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Gli investimenti nel mezzogiorno - 1950/60 -


In questi anni la Cassa per il Mezzogiorno investì somme impressionanti nell'agricoltura, nella costruzione di strade, nelle bonifiche e negli acquedotti. Nel 1957, inoltre, il Governo, aveva annunciato una decisione di grande importanza per il Mezzogiorno: il 40% degli investimenti totali dell'IRI e il 60% dei suoi nuovi investimenti per gli impianti industriali sarebbero stati destinati esclusivamente al Meridione. E c'era di più: alcune aree privilegiate del Mezzogiorno (Bari, Brindisi, Cagliari, Salerno, Taranto) sarebbero state riconosciute come poli di sviluppo mentre altri centri di minore importanza come nuclei di industrializzazione. In queste aree gli investimenti sarebbero stati attratti grazie ad un accordo che prevedeva un finanziamento a fondo perduto del 20% e uno del 70% agevolato in quindici anni con un tasso annuo del 4%. Questo è il periodo della nascita delle acciaierie Finsider di Taranto e Bagnoli; del petrolchimico di Gela, dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco, della Olivetti a Pozzuoli e della Montecatini a Brindisi. Ma non era tutto oro quello che luccicava, per tre ordini di ragioni:
- la proposta era stata realizzata su spinta di interessi particolaristici, primo fra tutti quello del re democristiano della Basilicata Emilio Colombo. Ciò comportò una scelta logistica di impianto di industrie basata non su un piano economico intelligente ma su interessi particolari, creando delle cattedrali nel deserto slegate completamente dal tessuto economico.
- L'aspetto delle città rimase tale e quale a prima. Le industrie erano ad alta intensità di capitale ma a a bassa intensità di manodopera, non risolvendo per nulla il problema cronico della disoccupazione al sud. Le città, Isolate dal contesto economico, si popolarono di disoccupati che non trovarono meglio da fare se non dedicarsi al contrabbando. Molte città crebbero verso l'esterno disordinatamente, vittime di una speculazione edilizia incontrollata e della connivenza delle corrotte autorità locali.
- Le piccole fabbriche dei settori tradizionali (tessile, alimentari, pellami, legno) andarono in rovina di fronte alla concorrenza spietata dei beni di consumo prodotti al Nord.
Se anche in questi anni fosse stata portata a compimento una più radicale riforma agraria, con una estesa distribuzione della terra su base più razionale, un miglioramento dei contratti agrari e un consistente aiuto statale ai nuovi proprietari, le zone montuose e collinari del Sud sarebbero comunque state destinate a perdere grosse unità di popolazione.
Gli incoraggiamenti e gli apprezzamenti espressi da Manlio Rossi Doria, durante un convegno organizzato dalla Fondazione Einaudi, sull'importanza dell'apertura di nuove strade per i contadini del Sud, che finalmente potevano passare al settore secondario passando a migliori condizioni di vita, poneva due grossi problemi.
- Il primo lo sollevò durante lo stesso convegno il comunista Pietro Grifone, stretto collaboratore di Gullo negli anni '40: il contadino meridionale non emigrava volentieri, non amava lo sradicamento e trasferirsi, ad esempio, a Stoccarda, era un trauma più che altro.
- La soglia fisiologica di emigrazione dai campi era superata. Se tutti andavano via, i campi del Meridione sarebbero stati abbandonati in direzione di un declino irreversibile.
Il governo fece ben poco sul piano legislativo per fronteggiare la drammatica crisi del Mezzogiorno contadino. I due piani verdi di recupero agricolo destinavano fondi solo alle aziende della pianura, lasciando morire quelle collinari e montuose. Inoltre, l'Italia fu molto sensibile alle pressioni del Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Agricolo che snobbavano i prodotti agricoli italiani come frutta, verdura e vino (ma non l'olio d'oliva) rispetto allo zucchero, alla carne, ai cereali e ai prodotti lattiero – caseari del Nord Europa.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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