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Predizione degli effetti cancerogeni

Predizione degli effetti cancerogeni

Sebbene la gravità degli effetti genetici trasmissibili, implicati in importanti e invalidanti sindromi umane, sia ampiamente riconosciuta, il ruolo di fattori esogeni sul carico genetico umano e’ dibattuto.  La crescente consapevolezza del ruolo di agenti chimici esogeni ed endogeni nei processi di cancerogenesi, e la correlazione, dapprima empirica e poi supportata da dati meccanicistici, sulla associazione tra effetti mutageni e cancerogeni hanno dato il maggiore impulso allo sviluppo e applicazione dei test di mutagenesi. Attualmente la normativa comunitaria prevede la valutazione del potenziale mutageno per tutte le sostanze per cui sia prevedibile l’esposizione umana (additivi, farmaci, pesticidi, ecc.). I saggi di mutagenesi sono talvolta (nel caso di sostanze con bassa esposizione) l’unico test tossicologico effettuato, con il ruolo riconosciuto di strumento di prescreening della cancerogenesi. I criteri e le strategie per ottimizzare il potere predittivo dei test di mutagenesi sono stati oggetto di ricerca e discussione a partire dagli anni ‘70 del secolo precedente, quando Bruce Ames dimostrò l’associazione tra caratteristiche mutagene e cancerogene di agenti chimici utilizzando un semplice test batterico. Oggi, anche sulla base delle migliori conoscenze sui meccanismi di sviluppo neoplastico, si ritiene che tutti i tre livelli di mutazione, cioè quello genico, cromosomico e genomico, debbano essere indagati ai fini del prescreening della cancerogenesi, in quanto sia mutazioni geniche, che riarrangiamenti cromosomici e aneuploidie sono implicati nello sviluppo tumorale. Non esistendo sistemi di saggio capaci di identificare contemporaneamente i tre eventi mutageni, ne consegue che più saggi con caratteristiche e performances complementari debbono essere impiegati contemporaneamente in batterie o con un approccio sequenziale. I criteri operativi per l’applicazione dei test di mutagenesi nel prescreening della cancerogenesi sono stati recentemente armonizzati. Essi prevedono normalmente un primo livello di indagine con saggi in vitro, in cui viene valutata sia la capacità di indurre mutazioni geniche che alterazioni cromosomiche; nel caso di risultati uniformemente negativi nei saggi in vitro, generalmente la sperimentazione viene arrestata e la sostanza considerata non genotossica. Qualora siano ottenuti risultati positivi in vitro, si procede alla verifica del potenziale genotossico in vivo, utilizzando saggi adeguati su cellule somatiche scelti in base al profilo di attività mostrato in vitro. Risultati positivi in questi saggi (in vivo) sono sufficienti a ritenere la sostanza mutagena a livello somatico ma non implicano necessariamente un’attività mutagena anche a livello delle cellule germinali, che rappresentano un bersaglio fisiologicamente più protetto e meno accessibile per agenti esogeni. Qualora sia necessario, si procede quindi alla valutazione degli effetti sulla linea germinale utilizzando i saggi descritti a proposito della valutazione degli effetti trasmissibili. Quindi, le normative dell'Unione Europea schematizzano questi procedimenti in tre punti:
set di base: un test di mutazione nei batteri più un test su cellule di mammifero capace di individuare aberrazioni cromosomiche (analisi delle metafasi, test del micronucleo in vitro, test di mutazione in avanti su cellule di linfoma di topo L5178Y);
in caso di uno o più risultati positivi, verifica in un test in vivo su cellule somatiche: per sostanze con disponibilità sistemica, test citogenetici sul midollo osseo o test di sintesi/riparazione del DNA (UDS) nel fegato; per sostanze senza disponibilità sistemica, test della cometa, test di mutazione su animali transgenici;
in caso di risultati positivi sulle cellule somatiche, verifica della potenziale esposizione delle cellule germinali in base a dati farmacocinetici prima di condurre eventuali esperimenti per valutare gli effetti mutageni trasmissibili.
Comunque, solo recentemente la frase di rischio per i cancerogeni è stata modificata per rendere più esplicito il riferimento al cancro. L’evidenza di attività mutagena resta comunque un elemento importante anche ai fini della classificazione delle sostanze cancerogene, per cui si applica una categorizzazione che ricalca quella dei mutageni:
1.Categoria 1: sostanze note per gli effetti cancerogeni nell’uomo (T, tossico; R45: Può causare il cancro);
2.Categoria 2: sostanze da considerare come cancerogene per l’uomo (T, tossico; R45: Può causare il cancro);
3.Categoria 3: sostanza da considerare con sospetto per possibili effetti cancerogeni nell’uomo, percui l’evidenza sperimentale è tuttavia limitata (Xn, nocivo; R40: Limitata evidenza di effetti cancerogeni);
Per le sostanze chimiche già in commercio al 18 Settembre 1981 (definite sostanze “esistenti”) esistono invece solo dati frammentari, a parte un piccolo gruppo di sostanze di interesse prioritario rivalutate caso per caso nell’ambito dell’attività di Risk Assessment prevista dal Regolamento della Commissione n.1488/94. D’altra parte, la disparità numerica tra sostanze “nuove” (circa 3000, tutte valutate) ed “esistenti”(circa 100.000, di cui circa 150 valutate nel programma di Risk Assessment citato) è tale da rendere improponibile l’applicazione su larga scala dell’approccio dettagliato utilizzato per le sostanze “nuove”. A tal fine la Commissione Europea ha sviluppato un nuovo approccio regolatorio chiamato REACH (Registration, Evaluation and Authorisation of CHemicals) che attribuisce al produttore la responsabilità di valutare il rischio posto dalle sostanze prodotte, lasciando ad esso anche la responsabilità di produrre i dati e le informazioni necessarie a tal fine.

Tratto da CITOGENETICA E MUTAGENESI AMBIENTALE di Domenico Azarnia Tehran
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