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Libertà d’espressione e informazione di guerra

Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.

Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America
Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti protegge, tra le altre cose, la libertà d’espressione. I soldati, nel difendere la legge americana, sentono di combattere anche per il Primo emendamento:
Noi ci battiamo per questo, per la libertà di credere in ciò che vuoi.

Quindi, nel momento in cui qualcuno vieta loro la libera espressione, si sentono traditi:
Sono stato convocato nell’ufficio del sergente e mi è stato tolto il permesso di esprimere di nuovo le mie opinioni, perché «ci sono giovani reclute impressionabili a cui non è il caso di dire cose che potrebbero demoralizzarli». Ho replicato dicendo che ho combattuto proprio per il diritto di poter esprimere le mie opinioni.

Uno dei leit motiv dei mediatori di memoria analizzati è la critica nei confronti dei media principali, che raccontano solo una parte di guerra:
Mi convinsi che le principali reti televisive ignorassero totalmente l’esistenza di altre città in Iraq oltre a Fallujah e Baghdad, visto che parlavano soltanto di quelle due, Fallujah e Baghdad.
Anche in Green Zone, è forte l’accusa alla stampa, che avalla tutte le invenzioni del governo sulle armi di distruzione di massa senza verificare fonti e cercare prove (il riferimento è al caso reale di una giornalista del New York Times che divulgò le false notizie fabbricate da Cheney)

Come racconta R. Chandrasakaran, la priorità dell’ufficio stampa della Cpa
era aggiornare i media americani, soprattutto quelli apprezzati dai sostenitori del Presidente Bush. Fox News, che in genere appoggiava l’occupazione, era uno dei canali preferiti.

L’esercito distribuisce anche ai militari un vademecum delle «risposte da dare alla stampa»:
- Siamo qui per aiutare l’Iraq a riconquistare la sua indipendenza
- Lavoreremo per annientare il nemico che continua a ostacolare il progresso del popolo iracheno
- I nostri sforzi contribuiscono al proseguimento della Guerra Globale contro il Terrorismo
- Rimarremo in Iraq finché non avremo portato a termine la nostra missione.

Secondo uno dei soldati intervistati in Occupation: Dreamland, del resto la gente non dovrebbe sapere tutto ciò che accade nell’esercito, la gente vuole mangiare la bistecca ma non vuole sapere come viene macellata la mucca.

Forse per reagire ad una situazione in cui si rendono conto che 
tutte queste persone in autostrada nelle loro auto, che fanno la loro vita di sempre, che ascoltano la radio e si godono il sole non sono assolutamente toccate dalla guerra in Iraq.
e che i media tradizionali raccontano solo una parte di ciò che accade “on the ground”, in molti soldati, come in molti funzionari che sono stati coinvolti nel governo di occupazione, scatta il desiderio di raccontare la loro “verità”. Questo è reso in particolar modo possibile (come nel caso dei war blog, di cui quello di C. Buzzell è uno dei tanti, o del sito aperto da M. Moore) dalle caratteristiche di Internet, un mezzo che sfugge ai controlli e può essere utilizzato in modo semplice da chiunque, fornendo informazioni in tempo reale anche a chi sta dall’altra parte del mondo.

Questa è la guerra dei reportage dei soldati, dei video fatti in casa postati dei sul web:
Molti soldati fissavano piccole videocamere all’elmetto e filmavano le azioni durante i raid e le missioni […] uno del drappello […] raccoglieva tutte le foto e i servizi […] e iniziava a lavorarci sopra con tutta una serie di tecniche ed effetti speciali, fino a ottenere un film di guerra […] Quasi tutti i soldati del mio plotone tornavano a casa con un video in cui erano protagonisti.

Anche in The Hurt Locker e in Green Zone molti soldati scattano foto e girano video delle loro “imprese”. Nel film di K. Bigelow anche gli Iracheni riprendono gli Americani. E il sergente Heldridge commenta: «quello è pronto per mettermi su youtube». 

Tratto da LA MISSIONE AMERICANA IN IRAQ di Isabella Baricchi
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