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L’assistenza spirituale nelle istituzioni penitenziarie


Il servizio di assistenza spirituale all’interno degli istituti di prevenzione e di pena è essenzialmente regolato dalla legislazione statale unilaterale.
La l. 354/75, tra gli elementi utili alla rieducazione del detenuto, insieme ad altri fattori quali il lavoro, l’istruzione, le attività culturali, ricreative e sportive, ricomprende anche la religione.
Tale legge riconosce, inoltre, a tutti gli internati “la libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto”.
Per quanto concerne l’assistenza spirituale cattolica, tale servizio è espressamente previsto come presente in ogni struttura penitenziaria con carattere di stabilità, mentre per gli appartenenti ad altre confessioni è stabilito che l’assistenza religiosa sia svolta sulla base delle richieste dei singoli detenuti, ai quali è riconosciuto il “diritto di ricevere l’assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti”.
La l. 68/82 individua come un vero e proprio rapporto di impiego il legame esistente tra l’amministrazione penitenziaria ed i cappellani cattolici.
Di recente, a fronte del frequente ricorso ad istituti alternativi alla custodia cautelare carceraria, si è posta infine la questione di garantire anche a chi si trovi soggetto agli arresti domiciliari strumenti adeguati all’esercizio delle pratiche di culto.
In assenza di norme specifiche al riguardo, le soluzioni sino ad oggi adottate sono di natura giurisprudenziale, ma da tempo si auspica un intervento legislativo in materia.
Secondo un primo indirizzo infatti, tra le “indispensabili esigenze della vita” che consentono di concedere all’imputato di allontanarsi dal luogo di arresto, può essere fatta rientrare anche la fruizione del servizio religioso ed, in particolare, la partecipazione alla “messa domenicale”; per altra parte della giurisprudenza, invece, la presenza alla messa potrebbe essere sostituita dalla fruizione della stessa tramite mezzi radio-televisivi; infine, secondo un orientamento particolarmente restrittivo, ai fini del permesso di allontanamento in questione dovrebbe “tenersi conto esclusivamente di ragioni di carattere economico-lavorativo e di salute, ma non di natura spirituale”.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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