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Il quantum della prova (c.d. standard probatorio) nel processo penale


E’ la quantità di prova necessaria a convincere il giudice.
Nel processo civile lo standard probatorio viene indicato con la regola del “più probabile che no”.
L’attore deve provare i fatti costitutivi del diritto in modo tale da convincere il giudice che la propria ricostruzione appare più probabile di ogni ipotesi contraria.
Se la prova da lui fornita appare insufficiente o contraddittoria il giudice rigetta la domanda.
In capo al convenuto, poi, esiste il medesimo standard probatorio previsto per l’attore.
Questo sistema trova giustificazione nella sostanziale equivalenza dei diritti sui quali si controverte nel processo civile.
Nel processo penale, viceversa, colui che accusa ha l’onere di provare la reità dell’imputato in modo da eliminare ogni ragionevole dubbio.
La prova d’accusa che lascia residuare un ragionevole dubbio è equiparata alla mancata prova.
A nostro avviso l’aggettivo “ragionevole” significa “comprensibile da una persona razionale” e dunque oggettivabile attraverso argomentazioni logiche.
Non potrà trattarsi, pertanto, di un dubbio meramente psicologico, possibile o congetturale, percepito soggettivamente dal giudice.
La regola del ragionevole dubbio nel processo penale costituisce una regola probatoria, in quanto definisce il quantum dell’onere della prova in capo al PM, e una regola di giudizio, in quanto prescrive la regola che il giudice deve applicare in caso di dubbio.
La particolarità del processo penale è che il dubbio va a favore dell’imputato anche quando questi ha l’onere della prova, e cioè quando egli deve convincere il giudice dell’esistenza di un fatto favorevole.
Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità oppure vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione.
Pertanto l’imputato avrà soddisfatto l’onere della prova delle scriminanti se avrà fatto sorgere nel giudice un dubbio ragionevole sulla propria reità.
Ciò è giustificabile perché nel processo penale non vi è una sostanziale equivalenza tra le posizioni soggettive contrapposte: è soltanto l’imputato che può ricevere dalla decisione un pregiudizio nel suo diritto più importante, quello della libertà personale.
Inoltre l’imputato, se pure ha l’onere di provare i fatti a sé favorevoli, tuttavia non ha quei poteri coercitivi di ricerca delle fonti di prova che nel nostro sistema spettano soltanto al Pubblico Ministero e alla polizia giudiziaria.
L’imputato ha l’onere di indicare con sufficiente precisione i fatti e di introdurre almeno un principio di prova.
Se, invece, si limita a indicare in modo impreciso fatti che soltanto lui poteva conoscere, impedendo all’accusa di condurre le indagini per accertarli, allora non adempie al suo onere della prova, seppur minimo, perché non fa sorgere un dubbio ragionevole.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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