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Il problema degli atti con forza di legge delle Regioni


E’ da chiedersi, a questo punto, se sia possibile, in base alla Costituzione, riconoscere alle Regioni il potere di adottare, oltre alle leggi e ai regolamenti, anche atti con forza di legge.
Da una parte, vi è quel filone dottrinale che ha ripreso la tesi secondo la quale la formulazione testuale dell’art. 134 cost. presuppone l’ammissibilità di decreti-legge e decreti legislativi regionali, accanto a quelli statali, e aggiunge che tale rafforzamento del potere normativo della Giunta sarebbe in linea sia con la nuova forma di governo regionale delineata dalla l. 1/99, sia con il nuovo tipo di potestà legislativa, piena e completa, attribuita alle Regioni dal riformato art. 117 cost.; dall’altra, vi è l’orientamento, decisamente prevalente, di chi ritiene tuttora valide molte delle argomentazioni della Corte costituzionale (mancanza di un’esplicita previsione, in Costituzione, di decreti-legge e decreti legislativi regionali; speditezza del procedimento legislativo regionale, che non richiede procedure alternative) e reputa che il rispetto del principio democratico non consenta l’attribuzione all’esecutivo regionale del potere di adottare atti con forza di legge.
La scelta effettuata da tutti è nel senso di attribuire la potestà legislativa in via esclusiva al Consiglio, ma in qualche caso viene anche espressamente statuito che “le competenze del Consiglio non possono essere esercitate dagli organi di governo della Regione, né in via d’urgenza, né per delega”.
Quanto ai decreti legislativi, d’altra parte, si può osservare che non rappresentano il solo strumento per risolvere il problema cruciale di far sì che il Consiglio sia posto nelle condizioni di fare fronte ad una mole di lavoro legislativo che si prospetta imponente (dopo l’ampliamento delle competenze regionali), senza rinunciare alla propria centralità, in quanto organo di rappresentanza generale.
Una soluzione equilibrata può essere considerata la riconferma del Consiglio quale sede principale del confronto e della mediazione, senza però configurarne la competenza in termini rigidi ed esclusivi.
Non escludendo, cioè, che, nell’assolvimento delle proprie responsabilità di legislatore, il Consiglio sia tenuto a dettare sempre e comunque discipline complete e analitiche, ma permettendogli di concentrarsi sulla normazione di principio e di lasciare all’esecutivo le scelte puntuali.
Allo stesso modo, anche il ricorso da parte delle Regioni alla decretazione d’urgenza sembra tutt’altro che indispensabile, dal momento che, per far fronte con sufficiente tempestività a circostanze impreviste, si possono battere anche altre strade.
Non a caso i nuovi statuti hanno contemplato procedure d’urgenza come varianti all’iter legislativo ordinario e, inoltre, hanno previsto sia poteri di ordinanza del Presidente, sia deliberazioni d’urgenza della Giunta, di carattere esclusivamente amministrativo, da sottoporre al Consiglio per la ratifica.
Se si tratta di individuare un efficace strumenti di chiusura, allora, piuttosto che ipotizzare l’attribuzione alla Giunta regionale di un problematico potere di decretazione d’urgenza, appare preferibile seguire l’opinione di chi propone una lettura della Costituzione secondo la quale sono tuttora utilizzabili, anche nei campi che la riforma del Titolo V ha assegnato alle Regioni, i decreti-legge governativi di cui all’art. 77 cost.
Il provvedimento statale d’urgenza potrebbe servire da “ponte” provvisorio, dando tempo alla Regione di approvare una congrua disciplina legislativa.
Ad evitare un uso improprio dello strumento rimarrebbe pur sempre a disposizione delle Regioni il ricorso alla Corte costituzionale, che dovrebbe valutare l’oggettiva esistenza dei presupposti di necessità ed urgenza.

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