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Lo studio di Piaget sulla percezione del tempo nel bambino

La nozione di tempo nel bambino: movimento e di velocità


Gli studi di Piaget sul concetto di tempo risentono della notevole influenza della teoria della relatività di Einstein, in particolare per quanto riguarda il ruolo svolto dalla velocità. Einstein affermava che se la massa dei corpi in movimento varia a seconda della velocità, allora nuove dimensioni dello spazio/tempo vengono definite dalle interazioni della massa variabile con il campo dell’energia; di conseguenza per Piaget la nozione di tempo nel bambino è collegata con la nozione di movimento e di velocità. Mentre però la velocità è considerata dall’autore come un’intuizione primaria lo stesso non si può dire per il tempo e la durata. Quest’ultima infatti è data dal rapporto tra lavoro compiuto e velocità con cui tale lavoro è stato compiuto e poiché questa relazione inizialmente non esiste nel bambino questi confonde il tempo impiegato con lo spazio percorso (Jean Piaget:1979, p.XIV). La velocità diventa quindi l’indice privilegiato su cui l’autore costruisce le sue valutazioni e il metodo dell’intervista clinica subisce un’evoluzione; lo scopo non è più quello di studiare il comportamento del bambino ma di provare determinate ipotesi.

L’autore ritiene che esista un sistema temporale già nello stadio senso-motorio. Il bambino che piange perché ha fame, infatti, conosce l’esistenza dell’attesa e quando per raggiungere un determinato oggetto ne utilizza un altro determina una successione tra mezzi e fine. Questo fatto però non significa che nel neonato sia presente il concetto di tempo omogeneo, ma piuttosto si tratta di una serie di azioni coordinate che comportano una confusione tra ordine temporale e ordine spaziale. Da questo deriva anche l’inversione del prima e del poi: quando un oggetto viene spostato il neonato lo cerca nel punto in cui si trovava poco prima perché le traiettorie seguite dall’oggetto non sono viste come indipendenti dall’io.


L'evoluzione del concetto di tempo con il linguaggio


Nel momento in cui il bambino cresce e inizia ad acquisire il linguaggio egli deve apprendere nuovamente quello che già sa maneggiare dal punto di vista pratico. Per meglio chiarire quest’ultima affermazione passiamo ad analizzare una delle situazioni sperimentali presentate dall’autore, relativa all’ordine degli eventi e alla durata degli intervalli: ci sono due vasi sovrapposti uno a forma di sfera e l’altro di forma cilindrica, entrambi hanno la stessa capienza, il primo viene riempito di acqua colorata attraverso un rubinetto posto in alto e svuotato progressivamente attraverso un rubinetto posto in basso che fa passare il liquido nel secondo recipiente, il bambino deve segnare su disegni ciclostilati il livello del liquido, poi questi disegni vengono mescolati ed egli deve rimetterli nella sequenza corretta; inoltre egli deve comprendere che la durata dello scendere del liquido del primo recipiente è uguale a quella del riempimento del secondo. Jean Piaget rileva che il bambino di 4-5 anni è in grado di disegnare in modo corretto il progressivo colare del liquido dimostrando di percepire la serie temporale, ma non è in grado di mettere nella sequenza corretta i disegni da lui stesso eseguiti così come non è in grado di concepire la durata. Il bambino dunque, non comprende il procedimento delle immagini successive perché non sa collegare gli eventi in un tempo unico a svolgimento rettilineo ed è necessario quindi un riapprendimento che gli permetta di comprendere che le azioni reali possono anche essere sostituite da azioni virtuali e che esse devono essere tradotte in rappresentazioni.

Nell’ambito delle sue sperimentazioni, l’autore distingue tre stadi progressivi che indicano l’evoluzione della nozione di tempo nelle varie fasce d’età. Le fasce analizzate vanno dai 4 ai 9 anni, ma non esiste una divisione netta tra i diversi stadi poiché il passaggio da uno stadio all’altro non avviene a un’età definita ma varia da soggetto a soggetto. Le considerazioni fatte sopra riguardano bambini appartenenti al primo stadio, in cui il concetto di “prima” e di “dopo” temporali non è dissociato dall’ordine spaziale e perciò la velocità è strettamente legata al concetto di sorpasso, tutti i bambini più piccoli infatti vedendo due oggetti che si spostano l’uno accanto all’altro e che vanno alla stessa velocità ma si fermano successivamente affermano che quello che è andato più lontano va più in fretta. All’origine di questa indifferenziazione tra successioni temporali e spaziali c’è il concetto di irreversibilità di cui abbiamo parlato in precedenza, il quale, come afferma lo stesso Piaget, “[…] conduce a vivere solo il presente e a non conoscere il passato che attraverso i suoi risultati […], di qui la doppia incapacità di ricostruire un ordine di successione esatto e di includere le durate le une nelle altre secondo un sistema di valutazioni coerenti”, in pratica per il bambino il passato non è né lontano né ordinato in epoche distinte, l’umanità resta sempre uguale a se stessa e l’universo è centrato sul paese e sulla città alla quale egli appartiene. Un altro fattore di cui tenere conto è il sincretismo, cioè una visione d’insieme senza obiettività e senza giustificazione: esso è il risultato dell’incapacità di comprendere le cose diversamente da come sono date nell’osservazione immediata, perciò il bambino si limita a considerare il primo ordine che gli viene in mente e lo considera come il solo possibile (Maria Cristina Vallon - sito web).

Passando allo stadio successivo l’intuizione del bambino invece di restare centrata sul risultato dell’atto inizia a prendere in considerazione il tempo che scorre durante l’azione stessa e anziché concentrarsi sui punti di arrivo dei movimenti li ricostruisce secondo il loro svolgimento dissociando l’ordine temporale da quello spaziale. Si assiste dunque a un’evoluzione che però è accompagnata da reazioni incoerenti; alcuni soggetti, infatti, cominciano a dissociare la successione temporale dall’ordine spaziale senza correggere le loro valutazioni della durata (più lontano = più tempo) mentre altri correggono queste ultime ma non rivedono la successione temporale (non distinguono correttamente quale oggetto si è fermato prima dell’altro). Si può quindi affermare che a questo stadio i bambini, pur dimostrando dei progressi, non sospettano ancora che l’inclusione delle durate e l’ordine di successione degli eventi possano avere alcuni rapporti tra di loro (Jean Piaget:1979, p. 94). La dissociazione dell’ordine temporale da quello spaziale resta intuitiva finché i soggetti non scoprono la necessità di fondare i rapporti di successione su quelli di durata e viceversa, è a questo punto che si passa dall’intuizione all’operazione e dal secondo al terzo stadio. In quest’ultimo caso, infatti, i bambini deducono indifferentemente la durata dalla successione e l’inverso, con il risultato che la successione è definitivamente astratta dall’ordine spaziale e la durata viene intesa in funzione inversa della velocità (più veloce = meno tempo).

Se anziché due eventi successivi si prendono in considerazione due eventi simultanei l’autore rileva gli stessi problemi di percezione esposti in precedenza: vedendo due oggetti che si allontanano nello stesso senso e si fermano simultaneamente a 3-4 cm di distanza perché vanno a velocità diverse, il bambino, negli stadi inferiori del suo sviluppo, non riconosce la simultaneità dei punti di arrivo e a volte contesta anche la simultaneità delle partenze se i due oggetti partono da punti opposti. Questo comportamento deriva dal fatto che egli non riesce a capire che gli oggetti che si fermano in due luoghi diversi in seguito a movimenti di diversa velocità possono essere collegati l’uno all’altro per mezzo di un tempo unico ed omogeneo che sarebbe loro comune e di conseguenza si assiste alla stessa confusione tra ordine spaziale e temporale vista in precedenza per la successione: i soggetti ritengono che un oggetto sia andato più lontano dell’altro e la durata è identificata con il cammino percorso.
La percezione delle successioni e delle simultaneità dà luogo dunque, secondo l’autore, ad errori sistematici tanto più frequenti quanto più il bambino è piccolo; egli non coordina i movimenti del suo sguardo con gli eventi esterni e questo comporta il crearsi di illusioni di anteriorità con un possibile rovesciamento dell’ordine degli eventi.
spa

Tratto da LA PERCEZIONE DEL TEMPO NEL BAMBINO IN JEAN PIAGET di Annamaria Martinolli
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