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I metodi della Fiat negli anni '50


LA CLASSE. Nel 1954 ancora la FIOM teneva saldamente, nelle commissioni Fiat, il 63% dei voti; nel 1955, solo un anno dopo, precipita al 36%. Il giorno dopo i risultati inizia il XXXI congresso del PSI durante il quale Pietro Nenni denuncia i metodi intimidatori della Fiat; nelle sue parole non c'è alcuna esagerazione e a sostegno una enorme mole di documenti: meccanismi messi in atto allora dalla Fiat sembrano appartenere ad un altro mondo: tribunali di fabbrica con verbali di udienza, reparti – confino, corpi di sorveglianza e reti di informatori, un efficace sistema di intimidazioni e pressioni cui gli altri sindacati non mancano spesso di contribuire. Non stupisce, dato il clima, la caduta a precipizio delle percentuali FIOM.
La sinistra cercò di non limitarsi a quello che fu definito il fascismo Fiat e avviò una riflessione sui suoi errori: da un lato criticò l'eccessiva politicizzazione dei conflitti sindacali e dall'altro il verticismo contrattuale, che aveva fatto perdere la centralità delle condizioni di fabbrica. Erano certamente autocritiche e osservazioni fondate ma la realtà di quegli anni ci è interamente consegnata da una massa eloquente di più di 200.000 schede relative a dipendenti della Fiat compilate tra il 1949 e il 1966. Le schede sono venute alla luce per iniziativa di un pretore: redatte dall'Ufficio Servizi Generali della Fiat grazie alla collaborazione interessata di polizia, carabinieri e funzionari del Sid, che potevano accedere liberamente ad informazioni di norma private, servivano agli alti vertici sia per controllare chi già lavorava in fabbrica sia per verificare se chi faceva domanda d'assunzione era rispondente alle sue necessità. Un quadro quasi incredibile, ma vero, e di cui la Fiat è solo una tra le tante fabbriche, la regola, non l'eccezione. Solo la Olivetti diverge da questo fosco quadro di libertà congelata.
È un periodo complesso questo, dove ondate di licenziamenti, connesse alla smobilitazione e alla riconversione di alcuni settori industriali, si equilibrano con ondate di assunzioni frutto dei processi di riorganizzazione di fabbrica che preannunciano quello che sarà da lì a poco il boom economico. Il PCI non fu in grado di cogliere in tempo la portata di tali trasformazioni e la sua cieca lettura catastrofista del capitalismo non farà altro che marcare maggiormente la sua arretratezza rispetto alle dinamiche che si stagliavano all'orizzonte. Le ideologie si sfaldano, si fanno liquide, mentre il PCI si ostina a versare l'amido di una base culturale che ormai sta scomparendo.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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