla Corte nella sent.3 aprile 1968, Molkerei-Zentrale, causa n. 28/67, 
in Racc., p.208, come �il complesso dei tributi gravanti effettivamente 
e specificatamente sul prodotto nazionale, in ogni fase della 
produzione e della distribuzione, anteriore o concomitante 
all�importazione del prodotto da altri Stati membri�. 
Si pu� pertanto affermare che l�art.90 comprende qualsiasi onere 
fiscale gravante sul prodotto nazionale nel corso dei vari stadi della 
fabbricazione, commercializzazione, utilizzazione e consumo, a 
prescindere dalle tradizionali nozioni, peraltro difformi da Paese a 
Paese,di imposte dirette e imposte indirette. Sul divieto in parola si 
veda, tra gli altri, L. Maublanc-Freandez-J.P. Maublanc, L�interdiction 
des entraves de nature fiscale ou parafiscale � la libre circulation des 
marchandies, in Revue du March� Commun, 1995, p.383 ss.