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L'enunciazione e l'identificazione cinematografica




Sarebbe sufficiente riprendere le parole di Hitchcock, nel caso di Marnie, per scorgere che, in tale messa in campo di una situazione a forte identificazione, il lavoro dell’istanza che mostra o che narra è tanto determinante quanto la struttura propria di ciò che è mostrato o narrato; cosa che sanno bene gli scrittori i quali non mancano di intervenire sul corso naturale degli eventi raccontati, per farli attendere, modularli, creare effetti di sorpresa, false piste, e la cui arte consiste proprio nel controllo di una certa enunciazione, i cui effetti sono determinanti sulle reazioni dell’uditorio prima che il contenuto dell’enunciato stesso. Nel processo di identificazione, il lavoro di narrazione, del mostrare, dell’enunciazione, svolge un ruolo del tutto determinante: esso contribuisce in larga misura a conformare la relazione dello spettatore alla diegesi e ai personaggi; è esso, a livello delle grandi articolazioni narrative, che modula in permanenza il sapere dello spettatore sugli eventi dietetici, che controlla a ogni istante le informazioni di cui egli dispone a mano a mano che il film va avanti, che nasconde certi elementi della situazione o al contrario ne anticipa altri, che regola in gioco dell’anticipazione e del ritardo tra il sapere dello spettatore e il sapere supposto del personaggio e che adatta così in modo permanente l’identificazione dello spettatore alle figure e alle situazioni della diegesi. A livello di ciascuna scena, il lavoro dell’enunciazione consiste quindi nell’adattare il rapporto dello spettatore alla situazione dietetica, nel tracciare in esso dei microcircuiti privilegiati, nell’organizzare la generazione e la strutturazione del processo di identificazione, piano per piano; questo lavoro dell’enunciazione è tanto più invisibile, nel cinema narrativo classico, quanto più è preso in carico dal codice.
SPETTATORE CINEMATOGRAFICO E SOGGETTO PSICANALITICO: LA SCOMMESSA
Tutto ciò che è stato detto finora suppone a priori che lo spettatore di cinema sia interamente omologo e riducibile al soggetto della psicoanalisi, in ogni caso al suo modello teorico. Questa concezione dello spettatore comincia però oggi ad essere messo in discussione: per Schéfer, ad esempio, esisterebbe un enigma cinematografico irriducibile alla finzione del soggetto psicanalitico in quanto incentrato sull’Io; il cinema chiederebbe piuttosto di essere descritto nei suoi effetti di siderazione e di terrore, come produzione di un soggetto spostato, una sorta di soggetto mutante o uomo più sconosciuto. Il cinema non è fatto per permettere allo spettatore di ritrovarsi(teoria della regressione narcisistica), ma anche e soprattutto per sconvolgere, per siderare: si va al cinema per delle simulazioni più o meno terribili, e nient’affatto per una parte di sogno; per una parte di terrore, per una parte di ignoto: è del paradosso dello spettatore che si dvrebbe parlare.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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