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La mente interculturale



Questo concetto è relativamente recente (a partire dal 2000), e si basa su osservazioni abbastanza banali compiute da Hong: lui ha visto che degli studenti cinesi frequentanti la scuola americana a Hong Kong avevano una mente biculturale, cioè quando erano all'università nel contesto americano si comportavano da americana, quando invece tornavano in famiglia  su comportavano da cinesi --> questo perché mostravano proprio sindromi culturali profondamente diverse: all'università prevaleva la sindrome individualista (si considerano indipendenti), mentre a casa prevaleva la sindrome collettivista (si considerano come interdipendenti). questa mente biculturale ha anche un correlato neurobiologico: queste sindromi culturali che coesistono nella stessa mente sono supportate da circuiti cerebrali diversi. Quando un compito, in cui si deve pensare a a persone familiari ed estranee, utilizza stimoli che contestualizzano il compito in un contesto occidentale, madre, padre ed estraneo venivano considerati come separati (e si attivavano certi centri cerebrali), mentre quando gli stimoli contestualizzano il compito come orientale, madre, padre ed estraneo venivano considerati come tutt'uno rispetto a sè (e si attivavano altri centri cerebrali). Quindi questo mostra che la nostra mente può utilizzare una modalità A o una modalità B a seconda di dove si trova e in quale contesto. Questo non è un fatto nuovo, dato che tutti noi ci comportiamo in modo diverso (ad esempio dal punto di vista verbale) a seconda del contesto in cui ci troviamo (università / casa / bar / con amici), quindi siamo in grado di adattarci flessibilmente ai diversi contesti.

Negli individui biculturali questa capacità di adattamento è potenziata, e cioè che la rende possibile è proprio la flessibilità del nostro cervello. Anolli parla di sindrome perché così indica che la cultura non è qualcosa di immodificabile, e così come una sindrome psichiatrica è un insieme di segnali (e non tutti sono presenti, ma possono esserci diverse combinazioni), allo stesso modo la cultura non è qualcosa di definito e uguale per tutti, ma è un insieme di segnali (la prevalenza di segnali indica a quale sindrome culturale apparteniamo). Il costrutto di mente biculturale si fonda proprio su questa idea di cultura come insieme di segnali.

La plasticità del nostro cervello e la dinamicità della cultura fa sì che tutto sia modificabile e che nella nostra mente possano coesistere due sindromi culturali. Tuttavia non tutti gli individui che partecipano a 2 o più culturale sono biculturali o multiculturali. Vi sono due condizioni essenziali per poter sviluppare una mente biculturale: 1) immersione nel contesto culturale, che permette di osservare le pratiche, interagire con le pratiche, e provare a metterle in pratica, quindi tramite una esperienza vissuta di quello specifico contesto, che permette di apprendere in maniera sia diretta (qualcuno che insegna) che indiretta (osservazione) 2) intenzionalità, cioè noi diventiamo biculturali se lo vogliamo, quindi se impariamo prima di tutto a riconoscere che esistono forti differenze tra la nostra cultura di origine e quella di accoglienza, e allo stesso tempo se siamo consapevoli che entrambe sono valide e di valore. Se si pensa che una è superiore all'altro, o che di una mi devo vergognare, allora non si diventa biculturali, ma una delle due culture prevale e l'altra quasi scompare. In realtà tenerle vive entrambe è una risorsa grandissima. Altrimenti succedono i fenomeni di ibridazione culturale, che non è la mente biculturale, ma un miscuglio in cui cultura d'origine e di accoglienza si mescolano in modo abbastanza inconsapevole (quindi senza intenzione). La mente biculturale è quindi una mente che riesce a tre re insieme due sindromi culturali diverse, e che riesce ad attivare i rispettivi sintomi a seconda dei contesti in maniera del tutto consapevole.

Qual è la condizione ottimale per la costruzione di una mente biculturale? È la condizione in cui si mantengono vive entrambe le culture nel quotidiano.
Anolli racconta tutto un percorso di formazione che è stato condotto nelle scuole medie di Milano (con altissima percentuale di cinesi nelle classi) per sperimentare la costruzione della mente interculturale nei ragazzini delle medie. In cosa consiste? È una esperienza di ricerca-intervento, in cui si è cercato prima di tutto di formare le insegnanti all'idea che è possibile tenere insieme due sindromi culturali, quindi avere una identità biculturale, fornendogli una serie di imput teorici (esempio: se sono un cinese in Italia, non devo essere cinese o italiano, ma posso essere sia cinese sia italiano, senza necessità di scegliere fra una delle due culture). Successivamente le insegnanti sono state formate affinché loro accompagnassero i ragazzini italiani a conoscere abitudini, credenze e pratiche cinesi, e i ragazzini cinesi a conoscere abitudini, credenze, pratiche italiane (ad esempio tramite role playing: si chiede al bambino cinese "cosa fai quando torni a casa da scuola? Come saluti i tuoi genitori?
--> la prima preoccupazione dei genitori cinesi è sapere se i loro figli hanno mangiato, mentre quella dei genitori italiani è sapere come è andata la giornata scolastica). Questa esperienza si è rivelata molto interessante e ha prodotto effetti importanti, prima di tutto il miglioramento dei rapporti tra alunni all'interno della classe --> ciò ha permesso ai ragazzini italiani di considerare i compagni cinesi non solo come stranieri e diversi, ma anzi come risorse e fonte di informazioni interessanti e arricchenti. Tuttavia questo non significa avere una mente biculturale, anche perché la situazione in questo caso è asimmetrica (i ragazzini cinesi avevano tutto l'interesse ad acquisire conoscenze sulla cultura italiana, mentre i ragazzini italiani di base non avevano alcun interesse ad imparare le pratiche cinesi). Comunque si è creato un migliore clima nelle classi, quindi questo già è un buon obiettivo. Percorsi di questo tipo nelle scuole sono quindi da incoraggiare.

Ricerca svolta in una scuola con un grande numero di immigrati: era importante che i ragazzi si sentissero riconosciuti sia nella cultura di accoglienza, sia in quella di origine, sentendo legittimate le sue origine. In particolare il tema della ricerca era la danza. Ai ragazzi è stata data la possibilità di intervistare la loro famiglia circa gli artefatti culturali riguardanti la danza provenienti dal loro paese. Poi in classe portavano le informazioni raccolte e si confrontavano, e in una fase successiva portavano concretamente i manufatti che erano riusciti a reperire --> il senso era recuperare il senso culturale delle danze di queste culture. Poi la prof ha condotto la conversazione nelle classi --> è stato possibile dare voce a ciascuno e farli sentire esperti riguardo alla loro cultura di origine. Parallelamente è stato anche organizzato uno spettacolo di danza, coordinato da una specialista di una danza etnica --> ogni classe ha allestito una danza tipica di una cultura. Stata una esperienza umana ricchissima, dato che i ragazzini di volta in volta dovevano su operare delle sfide per rientrare nella coreografia insegnata dalla specialista. Le insegnanti via via potevano anche vedere i ragazzi in una prospettiva diversa rispetto a quella che avevano in classe. È stata una esperienza di validazione delle diversità di ciascuno (non solo dei bambini stranieri, ma anche degli italiani). La specialista chiedeva all'inizio di ogni prova "come state?", cosa che sorprendeva gli insegnanti.

Tratto da PEDAGOGIA INTERCULTURALE E DELLA COOPERAZIONE di Mariasole Genovesi
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