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Le conseguenze della crisi in Europa


La modernizzazione dell'agricoltura inglese e olandese continuò a progredire, così come continuarono a svilupparsi le isole intensive attorno alle grandi regioni urbanizzate. Un'altra notevole differenza rispetto alla situazione tardomedievale: lo stato, adesso, compensava una parte dei fenomeni di crisi. Adesso la domanda massiccia dello stato per la corte e l'esercito divenne addirittura insostenibile sotto molti aspetti, per la ristretta peasant economy legata all'ambito locale e frenata dall'esistenza di terre e pascoli comuni. Ciò che interessava allo stato e agli strati superiori mercantili non era, infatti, il mercato locale delle piccole città circostanti ma quello territoriale, extraregionale. Chi voleva corrispondere a questa domanda, doveva essere pronto a rinunciare allo statuto agrario e all'agricoltura tradizionali; se era contadino, diventare farmer e fittavolo; se era signore fondiario diventare proprietario fondiario, orientato verso il mercato.
In Spagna e in Italia riemersero invece elementi chiaramente feudali e le condizioni sociali delle campagne, che pure nel Primo Cinquecento mostrarono segni di evoluzione, arretrarono definitivamente. Parti considerevoli dell'Europa Orientale poi, continuarono ad orientarsi sull'esportazione di cereali e l'univocità di questo vincolo nel contesto di strutture sociali poco sviluppate e di una scarsa urbanizzazione produsse una rifeudalizzazione estrema di queste regioni. La cosiddetta seconda servitù della gleba dei Ritterguter a est dell'Elba divenne l'equivalente funzionale dell'abolizione delle condizioni sociali medievali del Nord – ovest urbanizzato.
In Europa settentrionale e centrale, delle monarchie svedesi, danesi, in Francia e nei territori dell'Impero, durante il 1600 e fino all'inizio del 1700 l'agricoltura rimase in una situazione intermedia tra l'economia contadina medievale e la moderna economia dei traffici. La lotta tra signori fondiari, chiesa e stato da un lato e produttori contadini dall'altro per la spartizione del plusvalore era accanita e continua e non sempre condotta in vista del progresso dell'agricoltura. Solo quando stato, chiesa e poteri fondiari trovavano un certo accordo si perveniva ad uno sviluppo delle strutture agrarie, come nel caso dell'area costiera tedesca nord – occidentale e le regioni cerealicole della Francia settentrionale e dell'Ile de France.
Solo in Inghilterra e Paesi Bassi e parte della Germania colsero dunque le occasioni che offre ogni crisi. I Paesi Bassi settentrionali fanno spicco per due processi fondamentali: la specializzazione e la commercializzazione, rese possibili dal declino della nobiltà dopo la scissione religiosa dalla Spagna e l'assunzione dell'agricoltura nella sfera di interessi di un attività di merchant class, che importava granaglie da Amsterdam a prezzi inferiori rispetto anche ad una coltivazione diretta sul posto. L'irreversibilità di questo processo fu evidente tra la fine del Sei e l'inizio del Settecento, quando la depressione agraria si fece sentire anche nei Paesi Bassi.
In Inghilterra lo sviluppo dell'agricoltura si è associato più che negli altri paesi allo sviluppo e alla trasformazione delle strutture sociali generali. Uno sviluppo che fu in gran parte gestito dalla nobiltà fondiaria e più in particolare dalla gentry. Avvenimenti che spianarono la via alla modernizzazione dell'agricoltura quali l'abolizione degli antichi tributi feudali, la soppressione del maggiorascato nelle tenute nobiliari, la legalizzazione delle enclosures, si ricollegano al fatto che la nobiltà inglese, rispetto alla nobiltà del continente, si caratterizzava per il disinteresse verso i vincoli istituzionali tradizionali della struttura economica e sociale rurale. Contro tali vincoli, durante la guerra civile, si era addirittura schierata.

Tratto da STORIA MODERNA di Gherardo Fabretti
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