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APPROFONDIMENTI

Per un discorso serio sui trasporti in Sicilia

29/04/2005

Per un discorso serio sui trasporti in Sicilia

La retorica con la quale la Regione Sicilia pubblicizza il suo slancio progettuale per annullare la propria perifericità rispetto all’Europa suscita ilarità. Da un lato, con l’appoggio del Governo, Palermo celebra l’ “imminente” inizio dei lavori per la costruzione del ponte sullo Stretto, ormai mitico al pari di Scilla e Cariddi; dall’altro finanzia e pubblicizza sul proprio sito uno studio di pre-fattibilità per la realizzazione di un tunnel di oltre 120 km tra la Sicilia e la Tunisia! Come dire: la deriva dei continenti può essere annullata! Che strano modo di affermare la centralità della Sicilia nel Mediterraneo! Forse il discorso sulla posizione della Sicilia rispetto ad Europa e Nord Africa andrebbe impostato con maggiore rigore scientifico.

Il congiunto operare di oggettive condizioni geografiche (legate all’insularità e all’orografia interna) e la storica mancanza di un approccio strategico adeguato da parte dei policy-makers si colloca a monte dell’annosa ed irrisolta questione dei trasporti e della mobilità in Sicilia.
L’unilaterale accentuazione del fattore geografico solleverebbe da ogni responsabilità politica generazioni di classi dirigenti che si sono avvicendate dall’unità d’Italia ad oggi; analogamente, rimarcare l’inefficacia, o meglio l’inerzia, della politica equivarrebbe a dimenticare un dato di incontestabile evidenza, e cioè che la Sicilia è un’isola e che, per di più, ha una conformazione orografica “difficile”.
Indubbiamente la situazione dei trasporti nella Sicilia di oggi non si lascia più rappresentare attraverso le sconfortanti immagini letterarie che a lungo hanno alimentato il luogo comune di un’isola non solo marginale rispetto al “continente” (Italia ed Europa) ma addirittura composta di “contrade” reciprocamente inaccessibili.
Perciò, di valore meramente storico-documentale rimane il racconto lampedusiano dell’epico viaggio in carrozza (di ben sette ore!) compiuto dai principi di Salina da Bisacquino a Donnafugata lungo regie trazzere che tagliano lande accidentate, arse dalla canicola di un lontano agosto del 1860(1) . Altrettanto storico rimane l’episodio del traghettamento in treno dello Stretto da parte di un Vittorini che, a tempo di fascismo, torna in Sicilia dal Nord Italia e registra il triste paradosso dei poveri contadini peloritani che, essendo stati pagati in arance dai padroni, si industriano per cederle in cambio di un tozzo di pane: e così, invano, raggiungono a piedi Messina, invano si imbarcano alla volta della costa calabra, e, infine, di quelle stesse “maledette arance” sono costretti a cibarsi per non morire di fame(2). Profetico parere negativo sull’eventuale costruzione di un ponte sullo Stretto?

Eppure, sul piano dei trasporti e della mobilità, la Sicilia sconta ancora oggi la pesante eredità di tre fasi storiche -il sessantennio di regno unitario (1860-1922), il ventennio fascista (1922-1943), il sessantennio di statuto speciale repubblicano (1945-2004)- in cui è mancato un coerente approccio strategico ai problemi esistenti. E’, invero, mancato -per utilizzare una metafora informatica- un approccio teso a congegnare ed implementare un ben dosato mix di interventi sull’hardware (si legga: infrastrutturali) e sul software (si legga: giuridico-economici, quali, ad esempio, gli incentivi alle imprese di trasporto), mix attraverso il quale i livelli di governo competenti mirassero a creare i presupposti per il superamento di quelle esternalità negative per il sistema economico-produttivo siciliano che rappresentate dall’insularità e dalle reciproche marginalità interne.

Lasciando sullo sfondo il nodoso tema dell’inadeguatezza delle infrastrutture pubbliche per il trasporto (l’hardware), il discorso scientifico (e quindi politico) dovrebbe concentrarsi sull’analisi critica una delle componenti, per così dire, soft del sistema trasportistico: i meccanismi di incentivazione dell’ente Regione Sicilia. Più in dettaglio, procedendo sul doppio binario dell’analisi giuridica ed economica, focalizzare sull’impatto delle normative regionali che si sono avvicendante in materia di agevolazioni alle imprese di trasporto.

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Il discorso sulla regolazione del mercato del trasporto in Sicilia non può prescindere dal più generale tema dell’intervento dell’operatore pubblico sul mercato.

La letteratura economica ha ampiamente indagato il rapporto tra Stato e mercato. Due grandi scuole di pensiero hanno animato il dibattito accademico e politico.

Da un lato, si è collocata la “scuola” liberista dei c.d. “economisti classici” (Smith, Ricardo…) cui si sono largamente rifatti, in epoca più recente, i monetaristi di Chicago (e.g. Milton Friedman), convinti assertori della capacità del mercato di auto-regolarsi, cioè di raggiungere -dinamicamente- situazioni di equilibrio grazie al solo operare dei suoi meccanismi di domanda ed offerta. Da una tale ipotesi è derivato, come logica conseguenza, l’obbligo per lo Stato di rimanere al di fuori dell’arena economica, in quanto ogni sua manovra, tanto sul versante della domanda quanto su quello dell’offerta, falserebbe il libero gioco della concorrenza; in altre parole: la concorrenza perfetta -fra i cui assunti teorici non figura certo l’esistenza dell’ingombrante attore statale- sarebbe l’unico regime di mercato capace di assicurare l’allocazione, per dirla con Pareto, ottima di risorse scarse tra gli operatori.

A partire dagli anni Trenta del secolo trascorso, di fronte alle evidenze empiriche della Grande Depressione cominciata negli USA nel 1929, in contrapposizione dialettica al pensiero “liberoscambista”, si è sviluppata la teoria keynesiana (preceduta sul piano dei fatti dal “Big Deal” di F.D. Rooselvelt), favorevole ad un ruolo attivo -in mera funzione anticiclica- della “mano visibile” dello Stato. Questo indirizzo, per così dire, “interventista” muove da un assunto diametralmente speculare a quello classico-monetarista: il mercato, lasciato al libero operare delle sue forze interne (domanda e offerta), “fallisce”, cioè non è in grado di conseguire una distribuzione ottimale, tra famiglie e imprese, delle scarse risorse disponibili; più esplicitamente: l’idilliaca condizione di equilibrio postulata nella teoria della concorrenza perfetta -per cui quando p=CMA il surplus del consumatore e dell’impresa sono simultaneamente al massimo grado possibile- è puramente teorica, non ha riscontro pratico. Proprio la confutazione degli assunti della concorrenza perfetta (numero tendenzialmente infinito di consumatori e imprese per cui esistono solo operatori price-taker, assenza di asimmetrie informative, di esternalità, di barriere all’entrata e all’uscita…) costituisce la legittimazione teorica dell’intervento dello stato nel mercato.

Il sintetico quadro teorico-concettuale sopra sviluppato ci sembra un utile strumento per introdurre la riflessione sul mercato del trasporto in Sicilia.

La ge nerale condizione di arretratezza in cui versa il sistema produttivo isolano è riconducibile ad una molteplicità di fattori. Fra questi, uno è tradizionalmente indicato dalla pubblicistica come una delle principali con-cause del “ritardo” di sviluppo della Sicilia. Il riferimento è chiaramente al fattore dell’infrastrutturazione di base deputata al trasporto ed alla mobilità.


Come già ricordato, le particolari condizioni geo-morfologiche interne di un’isola di quasi 26 mila km2 in cui poche, e poco estese, pianure si aprono tra impervi rilievi, si sono frapposte allo sviluppo di una rete infrastrutturale (stradale e ferrata) capace di mettere in connessione fisica ed economico-funzionale le diverse realtà territoriali, amministrativamente ricadenti in 390 comprensori comunali.
A questa oggettiva causa impediente si è poi, storicamente sommata l’incapacità delle classi politiche nazionale e regionale di orientare la colossale disponibilità di risorse finanziarie della Cassa per il Mezzogiorno prima (1950-1992) e dei Fondi Strutturali della Comunità Europea poi (1993-2006) verso una progettualità strategica, e quindi di lungo periodo, capace di redimere la Sicilia dal fardello della sua geografia “difficile”.
In uno scenario in cui gli oltre circa cinque milioni di siciliani si vedono oggi consegnato da natura e storia un sistema infrastrutturale frammentato ed incapace dare slancio allo sviluppo dei commerci e delle intraprese economico-produttive, non può che continuare ad esserci spazio per un intervento dell’operatore pubblico volto verso l’obiettivo non solo di compensare le esternalità negative del sistema ma anche di crearne di positive.
Senza questi preliminari intendimenti, il sistema regionale di agevolazioni alle imprese specializzate nell’offerta di servizi di trasporto non potrebbe essere inquadrato dalla giusta prospettiva e correrebbe il rischio di ricadere, insieme a molti altri regimi di aiuto vigenti nell’isola, nel biasimevole universo degli strumenti dello “stato assistenziale”, cioè di un operatore pubblico che, abusando delle logiche keynesiane, entra nel mercato creando più distorsioni che compensazioni e stimoli verso la crescita e lo sviluppo.
Il vero nodo del problema non è, dunque, “se lo Stato (si legga: la Regione) deve intervenire” ma “come deve intervenire”. In generale, il principio ispiratore dell’intervento ci pare debba essere quello della coerenza della strumentazione giuridico-economica messa in campo con gli indirizzi strategici di sviluppo che ne costituiscono la necessaria premessa.


(1) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, cap. II.
(2) Elio Vittoriani, Conversazione in Sicilia, cap. III.


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