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Il dibattito culturale del '56


IL '56 E IL DIBATTITO CULTURALE. Pur concentrando la nostra attenzione sulla cultura di sinistra, va precisato comunque che alcuni limiti in essa presenti erano comuni anche ad altre aree culturali. Possiamo fare l'esempio, già citato, della concezione comunista del capitalismo come incapace di produrre sviluppo (visione staliniana e non marxista) che ha un corrispettivo rovesciato nel medesimo catastrofismo di PIO XII nei confronti dello sviluppo e della modernizzazione. Non che mancassero, nel mondo cattolico, visioni più moderate e aperte (IRI, SVIMEZ, CENSIS) testimioniate dalla rivista Il Mulino – un ponte tra cattolici, socialisti moderati e liberal progressisti – o da pochi imprenditori come Bassetti e soprattutto Adriano Olivetti.
In questo quadro si collocano anche i connotati della cultura di sinistra, impasto di stalinismo (e zdanovismo sul piano culturale) e italo – marxismo (la famosa linea De Sanctis – Labriola – Croce – Gramsci) che segna ampiamente la vulgata culturale fino alla metà degli anni '50. A essere messa progressivamente in discussione è la subalternità dell'intellettuale al politico, che per più di un decennio aveva tenuto i giovani marxisti lontano dalle nuove temperie culturali venute da fuori. Un altro tema dolente, meno avvertito fino al XX Congresso del PCUS, riguarda la realtà dei paesi socialisti, l'assenza di riflessione sui loro aspetti, la mancanza di osservazione specifica e ravvicinata delle caratteristiche di quei regimi, in sostanza la volontaria rimozione di processi che già nel 1953 lanciavano segnali premonitori (la rottura con Tito e la rivolta operaia di Berlino Est). Nel 1954 solo Franco Fortini osservava e gridava a gran voce cosa stava accadendo; nel 1956, invece, il clima di riforma andava allargandosi: Spinella critica le chiusure nei confronti di studi come quelli di Friedman e Adorno; Geymonat polemizza contro l'eccessivo idealismo; Fortini e Strada sottolineano l'esigenza di riconsiderare i postulati teorici del marxismo e di costruire quel marxismo teorico che oggi in Italia non c'è.
Sarà Carlo Cassola a toccare il nervo scoperto del XX Congresso del PCUS, pubblicando un intervento da lì a poco seguito dal rapporto Kruscev: ricordando una discussione del 1944 con alcuni partigiani che stavano aderendo al PCI, lo scrittore afferma che molti elementi di giudizio erano a portata di mano già allora e non era quindi possibile, adesso, fare finta di cadere dalle nuvole. L'intervento di Cassola suscitò un vespaio e le reazioni furono tra le più disparate, dall'atto di fede di Salinari alla scomunica di Pintor passando per il mezzo pentimento della Rossanda.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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