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APPROFONDIMENTI

Nuove regole per i telegiornali

04/02/2005

Nuove regole per i telegiornali

Come spesso accade il mondo della comunicazione, e il mondo della televisione in modo particolare, non segue le normali regole del mercato, ma si diverte a costituire una corposa eccezione a tutte le leggi economiche che abbiamo imparato a conoscere.
Una di queste, per esempio, è la regola secondo la quale la concorrenza genera abbassamento dei prezzi e aumento della qualità; in realtà, confrontando la situazione ai tempi della Rai del monopolio con quella odierna, il prezzo non è affatto diminuito (né quello del canone, né tanto meno quello che paghiamo indirettamente sotto forma di presenza pubblicitaria) e la qualità, per quanto la percezione di qualità sia un dato essenzialmente soggettivo, non si è certo innalzata. Tutto questo nonostante lo sviluppo e la modernizzazione dei mezzi tecnici consentano, al giorno d’oggi, di produrre programmi tecnicamente impensabili solo vent’anni fa, al punto che la considerazione che ne consegue è quella che, con ogni probabilità, da qualche tempo si sia scelto di badare più alla forma (delle riprese, del montaggio, della regia, degli effetti speciali…) piuttosto che al contenuto. Ecco spiegato, allora, il senso di spettacoli e programmi fatti con gente comune, e non professionisti della televisione, una scelta che garantisce minori costi e uguale resa, naturalmente in termini di ascolti non certo di qualità, rispetto a programmi dai contenuti più pregnanti e interessanti, realizzato col contributo di veri professionisti.
Ciò che tuttavia è inaccettabile, dal mio punto di vista, è che questa logica sia stata applicata a programmi che da essa dovrebbero, per loro stessa natura, prescindere, stante il loro carattere informativo e di servizio: i telegiornali.
Come è noto, uno degli effetti più vistosi (e dannosi?) della legge 23/1990, nota come legge Mammì dal nome dell’allora Ministro per le Poste e Telecomunicazioni, è l’obbligo anche per le reti private (televisive e radiofoniche) di trasmettere notiziari informativi con scadenze giornaliere prefissate. Questa piccola rivoluzione, purtroppo, non ha portato effetti benefici all’informazione televisiva come si sarebbe potuto pensare allora: la moltiplicazione dell’offerta non ne ha migliorato la qualità, piuttosto ha portato all’inseguimento dell’audience anche in questo settore, rincorrendo il pubblico sul terreno della cronaca (spesso nera, e spesso ai limiti della morbosità), invece di guidarlo sui sentieri di un’informazione seria e corretta. Ancora, le nuove figure professionali che sono state create, raramente si sono rivelate all’altezza degli anchormen pre-duopolio, causando una perdita di autorevolezza e di credibilità anche nei telegiornali storici da più tempo radicati nel mondo dell’informazione; il costume e il gossip hanno acquisito dignità di notizia, scalzando temi importanti come la politica internazionale (è inconcepibile che uno dei principali notiziari televisivi italiani non abbia un solo corrispondente dall’estero), mentre l’informazione politica interna, complice la polarizzazione del confronto attorno a due gruppi contrapposti, è stata spesso trattata come strumento di tornaconto personale, in una logica di bottega più che di servizio pubblico.
Ma ciò che è più grave, è il fatto che i paradigmi della cosiddetta nuova televisione abbiano obbligato i programmatori a inserire anche i telegiornali in quello che viene definito flusso televisivo, cioè in quella sequenza di immagini, musica e parole priva di soluzione di continuità che caratterizza la neo-televisione da quando la programmazione notturna e quella 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 sono state adottate da pressoché tutte le reti nazionali.
In quest’ottica il telegiornale smette di essere trasmissione di informazione e servizio e diventa semplicemente un programma da inserire nel flusso, trainato dal programma precedente, e facente funzione di traino per quello successivo. Non solo, il telegiornale diventa un ulteriore strumento per definire l’identità di rete, attraverso tutti i mezzi (e mezzucci) che la legge, peraltro vaga, consente: ospitate di attori e presentatori, interviste beatificatrici, promozione di trasmissioni, divulgazione di dati Auditel (naturalmente solo quelli graditi) e altre amenità di questo tipo, sempre e soltanto al servizio di programmi e personaggi della rete. Una deriva, questa, che ci ha già portato ad avere i protagonisti dei reality show intervistati nel corso dei telegiornali a proposito dei temi più disparati.
Ritengo, da parte mia, che sia giunto il momento di porre un limite a tutto ciò e mi auguro che al più presto il legislatore predisponga nuove regole per i telegiornali, creando una sorta di zona franca all’interno della quale la struttura dei notiziari sia regolata da paletti normativi ben definiti. Qualche esempio, tanto per cominciare:
1) divieto assoluto di pubblicità all’interno del telegiornale;
2) divieto assoluto di diffusione di dati Auditel, in particolare di quelli della propria rete;
3) divieto di inserire finestre “preparatorie” all’interno del programma precedente e, ugualmente, di ospitare collegamenti con il programma successivo o comparsate dei protagonisti del programma stesso;
4) divieto di diffondere notizie relative a programmi o personaggi della propria rete a meno che non si tratti di un avvenimento particolarmente importante ai fini della cronaca e universalmente riconosciuto come fatto rilevante indipendentemente dalla sua esistenza come programma televisivi (avvenimenti sportivi di rilevanza nazionale e internazionale; Festival di Sanremo; Miss Italia; premi letterari, musicali e cinematografici…)

Credo che per un’informazione seria e corretta, non si possa prescindere da questi concetti: un telegiornale veramente autorevole deve essere credibile, e la credibilità la si ottiene trattando le notizie e gli spettatori con il rispetto dovuto.


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