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Empedocle e la teoria dell'anima

Elementi di psicologia pitagorizzante si incontrano anche in Empedocle di Agrigento (492 – 432 a.C.). Fu medico, taumaturgo e scienziato e aveva fama di essere un grande mago (gli avversari lo consideravano un ciarlatano). Compose due opere (poemi) di cui conserviamo una quantità di frammenti più abbondante di qualsiasi altro filosofo presocratico: il “Periphyseos” (“Sulla natura”) di carattere cosmologico, e i “Catarmoi” (“Purificazioni”) di carattere teologico che si ispira all’orfismo e al pitagorismo.
Nel “Periphyseos” spiega che la nascita delle sostanze presenti nel cosmo deriva dall’unione di quattro elementi fondamentali (acqua, aria, terra, fuoco) che rappresentano le radici del cosmo e che la loro morte deriva dalla disunione di questi elementi.
Nei “Catarmoi” riprende la dottrina orfico-pitagorica della metempsicosi. Più che di anima, Empedocle parla di “demone”: esso rappresenta il nostro io più profondo che sopravvive anche dopo la morte trasmigrando in altri corpi. Lui stesso rivela di essere stato «un tempo fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e muto pesce del mare».
Secondo Empedocle, esiste una legge necessaria di giustizia che fa scontare agli uomini, attraverso una serie successive di nascite e morti, i peccati di cui si macchiano: l’anima che si macchia di reati di sangue (viene considerata anche l’uccisione degli animali) sarà costretta, per purificarsi, a trasmigrare di corpo in corpo per circa diecimila anni.

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