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Il procedimento di formazione delle leggi costituzionali


Come si è detto, ciò che caratterizza le leggi costituzionali è principalmente il procedimento di approvazione, cui si riconnette la loro posizione nel sistema delle fonti.
Esso è modellato su quello legislativo ordinario, ma presenta la duplice caratteristiche di richiedere una doppia deliberazione di ciascuna delle due Camere ad intervallo non inferiore a 3 mesi e, nella seconda, alternativamente, una maggioranza qualificata di ⅔ dei componenti ciascuna assemblea, ovvero la maggioranza assoluta e la possibilità di un voto popolare nella forma del referendum.
Ovviamente nella seconda deliberazione sono inammissibili emendamenti di qualsiasi tipo.
Per la seconda deliberazione è richiesta l’approvazione almeno della maggioranza assoluta sei componenti di ciascuna Camera, altrimenti il progetto si ha per non approvato.
Dal raggiungimento o meno della maggioranza di ⅔ derivano poi importanti conseguenze: in caso affermativo la legge viene promulgata e pubblicata, terminando così il suo iter; in caso negativo si dà luogo ad un’ulteriore fase, che inizia con la pubblicazione della legge, dalla quale decorre (non l’entrata in vigore, ma) il termine di 3 mesi entro il quale 500.000 elettori, 5 consigli regionali o 1/5 dei membri di ciascuna Camera possono richiedere il referendum.
Se il termine spira infruttuosamente, la legge sarà promulgata e poi nuovamente pubblicata, ai fini della sua entrata in vigore; altrimenti sarà indetto un referendum, per il quale non è previsto un quorum di partecipazione, e dal cui esito dipenderà la conferma definitiva della legge e quindi la sua promulgazione e pubblicazione, ovvero la definitiva interruzione del relativo procedimento.
La funzione del referendum, data la circostanza che esso sia previsto come eventuale e, a differenza di quello abrogativo, attivabile anche da non elevate minoranze parlamentari, unita a quella ch’esso sia ammissibile solo allorché in seconda deliberazione la legge non sia stata approvata con la maggioranza di ⅔, è evidentemente di carattere oppositivo, di strumento nelle mani della minoranza per contrastare la modifica costituzionale, ma anche, come l’unica esperienza ha dimostrato (riforma del Titolo V nel 2001), di strumento di legittimazione di una maggioranza incerta.
Il rilievo, infine, che per il referendum in parola non sia previsto un quorum di validità della consultazione e che pertanto anche un’esigua minoranza potrebbe mettere nel nulla, nell’indifferenza della maggioranza degli elettori, la doppia deliberazione parlamentare, costituisce un indubbio rafforzamento della rigidità costituzionale, rendendo impraticabile da parte della maggioranza politica l’invito a disertare le urne, viceversa ammesso e praticato per il referendum abrogativo.

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