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La stabilità dei risultati dell’espropriazione forzata e l’opposizione agli atti esecutivi


Le osservazioni svolte da ultimo inducono a riflettere più in generale in ordine al se il processo di  espropriazione forzata, al pari del processo di cognizione, metta capo a risultati stabili.
A mio avviso recenti ricerche hanno evidenziato con chiarezza come l’istituto dell’opposizione agli atti esecutivi assolva, nel diverso ambiente della espropriazione forzata, la stessa funzione che gli artt. 157 e 161 c.p.c. (e il suo corollario del giudicato formale) assolvono nell’ambiente della cognizione riguardo agli errores in procedendo.
In particolare:
- è stato innanzitutto allargato il numero dei soggetti legittimati ad avvalersi dell’opposizione agli atti esecutivi; non solo il debitore, ma anche i creditori e anche altri interessati che partecipino a singole fasi del procedimento di espropriazione forzata e possano subire effetti sfavorevoli dai provvedimenti del giudice dell’esecuzione;
- in secondo luogo è stato allargato il numero dei vizi denunciabili attraverso opposizione agli atti esecutivi: non solo i vizi formali, ma anche i vizi, le valutazioni di opportunità che il giudice è chiamato ad effettuare in talune occasioni, tutti gli errores in procedendo che possono comunque viziare il procedimento;
- in terzo luogo si è affermato che il termine di decadenza di 20 giorni comincia a decorrere non dal compimento dell’atto, ma dal giorno in cui il soggetto interessato ha notizia del compimento dell’atto;
- infine, sin dai primissimi anni ’50 è stato ritenuto che la sentenza pronunciata in materia di opposizione agli atti esecutivi, pur essendo qualificata come non impugnabile, fosse ricorribile per cassazione.
L’opposizione agli atti esecutivi ha assunto la funzione di rimedio residuale, utilizzabile ogni qualvolta risultino non esperibili altri rimedi quali l’opposizione all’esecuzione, l’opposizione di terzo all’esecuzione, l’opposizione in sede di distribuzione; ma la sua funzione principale consiste nell’assicurare l’operatività, anche nel processo espropriativo, dei principi espressi dagli artt. 157 e 161 c.p.c., ciò al fine di assicurare la stabilità dei risultati sostanziali dell’espropriazione forzata.

Il processo di espropriazione mette capo a due risultati sostanziali, la vendita forzata e la distribuzione del ricavato.
A differenza del processo di cognizione, nulla si dice esplicitamente in ordine alla stabilità o no di tali risultati.
Quanto alla vendita e all’assegnazione forzata, la sua stabilità è assicurata:
- dall’irrilevanza delle eventuali invalidità del processo esecutivo che ha preceduto il subprocedimento di vendita forzata;
- dall’irrilevanza dell’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione dopo la vendita;
- dall’irrilevanza della riforma del provvedimento giurisdizionale costituente titolo esecutivo dopo la vendita;
- dall’irrilevanza dell’estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti o per inattività dopo la vendita;
- dalla utilizzazione dell’opposizione agli atti esecutivi quale unico rimedio tramite cui poter denunciare vizi o legittimità afferenti al subprocedimento di vendita.

Quanto alla distribuzione del ricavato, la sua stabilità è assicurata:
- per quanto concerne l’esistenza dei crediti, dalla previsione delle opposizioni in sede di distribuzione;
- per quanto concerne le invalidità del processo esecutivo che ha preceduto la distribuzione del ricavato, dalla loro irrilevanza;
- per quanto concerne le illegittimità del subprocedimento di distribuzione del ricavato, dall’utilizzazione dell’opposizione agli atti esecutivi quale unico rimedio tramite cui potere denunciare tali illegittimità.

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