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L’impugnazione incidentale tardiva


Il discorso svolto fino ad ora concerne unicamente l’impugnazione incidentale che deve qualificarsi come tempestiva.
Nell’art. 334 c.p.c., però, il legislatore prende in considerazione l’ipotesi dell’appellato il quale, al momento in cui gli è notificato l’appello principale, abbia perso il potere di impugnazione per decorrenza dei termini o acquiescenza (ossia accettazione espressa della sentenza, compimento di atti incompatibili con la volontà di impugnare).
Qualora ciò si verifichi, la notificazione dell’impugnazione vale come rimessione in termini dell’impugnato nel potere di impugnare (cosiddetta impugnazione incidentale tardiva).
Il legislatore ha effettuato questa scelta allo scopo di favorire l’accettazione della sentenza.
L’esigenza di evitare l’incentivazione delle impugnazioni ha, come contropartita necessaria, la previsione della rimessione in termini dell’impugnato che abbia perso il potere di impugnare.
Tuttavia, l’impugnazione incidentale tardiva, a differenza di quella tempestiva, si presenta come impugnazione non autonoma, ma condizionata alla ammissibilità dell’impugnazione principale.
Alla fine degli anni ‘50 la giurisprudenza inaugura un indirizzo che ha resistito fino al 1989, secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva era ammissibile, in quanto si dirigesse contro lo stesso capo della sentenza oggetto di impugnazione principale, ovvero contro un capo “connesso o dipendente”.
Questa limitazione oggettiva aveva determinato un insuperabile incertezza nella prassi applicativa in ordine agli effettivi limiti di ammissibilità delle impugnazioni incidentali tardive; la stessa locuzione “capo connesso o dipendente” era ed è altamente equivoca.
Per fortuna il problema sembra essere stato definitivamente risolto da un intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (sent. 4640/89) la quale, modificando il precedente indirizzo giurisprudenziale, ha affermato con chiarezza assoluta che le impugnazioni incidentali tardive non incontrano alcuna limitazione di carattere oggettivo.
Venute meno le limitazioni oggettive all’impugnazione incidentale tardiva, restano, però, ad avviso della giurisprudenza, le cosiddette limitazioni soggettive.
Talune sono assolutamente legittimi, altre sono prive di qualsiasi giustificazione esegetica o logico-sistematica.
Alla stregua della lettera dell’art. 334 c.p.c., parti legittimate all’impugnazione incidentale tardiva sono quelle “contro le quali è stata proposta illuminazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.”.
Ne segue che le parti alle quali è notificata l’impugnazione a norma dell’art. 332 c.p.c. non sono legittimate all’impugnazione incidentale tardiva.
Ad avviso della giurisprudenza, però, esisterebbe una seconda limitazione soggettiva alla proposizione dell’impugnazione incidentale tardiva: la parte impugnata potrebbe a sua volta impugnare in via incidentale tardiva, oltre che contro la parte impugnante, solo contro le parti “chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.” e non anche contro quelle cui l’impugnazione va notificata a norma dell’art. 332 c.p.c.
Quindi, l’incasellare la causa nell’ambito dell’art. 331 o 332 c.p.c. si rivela determinante ai fini dell’ammissibilità o no dell’impugnazione incidentale tardiva.
La conservazione di una simile limitazione soggettiva all’impugnazione incidentale tardiva mi sembra che costituisca un residuato della previsione di limitazioni oggettive: venute meno queste, è auspicabile che in tempi non troppo lunghi la giurisprudenza elimini anche la limitazione soggettiva cui si è accennato.

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