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Le conclusioni desumibili dalla disciplina delle nullità formali ed extraformali


Alla stregua della nostra disciplina positiva, il processo dovrebbe potersi concludere con una sentenza di mero rito, assolutrice dall’osservanza del giudizio, nelle sole ipotesi di nullità dell'atto introduttivo per mancata indicazione o assoluta incertezza del diritto fatto valere, di difetto di legittimazione ad agire, di difetto di interesse ad agire e forse di difetto di giurisdizione.
Espressione chiarissima di tale principio sono, oltre il generalissimo art. 162 c.p.c. in tema di rinnovazione degli atti nulli, soprattutto gli artt. 50, 382, 392, 44 c.p.c. (il quale consentono sempre che il processo, iniziato davanti ad un giudice incompetente, possa proseguire innanzi al giudice competente), 102 e 331 c.p.c. (i quali consentono sempre che la domanda o l'impugnazione proposta nei confronti di solo alcune delle più parti che debbano necessariamente partecipare al giudizio, sia idonea, ove sanata attraverso l'integrazione del contraddittorio, ad impedire decadenze sostanziali e processuali ed a produrre tutti gli effetti sostanziali e processuali), 1641-2-3 e 291 c.p.c. (i quali esplicitamente attribuiscono efficacia retroattiva alla sanatoria costituita dalla rinnovazione della citazione e/o della notificazione in ipotesi di nullità del sottoatto di citazione inerente alla vocatio in ius), 426, 427 e 439 c.p.c. (i quali consentono sempre che la causa erroneamente introdotta nelle forme del rito speciale o ordinario possa proseguire nelle forme ad essa proprie): tutte queste disposizioni prevedono fattispecie sananti aventi efficacia retroattiva, cioè l'inidoneità di vizi processuali ad impedire il prodursi di tutti gli effetti cosiddetti processuali e sostanziali della domanda ove i vizi stessi siano sanati entro un termine perentorio fissato dal giudice (o dalla legge).
A fronte di queste disposizioni, appaiono come eccezionali quelle disposizioni che, alla presenza di una domanda giudiziale riferibile all’attore e al convenuto, non prevedono fattispecie sananti a carattere retroattivo.
Se le cose stanno in questi termini, alla presenza di una lacuna nella disciplina della nullità conseguente al difetto di singoli requisiti processuali, è dovere dell'interprete ricostruire, individuare tale disciplina alla stregua dei principi generali.
Ciò significa che, in caso di nullità conseguente alla mancata rappresentanza della parte ad opera di un difensore tecnico, la lacuna costituita dalla mancanza di disciplina della nullità causata dal difetto del requisito extraformale della difesa tecnica dovrà essere colmata tramite l'applicazione del principio generale della sanabilità in via retroattiva anche di vizi di tale specie, ove l'atto nullo (per difetto di difesa tecnica) sia rinnovato entro il termine perentorio fissato dal giudice, con l'ulteriore conseguenza che, se nel corso del giudizio di primo grado il vizio non è rilevato, esso si riverbera sulla sentenza ai sensi dell'art. 161 c.p.c. e, se fatto valere in appello dalla parte soccombente, dà luogo solo a rinnovazione in appello degli atti nulli, non a rimessione della causa in primo grado né, tanto meno, a chiusura del giudizio d'appello con sentenza meramente dichiarativa della nullità della sentenza e dell'intero processo di primo grado.
Né, per contrastare tali conclusioni, sarebbe possibile obiettare che esse contrastano con il principio enunciato dall'art. 152 c.p.c., secondo cui il giudice può fissare termini perentori solo se è a ciò espressamente autorizzato dalla legge: il termine perentorio di cui prima si parlava è, infatti, termine previsto espressamente dagli artt. 50, 102, 164, 291, 331, 426, 427, 439 c.p.c., disposizioni da cui si è desunto il principio generale tramite il quale colmare la lacuna circa la disciplina della nullità conseguente al difetto o vizio nella difesa tecnica.

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