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APPROFONDIMENTI

CSR, cooperazione e terzo settore: un felice connubio di imprenditorialità sociale

05/10/2016

In alcuni miei recenti contributi[1] è emerso che rispetto alla riflessione sui rapporti tra etica ed economia, i due fenomeni più interessanti che possiamo oggi riscontrare nel sistema economico sono da un lato la crescente diffusione della responsabilità sociale d'impresa (CSR) tra le imprese, dall'altro la maggiore presenza della cooperazione e del terzo settore (crescita in parte connessa al progressivo ripiegamento del sostegno pubblico nel campo del welfare). Con l'obiettivo di dare maggiore concretezza alle riflessioni precedenti, con questo breve contributo provo a tracciare alcune implicazioni riguardo al primo dei due temi menzionati.


È ormai consolidato il dibattito sulle reali intenzioni delle imprese che adottano un bilancio sociale, un codice etico, e più in generale si fanno carico formalmente di una responsabilità sociale. Evito, pertanto, deliberatamente di entrare nel merito delle motivazioni che spingono un'impresa ad adottare la CSR. Vi sono però alcuni aspetti deontologici che hanno immediate ricadute sulle conseguenze pratiche. È su questi aspetti che intendo ora soffermarmi, argomentando che gli strumenti della CSR possono prospettare, in talune situazioni, anche seri pericoli. Non vi è infatti alcun dubbio che la contabilità sociale, la formulazione di un codice etico, il coinvolgimento degli stakeholder, siano tutte iniziative che permettono un confronto, una comunicazione e la stessa condivisione sui temi dell'etica degli affari, e possano quindi essere un pungolo efficace a rendere più sensibili gli operatori economici rispetto comportamenti etici. In taluni casi la consapevolezza etica ed ecologica delle imprese che pervengono a tali strumenti è talmente bassa, che questi possono nella migliore delle ipotesi pervenire a svolgere essenzialmente un'azione educativa. Non è mia intenzione quindi disconoscere il valore istruttivo che l'adozione di standard etici può rivestire per molte realtà, dalle piccole alle grandi imprese. Occorre altresì essere consapevoli che, in campo etico, standard e codici sono armi con una doppia faccia e anche a doppio taglio[2].


Se condividiamo l'idea che essere etici non significa necessariamente accettare un precetto semplicemente perché obbligatorio, è ovvio che dobbiamo accogliere con un certo dubbio l'adozione di uno "standard etico". Esso potrà avere effetti positivi soltanto se la coscienza etica è veramente bassa.


A mio avviso, le operazioni che in misura più penetrante responsabilizzano sono proprio quelle che precedono la fase di adozione del codice o dello standard: quali, la discussione, l'argomentazione, la sensibilizzazione. In seguito sarà opportuno monitorare il bilancio sociale per mantenere sotto osservazione le conseguenze della propria attività. Ma il codice e lo standard non assumono significato proprio se non sono accompagnati dalla crescita morale delle persone che fanno parte dell'organizzazione. Per questo motivo, occorre molta prudenza nell'adottare modalità operative della CSR, in quanto possono avere la controindicazione di sollevare gli operatori dalla necessità della continua vigilanza morale. Bisogna evitare soprattutto, nel campo dell'etica, la consuetudine e la prassi cloroformizzante delle "direttive". Occorre, in buona sostanza, che la responsabilità sociale d'impresa non si configuri come un sostituto della responsabilità morale dei soggetti componenti l'impresa stessa.


Appare quindi molto più pervasivo un orientamento delle imprese a interpretare la CSR come una inclinazione a soddisfare le esigenze della collettività di riferimento, di soccorso e agevolazione permanente a soddisfare le istanze etiche, ovvero se le stesse riuscissero ad adottare un vero processo di collaborazione che, nel coinvolgere gli stakeholder, li stimolasse ad approfondire e qualificare sempre meglio la loro richiesta di eticità. Solo così, nella piena consapevolezza che non si deve rispettare un "buon" precetto soltanto perché obbligatorio, ma perché intimante proprio, si potrà innescare un sistema di sviluppo sociale successivo, partecipato e scambievolmente responsabilizzante.


Ciò premesso, un'impresa capitalistica che adotta le condotte tipiche della CSR è un'impresa con un obiettivo esclusivo (il profitto) che decide volontariamente di farsi carico di un fine ulteriore. Tale scelta può essere di carattere strategico, funzionale al successo di mercato, ecc.. In ogni caso, l'obiettivo "ultimo" non muta, ma con un vincolo aggiuntivo la condotta può comunque cambiare, anche in misura significativa.


Diversa la posizione delle cooperative e più in generale delle organizzazioni non profit. In tal caso non solo vi sono vincoli aggiuntivi liberamente accettati, ma vi è la scelta di una diversa e più ampia funzione obiettivo. Così facendo, la cooperazione va oltre il capitalismo, non si riconosce nel fine esclusivo dell'accumulo di capitale, salvo che al capitale si associ una dimensione più estesa, ovvero quella di capitale sociale e relazionale.


Così concepita la cooperativa è sotto il profilo ideale la migliore espressione dell'impresa responsabile e solidale. E ciò perché in tale veste il vincolo aggiuntivo risulta più credibile, ma soprattutto perché essa rappresenta la costruzione giuridica più idonea a dare uno spazio adeguato all'identità e alle responsabilità individuali. Nella cooperativa la frammentata identità individuale si ricompone, unendo nella figura del socio i differenti ruoli di investitore, produttore, dirigente, lavoratore, consumatore. E da tale forma di organizzazione consegue la migliore garanzia sul buon esito del processo di responsabilizzazione dell'organizzazione stessa, che non ne travisi le finalità.


Il superamento del profitto come principale ed unico obiettivo dell'attività economica è anche il primo passo per quell'auspicato superamento della visione utilitarista, economicista, efficientista che ha occupato buona parte delle mie riflessioni.


L'utile di bilancio è in tal caso lo strumento necessario per dare continuità e autonomia a organizzazioni aventi per fine la realizzazione di personalità e capacità umane, consentendo il riposizionamento della motivazione servile (il profitto) nell'ambito dei mezzi e non dei fini.


Si può convenire in tal caso che l'impresa assume connotazioni che si compenetrano con la CSR. Non appena spezza la catena dell'utile per assumersi responsabilità aggiuntive a quelle di moltiplicazione dei mezzi, uscendo in tal modo anche dalla stringente logica del capitalismo, l'impresa perviene a fini più nobili, superiori, democratici e partecipativi.


[1] Cfr. per tutti CIPOLLONI G. (2016) "Etica, responsabilità aziendale e performance economico-sociale. Il caso del Credito Cooperativo", in corso di pubblicazione su Workin Paper, Collana on line, Luiss University Press, 16/05/2016. Tale lavoro rientra nelle "Tesi d'eccellenza" dell'a.a. 2014 - 2015. Al riguardo, le due migliori tesi per ogni Dipartimento, discusse nel corso di ogni anno accademico di riferimento e selezionate tra quelle che hanno ricevuto la speciale menzione, sono pubblicate online nella collana dei Working Paper LUISS. http://www.luissuniversitypress.it/node/3

[2] Al riguardo, è esemplare richiamare ancora una volta il caso della Volkswagen che poco prima del dieselgate era riconosciuta come impresa leader globale nella responsabilità sociale, riferendosi alla classifica del Reputation Institute e che nel 2014 la VW stessa si fosse aggiudicata anche il Gold Medal Award for Sustainable Development assegnato dalla non profit World Environment Center per la sua «concezione della sostenibilità come obiettivo strategico e la sua attuazione esemplare» e vinto il Corporate Social Responsibility grazie alla sua partnership strategica con the Nature e Biodiversity Conservation Union. E che addirittura nel settembre 2015 il Dow Jones Sustainability Index gli abbia attribuito l'encomio per l'impegno ambientale, salvo poi fare marcia indietro ed escluderla dal 6/10/2015 dal listino. Per una visione più particolareggiata, si fa rinvio a ARDUINI S., Pesante il Telegraph su Volkswagen: la CSR è ormai un racket, http://www.vita.it/it/article/2015/09/29/pesante-il-telegraph-su-volkswagen-la-csr-e-ormai-un-racket/136721/.


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