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La natura giuridica del consenso


Secondo la dottrina più recente il consenso andrebbe qualificato come atto giuridico in senso stretto, cioè come permesso con il quale si attribuisce al destinatario un potere di agire che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell’avente diritto e non trasferisce alcun diritto in capo all’agente; da tale natura del consenso deriverebbe la sua revocabilità in ogni tempo, a meno che l’attività consentita, per le sue stesse caratteristiche, non possa essere interrotta se non ad avvenuto esaurimento.

Legittimazione e capacità a dare il consenso:

Legittimato a prestare il consenso è il titolare dell’interesse protetto dalla norma, cioè colui che, altrimenti, sarebbe il soggetto passivo del reato.
Se i titolari del diritto sono più di uno, il consenso è valido se prestato da tutti.
Il titolare del diritto, per poter validamente esprimere il proprio consenso, ne deve avere la capacità.
Per la validità del consenso occorre la capacità dell'avente diritto a consentire.
Tale requisito è stato talvolta identificato nella capacità naturalistica di intendere e di volere; ma l'opinione è inaccettabile per tutte le ipotesi in cui la legge, direttamente o indirettamente, individui, per la disponibilità del diritto, specifici limiti di capacità. Così, in relazione ai diritti patrimoniali il c.c. richiede la maggiore età; dall'art. 609-quater, n. 1 c.p. che equipara alla violenza sessuale le attività sessuali compiute su un minore infraquattordicenne, si evince che la capacità a consentire viene implicitamente riconosciuta soltanto ai soggetti di età superiore ai quattordici anni.
In pratica, occorre sempre considerare la disciplina normativa dettata in riferimento al diritto di volta in volta considerato. Nel silenzio della legge, sarà possibile ricorrere, o all'applicazione analogica della disciplina dettata per situazioni affini, o, in via ulteriormente subordinata, al criterio della capacità naturalistica del soggetto.
Si ritiene generalmente che il consenso possa essere validamente prestato dal rappresentante volontario o legale del titolare del bene (es. tutore per l’interdetto). Nell’ipotesi in cui si verifichi un conflitto tra la manifestazione del rappresentante e quella del rappresentato, che sia capace di validamente consentire, come nel caso di minore capace di intendere e di volere e dell’esercente la potestà di genitore, è forse preferibile la tesi che accorda la prevalenza alla volontà del titolare.

Volontà e manifestazione del consenso:

Il consenso è atto volontario e, come tale, deve essere espresso in modo libero, non viziato, cioè da errore/violenza/dolo.
Da ciò deriva la necessità che chi presta il consenso sia perfettamente informato e consapevole di ciò cui consente (in partic. Nei casi di trattamento medico-chirurgico).
Il consenso deve essere manifesto, all’esterno con una forma qualsiasi, purché la volontà sia cmq riconoscibile; esso può essere anche desunto dal comportamento oggettivamente univoco dell’avente diritto (c.d. consenso tacito).
Inoltre il consenso deve sussistere al momento del fatto: fino alla realizzazione del fatto offensivo esso è sempre revocabile; inoltre, non avrebbe nessuna efficacia un consenso prestato successivamente, una “ratifica” del fatto già commesso.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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