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La critica d'arte degli anni 80

La critica d'arte degli anni 80


Il critico che diviene curatore negli anni Ottanta in realtà è un intellettuale di segni visuali, una sorta di cinetico della comunicazione non verbale. La traccia davvero modesta di scrittura attraverso cui verificare il pensiero di Germano Celant si pone a paradigma reale di un compito ridottosi, in quegli anni, al mero sostentamento paradigmatico di una esclusiva condizione della postmodernità, data per scavo, riduzione, processualità dell'esperienza del lavoro creativo. Anzi, la riduzione stessa della testualità di Germano Celant può essere circoscritta in una sola riga di testo: Appunti per una guerriglia. (cfr Flash Art, Milano 1969) ad esclusione della ricercata individualità di Inespressionismo, l'autore è sempre rimasto ben nascosto in labirintiche mostre compilative - Identité Italienne, (Parigi 1981), e tutte le varie filiazioni dell'Arte Povera -. E' evidente che essendo Celant uno dei più autorevoli curatori della contemporaneità la sua scuola abbia avuto tanto seguito. La Critica Simulata degli anni Novanta non è altro che la continuità storica della Guerriglia Epistemologica teorizzata dalla critica 'povera' di Celant. E non soltanto, se anche Carolyn Christof-Bakargiev, la quale perorava la causa di una nuova scena giovane fondata sulle complesse dinamiche della realtà-immateriale, ha platealmente citato le sue mosse. L'idea della critica postmoderna anni Novanta è infatta quella di raggiungere il potere dell'autorevolezza storica attraverso l'azione coordinata di un gruppo disomogeneo di artisti. Le sue ragioni logiche sono l'apriori artistico, un muto asservimento che soprattutto in Italia ha causato non poche anomalie, una tra tutte la pretesa, anticritica, antistorica, degli artisti votati al territorio mercantile. Scelta di indubbia lungimiranza, ma che non poteva più conservare la forza, di riflesso, della opposizione 'poverista'. La cura critica degli anni Ottanta e per certi versi quella degli anni Novanta risente di questa illogica separatezza fra territorio critico e territorio artistico: in questa abiura della teorica non stupisce che la quasi totalità degli artisti, affacciatisi a ridosso degli anni Novanta abbia interpretato questa assenza come una manifesta incompetenza. Il discredito cui si è giunti è stato difatti totale. Se, parallelamente, la figura del critico assume una connotazione popolare - come nel caso del video-critico-politico Vittorio Sgarbi – nella stretta cerchia della sperimentazione la sua figura è totalmente assente. I sodalizi di quegli anni Novanta in casi come Tiracorrendo (Milano) hanno ripudiato la classificazione e la tradizione della critica assukendo quella della cura fiduciaria, anche la più recente. In Museo Teo (Milano) e Stop Art (Novi Ligure), cui seguiranno anche La Stanza Rossa (Firenze), Vegetali Ignoti (Milano), Opening (Roma) la letteratura artistica italiana assume l'identità autocritica dell'artista, tagliando le derive tecnicistiche della critica d'arte di stampo storico.

Tratto da LA CURA CRITICA di Alessia Muliere
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